In questo articolo offro una soluzione al problema delle cattedre vacanti nelle scuole, in particolare in quelle del nord Italia[1].
Per fare questo, mi servirò di una corretta applicazione del principio di uguaglianza[2].
La Corte costituzionale ha affermato che il principio di uguaglianza non consiste nel trattare tutti allo stesso modo, nel porre tutti sullo stesso piano o allo stesso livello, ma nel trattare in modo uguale situazioni uguali e in modo diverso situazioni diverse[3].
La corretta applicazione del principio di uguaglianza al problema delle cattedre vacanti nella scuola non può prescindere dalla considerazione del diverso costo della vita in una città del nord Italia confrontato con quello di un piccolo paese del sud Italia.
Corrispondere lo stesso salario, per la medesima mansione, svolta da due docenti della scuola, il primo in una prospera realtà finanziaria del nord Italia e il secondo in un contesto rurale del sud Italia, significa non avere compreso il sopra citato insegnamento della Corte costituzionale, e di conseguenza, violare il principio di uguaglianza.
Inoltre, si avrà una violazione del principio costituzionale per il quale il lavoratore ha diritto a un salario “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”[4].
Infatti, il forte divario nel costo reale della vita farà in modo che il primo docente – quello nel nord Italia – si troverà a dover scegliere se impiegare il suo salario per pagare il canone di locazione e le utenze domestiche della sua abitazione oppure se spendere la somma per fare la spesa, il secondo docente – quello nel sud Italia – non solo non si troverà di fronte a questa alternativa, ma potrà anche scegliere tra risparmiare una parte del suo salario o spenderla per avere un tenore di vita più alto della media.
In una situazione come questa, la decisione di aumentare il salario si risolve in un aumento della disuguaglianza già esistente.
Infatti, poiché l’importo dello stipendio è uguale per tutti e due i docenti, aumentare la retribuzione in modo da permettere al docente della scuola nel nord Italia di poter affrontare con serenità gli esborsi prima descritti (locazione, utenze domestiche e spesa) significa dare al docente nel sud Italia un tenore di vita ancora più alto, inimmaginabile per il primo docente.
Per applicare correttamente il principio di uguaglianza alla vicenda che stiamo esaminando è necessario smettere di pensare all’importo del salario e focalizzare l’attenzione sul potere d’acquisto del salario.
Il potere d’acquisto è la quantità di beni e/o servizi che è possibile acquistare in un dato momento con una determinata somma di denaro[5].
I due docenti non dovranno più ricevere un salario identico, ma un diverso potere d’acquisto parametrato al costo reale della vita che si registra nella sede di effettivo espletamento del loro incarico.
Un potere d’acquisto tale da permettere a entrambi di “assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”[6].
Tutto questo va attuato tenendo conto delle seguenti precisazioni.
In primo luogo, il costo della vita da prendere in considerazione non è quello calcolato su base nazionale, ma quello calcolato nella macro area[7] nella quale si trova la sede di effettivo espletamento dell’incarico da parte di ciascuno dei due docenti.
Se infatti venisse preso come riferimento il costo della vita su base nazionale, si continuerebbe ad avere la disuguaglianza della quale abbiamo parlato fin’ora.
Quest’ultima, infatti, è causata dall’attribuzione di un identico salario a entrambi i docenti a fronte del fatto che il costo della vita non è lo stesso su tutto il territorio nazionale.
La dimensione delle macro aree deve essere tale da comprendere più Regioni.
Se venissero prese in esame delle aree troppo piccole – come singoli paesi, quartieri o città – si avrebbe una miriade di diversi indici del costo della vita: uno per ciascuna di esse.
In questo modo, oltre alla rilevante complessità amministrativa necessaria per calcolare tutti questi indici diversi, non verrebbe risolto il problema delle cattedre vacanti nelle scuole.
Facciamo un esempio.
Se nei piccoli paesi A e B il costo reale della vita fosse pari a 100, mentre nel vicino e altrettanto piccolo paese C esso fosse pari a 97, tutti avrebbero la convenienza economica a recarsi a insegnare nelle scuole dei paesi A e B per avere un salario maggiore e poter poi fare la spesa nel vicino paese C dove i prezzi sono più bassi.
In questa situazione, nessuno vorrebbe recarsi a insegnare nelle scuole del paese C dove le cattedre nelle scuole rimarrebbero vacanti.
Dopo un po’ di tempo, i prezzi nel paese C aumenterebbero a causa della forte domanda di beni e servizi originata da tutti coloro che si recano lì per fare acquisti, mentre i prezzi diminuirebbero nei paesi A e B dove pochi farebbero la spesa.
L’aumento del costo della vita nel paese C invertirebbe la situazione di partenza.
Vi sarebbe un gran numero di domande di trasferimento di docenti che dai paesi A e B vogliono recarsi a insegnare nel paese C.
Questo per continuare ad avere un salario alto e fare la spesa nei paesi A e B che ora hanno dei prezzi più bassi.
Di conseguenza, nessuno vorrebbe più insegnare nei paesi A e B dove le cattedre nelle scuole rimarrebbero vacanti.
Se pensiamo che in Italia ci sono circa otto mila Comuni[8], capiamo bene che, ai fini che qui interessano, istituire delle aree economiche troppo piccole comporterebbe un’immensa complessità amministrativa per calcolare ogni anno il costo della vita in ciascuna di loro e non verrebbe risolto il problema delle cattedre vacanti nelle scuole.
Al contrario, l’istituzione di aree economiche di grandi dimensioni ridurrebbe, sia la complessità amministrativa – poiché gli indici del costo della vita da calcolare non sarebbero più migliaia –, sia il trasferimento dei docenti per motivi economici della quale abbiamo detto poc’anzi.
Per esempio, se pensiamo a una macro area grande come l’Italia nord-occidentale, è difficile che un docente che insegna a Torino possa recarsi ogni giorno a fare la spesa ad Ancona !
Con la corresponsione di un potere d’acquisto parametrato al costo reale della vita in ogni macro area, gli spostamenti dei docenti della scuola per motivi economici sarebbero limitati alla linea di demarcazione tra una macro area e quella vicina.
Una situazione analoga a quella che oggi si può verificare, ad esempio, se si pensa di fare il pieno di benzina alla propria automobile oltre il confine nazionale, dove le imposte sul carburante per i veicoli possono essere più basse.
Inoltre, questi spostamenti sarebbero ulteriormente limitati dal fatto che, di solito, due macro aree confinanti non hanno un costo della vita fortemente diverso come quello che, al contrario, si registra tra due luoghi che si trovano molto distanti fra loro sul territorio nazionale.
Un piccolo divario tra i costi della vita – e quindi tra i prezzi dei beni – che si registrano da una parte e dall’altra della linea di demarcazione tra due macro aree, ridurrebbe la convenienza economica a spostarsi da una parte all’altra.
In secondo luogo, il salario di ciascuno dei due docenti va adeguato ogni anno ai tre quarti dell’aumento dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati[9].
L’adeguamento nella misura di tre quarti piuttosto che al cento per cento dell’indice citato ha il fine di contenere l’aumento dei prezzi e quindi l’inflazione.
In conclusione, una corretta applicazione del principio di uguaglianza previsto nella nostra Costituzione porta ad attribuire a ogni docente non più un identico salario, ma un diverso potere d’acquisto parametrato al costo della vita realmente presente nella macro area in cui insegna in via ordinaria e continuativa.
La conseguenza sarebbe la forte riduzione del numero di cattedre vacanti nella scuola, perché non ci sarebbe più la convenienza economica a insegnare solo nelle zone d’Italia dove il costo della vita è più basso.
Vi ringrazio per il vostro tempo e per la vostra attenzione.
AGGIORNAMENTO
Il 28 maggio 2022 sul Corriere della Sera è comparso un articolo nel quale si denuncia il fatto che uno stipendio di identico ammontare su base nazionale è la prima causa del fatto che vi sono poche domande di partecipazione ai concorsi per impieghi pubblici, in particolare per posti di lavoro nel nord Italia dove diversi posti di lavoro nella Pubblica Amministrazione rimangono vacanti.
Il medesimo articolo suggerisce che la disparità del costo della vita tra una città del nord Italia e una città del sud Italia debba essere presa in considerazione per la corresponsione dello stipendio al pari di quanto già avviene negli Stati Uniti d’America.[10]
NOTE A PIE’ DI PAGINA
[1] Articolo: “Cattedre scuola 2017/2018: 4 mila posti vacanti, ecco a chi andranno”
“La mancanza di cattedre è stata registrata soprattutto nella scuola secondaria di primo grado, cioè alle medie.
In particolare sono più di 3.800 i posti rimasti liberi dopo i trasferimenti, soprattutto nelle regioni del Nord.
Più di un terzo di queste cattedre vuote sono nella Lombardia, che ha 1.072 posti per docenti.
Tra l’altro nemmeno le prossime immissioni in ruolo serviranno ad arginare questa situazione.
Difatti è stato accertato che i vincitori del Concorso docenti 2016 non sono sufficienti per colmare questo vuoto.
Inoltre le graduatorie ad esaurimento (Gae) per la classe di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado sono esaurite già da da tempo.
Dunque si prevede che questi posti saranno assegnati tramite supplenze annuali, da reperire tramite le graduatorie di istituto della provincia interessata o tramite messa a disposizione.”.
Articolo: “Mobilità scuola 2017/2018: docenti, i posti liberi dopo i trasferimenti della scuola secondaria di II grado”
“Complessivamente, per la scuola secondaria di secondo grado i posti liberi sono 16.543 di cui 15.254 posti comuni e 1.289 posti di sostegno: la tabella analitica per classe di concorso/tipo di posto, provincia e regione.”.
Articolo: “Mobilità scuola 2017: migliaia di trasferimenti al Sud, cattedre vacanti al Nord”
“L’ondata di trasferimenti verso il Sud comporterà, nella scuola primaria, una conseguente carenza di insegnanti al Nord. I sindacati stimano che, nel prossimo anno, serviranno circa 100 mila supplenti.
Le regioni maggiormente coinvolte da carenza di personale docente, e quindi con una maggiore percentuale di cattedre vacanti, sono Lombardia, Piemonte e Veneto.”.
[2] Costituzione della Repubblica italiana, articolo 3, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, n. 298 del 27 dicembre 1947:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”.
[3] “Né detto divieto è in contrasto con l’altro principio della “eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge”, enunciato nello stesso art. 3 della Costituzione.
Questo principio non va inteso nel senso, che il legislatore non possa dettare norme diverse per regolare situazioni che esso ritiene diverse, adeguando così la disciplina giuridica agli svariati aspetti della vita sociale. Ma lo stesso principio deve assicurare ad ognuno eguaglianza di trattamento, quando eguali siano le condizioni soggettive ed oggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscono per la loro applicazione. La valutazione della rilevanza delle diversità di situazioni in cui si trovano i soggetti dei rapporti da regolare non può non essere riservata alla discrezionalità del legislatore, salva l’osservanza dei limiti stabiliti nel primo comma del citato art. 3.”
Corte costituzionale della Repubblica italiana, sentenza 16 gennaio 1957, n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 27 del 30 gennaio 1957.
Cito da: www.cortecostituzionale.it (Giurisprudenza → Decisioni → Ricerca sulle pronunce → inserire anno e numero → cliccare su 3/1957).
[4] Costituzione della Repubblica italiana, articolo 36:
“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”
Per i riferimenti della citazione, si veda la nota n. 2.
[5] “Quantità di merci che, dati certi prezzi vigenti sul mercato (v.), è possibile acquistare in un dato momento con una determinata quantità di moneta (v.) a disposizione. La definizione può essere sintetizzata nella formula Pa = 1/P dove Pa è il potere d’acquisto della moneta e P il prezzo della merce. In questa equazione Pa e P sono espressioni reciproche in quanto aumentando i prezzi diminuisce il valore della moneta e viceversa.”.
[7] Ai fini che qui interessano, una macro area è una porzione del territorio nazionale caratterizzata da caratteristiche economiche simili come la situazione economica, il potenziale di sviluppo, le condizioni di vita medie della popolazione.
[8] Al 5 maggio 2017, i Comuni in Italia sono 7.978.
[9] “Per adeguare periodicamente i valori monetari, ad esempio il canone di affitto o l’assegno dovuti al coniuge separato, si utilizza l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI) al netto dei tabacchi. Tale indice si pubblica sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n. 392.”.
“L’indice nazionale dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati (sigla FOI) è un indice dei prezzi al consumo, calcolato dall’Istat a partire dal 1961, basato su un paniere di beni e servizi che rappresenta i consumi di una famiglia la cui persona di riferimento è un lavoratore dipendente (ad esclusione di quelli facenti parte del settore agricolo). È quindi più specifico dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), il cui paniere rappresenta i consumi di una famiglia italiana media (comprendendo, quindi, anche quelle la cui persona di riferimento sia ad esempio un libero professionista od un pensionato).”
Insomma, gli italiani non sono più così disposti a spostarsi per lavoro troppo lontano da casa. E così, se da una parte abbiamo ancora frotte di giovani che emigrano in altri Paesi Ue o in altri Continenti alla ricerca di un’attività lavorativa degna delle loro capacità, dall’altra abbiamo un numero crescente di italiani che non se la sentono – per un modesto lavoro impiegatizio – di cambiare neppure regione. Le motivazioni alla base di questo rifiuto sono varie. La prima è di natura economica: le retribuzioni non sono ritenute allettanti, soprattutto considerando il costo della vita che al Nord è decisamente superiore rispetto a quello delle regioni meridionali. Per avere un’idea, secondo un’indagine del Codacons, nel 2021 Milano era la città più cara d’Italia: per mangiare sotto la Madonnina, infatti, bisogna spendere in media il 47% in più rispetto a Napoli. In Italia, infatti, a differenza di quello che accade ad esempio negli Stati Uniti, gli stipendi (del pubblico come del privato) non sono tarati sui costi della vita della città in cui si lavora. E così, la domanda che si fanno gli aspiranti concorsisti è legittima: se 35 mila euro a Milano equivalgono a poco più di 20 mila a Palermo, perché lo stipendio di un dipendente della motorizzazione del capoluogo lombardo deve essere uguale a quello siciliano? Da qui i tanti rifiuti a una scelta di emigrazione interna.”
(il sottolineato è mio)
Cito da Massimiliano Jattoni Dall’Asén, Posto fisso addio, concorsi flop e dimissioni tra i dipendenti pubblici: cosa succede?, 28 maggio 2022, in:
Pubblico un video del Comitato per il NO al referendum costituzionale italiano del 4 dicembre 2016.
A prescindere dalle opinioni di ciascuno sul voto da esprimere – e senza intenzione di fare polemica – vi offro qui di seguito alcune precisazioni di diritto.
1 – IL PREMIO DI MAGGIORANZA
Nel filmato[1] si parla del premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale n. 52 del 2015 (detta Italicum)[2] in occasione dell’elezione dei componenti della Camera dei Deputati.
L’Italicum e le sue previsioni NON sono oggetto del referendum costituzionale italiano del 4 dicembre 2016.
2 – LA MODALITÀ DI ELEZIONE DEL FUTURO SENATO ITALIANO
Nel filmato[3] si afferma che il futuro Senato verrà eletto “inun modo incredibile che non ha riscontro in nessuna altra parte del mondo”.
In seguito[4] si precisa che “io non ho mai visto una cosa simile di un gruppetto piccolo che si eleggono tra loro”.
A tale riguardo, ho effettuato una ricerca dalla quale è emerso che le affermazioni ora citate non sono corrette.
Infatti:
il Senato tedesco, “il Bundesrat (“consiglio federale”), è composto dai rappresentanti dei sedici Länder tedeschi.I membri del Bundesrat (tre per i Länder più piccoli, sette per i più grandi) non vengono eletti, ma nominati da ciascun governo regionale.”[5];
il Senato inglese, invece, “laHouse of Lordsdel parlamento britannico è composta di 26Lord spiritual, membri di diritto per gli incarichi che ricoprono nella Chiesa anglicana, e di oltre 700Lord temporal, in massima parte nominati a vita dalla regina su suggerimento del governo.”[6];
nel Senato francese “I senatori sono eletti a suffragio indiretto: possono votare circa 150.000 grandi elettori, per la maggior parte costituiti da amministratori locali (sindaci, consiglieri municipali, consiglieri dipartimentali e consiglieri regionali), oltre ai deputati dell’Assemblea Nazionale; …Questo sistema elettorale provoca uno sbilanciamento politico nella composizione dei senatori, poiché privilegia le zone rurali della Francia, storicamente più a destra delle zone urbane.”[7].
La legge costituzionale italiana che sarà oggetto del referendum del 4 dicembre 2016 prevede che:
“L’elezione dei senatori, come già detto, avviene con metodo proporzionale, da parte dei consigli regionali e delle province autonome [di Trento e Bolzano, n.d.a.] tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei comuni del rispettivo territorio. Si ricorda che la Costituzione vigente non individua il tipo di sistema elettorale da adottare né per l’elezione della Camera né per quella del Senato, rimettendo la relativa scelta alla discrezionalità del legislatore ordinario, mentre il nuovo articolo 57 Cost. indica, per l’elezione del Senato, il metodo proporzionale.”[8].
Rispetto alle realtà tedesca e inglese, la legge costituzionale italiana sottoposta a referendum appare preferibile perché non prevede la nomina dei futuri senatori da parte di un singolo, ma da parte di un’assemblea e, inoltre, l’assemblea in questione non è quella della Giunta regionale – composta unicamente dai rappresentanti della maggioranza di governo – ma è quella del Consiglio regionale nel quale sono presenti, sia i rappresentanti della maggioranza, sia quelli dell’opposizione.
Il confronto con la realtà francese conduce a ipotizzare un maggiore equilibrio presente nella legge costituzionale italiana sottoposta a referendum, in quanto, la base elettorale dei futuri senatori italiani non dovrebbe risentire del citato squilibrio numerico presente in Francia tra gli amministratori dei Comuni rurali e quelli dei Comuni metropolitani.
Inoltre, il fatto che il futuro articolo 57 della Costituzione italiana affermi che i criteri da seguire nella ripartizione dei seggi da senatore debbano tenere conto dei voti espressi e della composizione del Consiglio regionale avvalora ancora di più la conclusione che i senatori eletti non saranno solo quelli graditi a un singolo o all’organo di governo della Regione, ma comprenderanno persone di vari schieramenti.
In tal modo potrà essere assicurata, all’interno del futuro Senato italiano, la presenza degli “interessi in conflitto” dei quali parla il filmato[9].
3 – L’INCENSURATEZZA E LE IMMUNITÀ PARLAMENTARI DEI FUTURI SENATORI
Nel filmato[10] si esprime preoccupazione riguardo al fatto che i futuri senatori italiani verranno eletti tra i consiglieri regionali perché “in questi anni si è visto che nei Consigli regionali ci sono molti consiglieri corrotti, indagati, inquisiti”.
Lascio il merito di questa affermazione nelle mani della magistratura inquirente e di quella giudicante.
Ferma restando la presunzione di innocenza, mi limito a ricordare con profonda tristezza il fatto che identici rilievi penali sono stati mossi più volte anche nei confronti di vari parlamentari nazionali.
Poco più oltre nel filmato[11] si afferma che “questa stessa riforma estende a questi senatori fasulli l’immunità parlamentare”.
A questo proposito mi limito a notare che i senatori, al pari dei deputati, le immunità parlamentari le hanno già e che l’articolo 68 della Costituzione, che disciplina le immunità parlamentari, NON è stato modificato dalla legge costituzionale oggetto del referendum del 4 dicembre 2016.
4 – LA NOMINA DI DUE GIUDICI COSTITUZIONALI
L’analisi esposta nel filmato[12] sulle competenze del futuro Senato italiano prosegue con la seguente affermazione: “Gravissimo, invece – sempre funzioni di livello costituzionale – è il fatto che viene attribuito a loro l’elezione di due dei giudici della Corte costituzionale.”.
Il motivo è dato dal fatto che “Questo Senato, così come è stato composto, da persone francamente nel complesso screditate, di nessun, di nessuno spessore, ha la possibilità di incidere sulla Corte costituzionale con due voti.”[13].
Per quanto concerne lo spessore dei futuri consiglieri regionali, questo verrà valutato dagli elettori chiamati alle urne.
In questa sede io esamino l’incidenza della nomina di due giudici da parte del futuro Senato sul totale dei giudici della Corte costituzionale italiana.
I giudici della Corte costituzionale italiana sono quindici, la legge costituzionale di riforma non ne cambia il numero.
Anche in questo caso ho effettuato una ricerca per sapere se, negli altri Paesi europei, il Senato elegga alcuni dei giudici della Corte costituzionale.
Per quanto riguarda la Corte costituzionale federale tedesca, il Bundesrat – il Senato tedesco – designa otto giudici su un totale di sedici[14].
Per quanto riguarda il Consiglio costituzionale francese, il Presidente del Senato francese nomina tre giudici su un totale di nove[15].
Per quanto riguarda il Tribunale costituzionale spagnolo, infine, il Senato spagnolo nomina quattro giudici su un totale di dodici[16].
Dal confronto con le realtà che ho citato emerge che la legge costituzionale italiana che sarà oggetto del referendum del 4 dicembre 2016 non si discosta da analoghe previsioni di altri Paesi europei.
Al contrario, la legge in parola assegna su questo punto al Senato italiano un’incidenza più ridotta rispetto a quella che hanno le omologhe assemblee dei Paesi citati.
Le domande che questo articolo ha suscitato vengono affrontate nella sua seconda parte [17].
Mi auguro che questo contributo vi sia stato utile e vi ringrazio per la vostra attenzione.
[8] Cito da: Servizio Studi della Camera dei Deputati, XVII Legislatura, La riforma costituzionale.Testo di legge costituzionale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016. Schede di lettura, n.216/12, parte prima, maggio 2016, pagine 36 e seguenti, in: http://documenti.camera.it/leg17/dossier/pdf/ac0500p.pdf .
[14] “La nomina dei 16 giudici compete per metà al Bundestag (il parlamento federale) e per metà al Bundesrat (la camera che rappresenta iLänder). Il Bundestag designa i giudici di propria competenza attraverso un comitato di 12 grandi elettori, di cui fanno parte parlamentari eletti dalla medesima camera con metodo proporzionale, che delibera con la maggioranza dei due terzi dei voti. Il Bundesrat designa i giudici di propria competenza, su proposta di una apposita commissione, attraverso il voto pubblico e diretto dell’intero consesso espresso con una maggioranza di due terzi.”. Cito da:
[15] “Nove membri vengono nominati: tre dal Presidente della Repubblica (che ne sceglie anche il presidente, il cui voto prevale in caso di parità), tre dal Presidente dell’Assemblea Nazionale e tre dal Presidente del Senato. … La composizione dell’organo è quindi totalmente politica, cosa che rende il conseil peculiare rispetto agli omologhi di altri sistemi di giustizia costituzionale (ad esempio quelloitaliano). La natura politica dell’organo costituisce un’eredità della diffidenza nei confronti dei giudici e della convinzione che questi non possano controllare il Legislatore che prende origine già dalla rivoluzione francese del 1789.” Cito da:
[16] “Il Tribunale costituzionale è composto da 12 giudici scelti, nominati dal re per un mandato di nove anni non rinnovabili. Quattro di loro sono scelti dal Congresso dei Deputati con la maggioranza di 3/5 dei membri della camera, quattro dal Senato con la maggioranza di 3/5 dei membri della camera, due dal Governo e due dal Consiglio generale del potere giudiziario.” Cito da:
Presento qui di seguito un parere che ho scritto per soddisfare una richiesta in occasione di un colloquio professionale. Ho scelto di parlare delle pari opportunità tra donne e uomini in materia elettorale e nell’accesso al mondo del lavoro.
La mia scelta è dovuta a più fattori, come, ad esempio,
il fatto che le pari opportunità siano previste a più livelli normativi (Costituzione, legge statale, statuti di alcune Regioni italiane);
il dibattito che tale questione suscita ogni volta che se ne parla;
la constatazione che vi sono ambiti nei quali, per attuare le pari opportunità, è necessario far rispettare prima altre norme le quali, solo all’apparenza, non sono collegate con il discorso in esame.
Nella prima parte del parere esamino la messa in opera delle pari opportunità in occasione delle consultazioni elettorali e della successiva formazione degli organi di governo delle istituzioni democratiche dello Stato italiano. Nella seconda parte esprimo il mio parere sulla migliore attuazione delle pari opportunità per quanto riguarda l’accesso al mondo del lavoro.
Come sempre, sarei felice di avere le vostre opinioni al riguardo per un confronto costruttivo.
LE PARI OPPORTUNITÀ TRA DONNE E UOMINI
IN OCCASIONE DELLE CONSULTAZIONI ELETTORALI
E NELL’ACCESSO AL MONDO DEL LAVORO
Parte Prima
Sintetizzo gli aspetti salienti dell’istituto in parola in occasione delle consultazioni elettorali.
1) – Gli articoli 3 comma 1; 51 comma 1; e 117 comma 7; della Costituzione italiana affermano, rispettivamente, che:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”;
“Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.”[1];
“Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.”[2].
2) – Per quanto attiene, in particolare, alla materia elettorale, la Corte Costituzionale italiana ha affermato che:
l’istituto delle pari opportunità tra donne e uomini non ha la finalità di far conseguire alle donne la certezza della vittoria in una consultazione elettorale[3];
successivamente alla modifica dell’articolo 117 della Costituzione[4], l’applicazione dell’istituto delle pari opportunità tra donne e uomini non vincola in alcun modo la libera scelta dell’elettore su chi votare[5];
successivamente alla citata modifica dell’articolo 51 della Costituzione, la norma di uno Statuto regionale, la quale, nel caso in cui l’elettore esprima due preferenze sulla scheda elettorale, prevede che esse debbano andare a candidati di sesso diverso, non ha natura coattiva, ma solo il fine di promuovere un maggiore equilibrio tra donne e uomini nella composizione del Consiglio regionale[6].
3) – Nelle controversie giudiziarie relative alla impugnazione degli atti di nomina dei membri degli organi di governo delle istituzioni democratiche dello Stato italiano, il Consiglio di Stato in successive decisioni ha affermato che:
l’atto di nomina di un assessore regionale non è un atto politico, ma un atto di alta amministrazione ed in quanto tale è soggetto al controllo giurisdizionale del Giudice amministrativo[7];
le norme programmatiche sono anch’esse norme immediatamente precettive[8];
la norma dello Statuto regionale della Campania che prevede una equilibrata presenza di donne e uomini nella Giunta regionale[9] non è una norma programmatica e contiene un vincolo ad un potere del Presidente della Giunta regionale[10];
la discrezionalità politica trova un limite nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento[11];
in assenza di una previsione statutaria che preveda l’esatta consistenza della quota di riserva da attribuire ai membri del sesso meno rappresentato, la nomina anche di un solo membro di sesso femminile rispetta il principio delle pari opportunità tra donne e uomini all’interno di una Giunta provinciale[12].
Parte Seconda
Passo ora alla parte del mio parere che esamina il problema se una previsione normativa contenente le così dette “quote rosa” sarebbe idonea ad attuare le pari opportunità tra donne e uomini per quanto riguarda l’accesso al mondo del lavoro.
A tal fine, prendo in esame la previsione di una quota rosa pari al 50% e preciso subito che non posso adottare una percentuale diversa.
Infatti, una percentuale minore del 50% rappresenterebbe una discriminazione contro le donne, mentre una percentuale superiore al 50% rappresenterebbe una discriminazione contro gli uomini.
Proseguo il mio ragionamento e prendo ad esempio un settore professionale nel quale le donne preparate e meritevoli siano il 10% della forza lavoro[13].
In tal caso, per rispettare la quota rosa del 50%, si dovrebbe procedere alla immissione, nel settore in esame, di un 40% di donne incapaci ed immeritevoli, con una conseguente discriminazione contro gli uomini.
Al contrario, nel caso di un settore professionale nel quale le donne preparate e meritevoli siano, ad esempio, il 90% della forza lavoro[14], la previsione di una quota rosa pari al 50% obbligherebbe a lasciare a casa il rimanente 40% di donne preparate e meritevoli per assumere una identica percentuale di uomini incapaci ed immeritevoli.
La discriminazione, in questo caso, sarebbe contro le donne.
Di conseguenza, una quota rosa pari al 50% attua le pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso al mondo del lavoro solo e soltanto nel caso in cui vi sia la certezza matematica che, all’interno del settore professionale preso in esame, le donne preparate e meritevoli siano esattamente il 50% della forza lavoro[15], non una di più, non una di meno !
Quindi, all’infuori dei casi nei quali vi sia la certezza della quale ho appena parlato, una quota rosa pari al 50% si traduce inevitabilmente, o in una discriminazione contro gli uomini, o in una discriminazione contro le donne.
A questo punto si pone la domanda: se non con le quote rosa, in quale altro modo realizzare le pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso al mondo del lavoro ?
La risposta è semplice: applicando la legge già in vigore.
In particolare, le norme sui reati di abuso d’ufficio[16], corruzione[17] e concussione[18]: le tre strade attraverso le quali persone incapaci ed immeritevoli entrano nel mondo del lavoro e tolgono opportunità alle donne ed agli uomini preparati e meritevoli.
Quanto più vengono espunte dal mondo del lavoro persone incapaci ed immeritevoli, tanto più vi sarà posto per donne e uomini preparati e meritevoli, attuando in tal modo “le pari opportunità tra donne e uomini” delle quali parlano gli articoli della Costituzione italiana che ho citato all’inizio di questo mio parere.
Vi ringrazio per la vostra attenzione.
NOTE A PIE’ DI PAGINA
[1] L’ultimo periodo è stato aggiunto dall’articolo 1, comma 1, della legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1.
[2] Il comma citato è stato aggiunto dall’articolo 3, comma 1, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Sul significato della locuzione “promuovono”, segnalo Consiglio di Stato, sentenza 18 giugno 2015, n. 3115, narrativa del fatto e considerazioni di diritto, paragrafo V.1.2, secondo il quale “la locuzione «promuovono» deve essere intesa nel senso che – nel rispetto del principio di legalità – vi siano disposizioni che tendano alla rimozione degli ostacoli limitanti la parità di genere, eliminando posizioni di privilegio agli appartenenti ad uno di essi, e non nel senso che tendano alla assoluta parità di rappresentanza dei due sessi nelle liste elettorali.”.
[3] Corte Costituzionale, sentenza 12 settembre 1995, n. 422, considerazioni di diritto, paragrafo 6, contrastano con l’articolo 3, comma 2, della Costituzione le norme che “non si propongono di “rimuovere” gli ostacoli che impediscono alle donne di raggiungere determinati risultati, bensì di attribuire loro direttamente quei risultati medesimi”.
[4] Ma prima della modifica dell’articolo 51 dello stesso testo.
[5] Corte Costituzionale, sentenza 13 febbraio 2003, n. 49, considerazioni di diritto, paragrafo 5, a proposito del vincolo contenuto nelle Norme per l’elezione del Consiglio regionale della Valle d’Aosta per il quale le liste elettorali devono comprendere “candidati di entrambi i sessi” si legge che “il vincolo resta limitato al momento della formazione delle liste, e non incide in alcun modo sui diritti dei cittadini, sulla libertà di voto degli elettori e sulla parità di chances delle liste e dei candidati e delle candidate nella competizione elettorale, né sul carattere unitario della rappresentanza elettiva”.
[6] Corte Costituzionale, sentenza 14 gennaio 2010, n. 4, considerazioni di diritto, paragrafo 3.3, “la nuova regola rende maggiormente possibile il riequilibrio, ma non lo impone. Si tratta quindi di una misura promozionale, ma non coattiva.”. La Corte si riferisce all’articolo 4, comma 3, della legge della Regione Campania n. 4 del 27 marzo 2009 (legge elettorale) il quale dispone: “L’elettore può esprimere, nelle apposite righe della scheda, uno o due voti di preferenza, scrivendo il cognome ovvero il nome ed il cognome dei due candidati compresi nella lista stessa. Nel caso di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile e l’altra un candidato di genere femminile della stessa lista, pena l’annullamento della seconda preferenza.”.
[7] Consiglio di Stato, sentenza 27 luglio 2011, n. 4502, considerazioni di diritto, paragrafo 2, a proposito del decreto di nomina di un assessore regionale da parte del Presidente della Giunta regionale della Campania “L’atto di nomina di un assessore regionale, da un lato, non è libero nella scelta dei fini, essendo sostanzialmente rivolto al miglioramento della compagine di ausilio del Presidente della Regione nell’amministrazione della Regione stessa, e dall’altro è sottoposto a criteri strettamente giuridici come quello citato dell’art. 46, comma 3, dello Statuto campano.Di conseguenza, deve ritenersene ammissibile l’impugnativa davanti al giudice amministrativo, in quanto posto in essere da un’autorità amministrativa e nell’esercizio di un potere amministrativo, sia pure ampiamente discrezionale.”. Per un approfondimento della relativa motivazione, rinvio alla pregevole disamina sulle differenze tra atto politico ed atto di alta amministrazione svolta dal Consiglio di Stato nella sentenza ora citata.
[8] Consiglio di Stato, sentenza 27 luglio 2011, n. 4502, considerazioni di diritto, paragrafo 3, “Benché, come già argomentato, tutte le norme sono, per definizione, immediatamente precettive, la differenza tra quelle che si dicono propriamente programmatiche e le altre consiste soltanto nella speciale natura del precetto contenuto nelle prime, e quindi negli speciali effetti che ne derivano. Esse, infatti, non disciplinano direttamente quelle date materie, cui tuttavia si riferiscono, ma disciplinano con efficacia immediata comportamenti statali, destinati a loro volta a incidere su dette materie, con gli scopi, nei modi e nel senso voluti dalla norma programmatica.”.
[9] Consiglio di Stato, sentenza 27 luglio 2011, n. 4502, narrativa del fatto, “l’art. 46, comma 3, dello Statuto campano che stabilisce che “il Presidente della Giunta regionale nomina, nel pieno rispetto del principio di una equilibrata presenza di donne ed uomini, i componenti la Giunta”.”.
[10] Consiglio di Stato, sentenza 27 luglio 2011, n. 4502, considerazioni di diritto, paragrafo 3, il testo qui di seguito è la prosecuzione di quello citato tra virgolette nella nota 8 “Non è certo questa la natura della norma controversa contenuta nello Statuto campano. Tale norma si riferisce esplicitamente ed inequivocabilmente all’atto della nomina degli assessori e pone, dunque, un vincolo, sia pur elastico, ad un determinato potere spettante al Presidente della Regione. Tale potere. si esprime con un atto che, come già detto, è di alta amministrazione: nell’enunciato normativo nessun elemento testuale autorizza a ritenere che la norma stessa costituisca un programma promozionale da attuare successivamente ad opera di organi regionali.”.
[11] Consiglio di Stato, sentenza 21 giugno 2012, n. 3670, considerazioni di diritto, a proposito della previsione normativa delle così dette “quote rosa”, “Il principio, come è noto, è stato autorevolmente confermato dalla stessa Corte costituzionale con sentenza 5 aprile 2012, n. 81, la quale ha stabilito che gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la “composizione” politica degli interessi deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto. Nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate.”. Nel merito, il Consiglio di Stato si è richiamato in toto alla sentenza 27 luglio 2011, n. 4502, poc’anzi citata più volte, ed ha annullato i decreti con i quali il Presidente della Regione Lombardia, in seguito alle elezioni amministrative, aveva nominato quindici componenti della Giunta regionale di sesso maschile ed uno solo di sesso femminile.
[12] Consiglio di Stato, parere 16 marzo 2012, n. 1306, “Nella specie la giunta ha nel suo seno un componente di sesso femminile e in assenza di norme nello statuto della provincia di Caserta che prevedano una quota di riserva deve ritenersi che la nomina di una donna renda impossibile ravvisare gli estremi della violazione della disposizione costituzionale e o di quella del testo unico sugli enti locali.”. Conforme, Consiglio di Stato, sentenza 05 dicembre 2012, n. 6228. Conforme, Consiglio di Stato, sentenza 23 giugno 2014, n. 3144, secondo il quale, in questi casi, è necessario impugnare lo Statuto nei modi e nei termini di legge.
[13] Considerata nel suo complesso. Dunque, sia quella attualmente già impiegata, sia quella potenzialmente impiegabile.
Con l’espressione Italian sounding si indica il fenomeno per il quale, nel nome o nella grafica di un prodotto, vi è un richiamo alla italianità di esso la quale, in realtà, è inesistente, perché il richiamo in parola è operato attraverso l’imitazione di denominazioni, marchi o segni che appartengono, o a dei prodotti italiani autentici, o a degli oggetti e/o a dei luoghi inconfondibilmente italiani.
Premetto che la nozione di “paese d’origine” è la seguente: “Sono originarie di un paese le merci interamente ottenute in tale paese”[1], mentre il “luogo di provenienza” è “qualunque luogo indicato come quello da cui proviene l’alimento, ma che non è il «paese d’origine»”[2].
In altre parole, nel caso di un prodotto interamente ottenuto nel paese A, che venga poi immagazzinato nel paese B e da lì successivamente commercializzato, il paese A è il paese d’origine, mentre il paese B è il luogo di provenienza.
Nelle vetrine del padiglione della Coldiretti alla Esposizione universale di Milano 2015[3] veniva denunciato pubblicamente il fenomeno dell’Italian sounding attraverso l’esposizione di alcuni prodotti alimentari acquistati nell’Unione Europea.
Infatti, alcuni dei prodotti esposti potevano “indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento”[4], come ad esempio:
– “Pompeian oil” (olio pompeiano), prodotto negli Stati Uniti d’America, con la scritta in etichetta “olio extra vergine di oliva – prima spremitura a freddo” (vedi foto);
Foto scattata con il mio cellulare
– “Sono bello pizza quattro formaggi il gusto italiano”, prodotta in Russia, sulla cui confezione si vede anche il tricolore italiano sotto la scritta “Sono bello” (vedi foto);
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– il formaggio “Cambozola” prodotto in Germania (vedi foto);
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– il salame “Siciliano”, prodotto in Canada, con la scritta “Italian style salami à l’italienne” (salame all’italiana) e sulla cui confezione si vede la marca “Mastro” scritta all’interno di un ovale con i colori della bandiera italiana (vedi foto);
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– la tanica di vino da 5 litri, marca “Ekens exklusiv” (Quercia esclusiva), prodotto in Svezia, con la scritta “Chianti Bianco 5 litri di succo d’uva concentrato di alta qualità Fornisce 20-23 litri di vino finito” (vedi foto);
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– la confezione da 1,5 litri, marca “California Connoisseur” (California intenditore), prodotto in Canada, con la scritta “Barolo vino rosso kit di vino di qualità da 1,5 litri se ne ottengono 4,5” (vedi foto).
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Altri prodotti alimentari, invece, erano decisamente odiosi perché, alla possibilità di indurre in errore il consumatore sulla loro origine o provenienza, aggiungevano anche il vilipendio alla nazione italiana, come ad esempio:
– “caffè mafioZZo oro lo stile italiano”, prodotto in Bulgaria, sulla cui confezione c’è anche la raffigurazione stilizzata di un padrino della mafia che fuma una pipa con un sorriso beffardo (vedi foto);
Foto scattata con il mio cellulare
– il barattolo di spezie triturate, prodotto in Germania, sulla cui etichetta c’è la scritta “Palermo Mafia shooting” (la mafia di Palermo che spara), con la raffigurazione in etichetta di una pistola automatica accanto alla parola “Palermo” (vedi foto);
Foto scattata con il mio cellulare
– la “Maffiasaus sauce maffia” (salsa mafia) prodotta in Belgio, il “Fernet mafiosi” prodotto in Germania e il “Chilli mafia” prodotto nel Regno Unito (vedi foto).
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Prima di procedere, desidero ringraziare tutti coloro che hanno allestito il padiglione della Coldiretti ad Expo Milano 2015 per avere portato alla mia attenzione queste realtà.
Preciso che, durante la mia visita al padiglione citato, non ho certo effettuato una analisi della composizione chimica degli alimenti che erano esposti nelle vetrine; come molti altri visitatori, mi sono limitato a scattare delle fotografie.
Pertanto, questo contributo non si soffermerà sulla alterazione della composizione organica degli alimenti, ma unicamente sul fenomeno dell’Italian sounding.
Nei casi appena descritti, il richiamo alla presunta italianità dei prodotti si concretizza nell’uso illegittimo dei marchi notori “Barolo” e “Chianti”, nell’impiego del nome “Cambozola” per richiamare alla mente il formaggio Gorgonzola, nell’uso dell’aggettivo pompeiano, nell’impiego delle espressioni “il gusto italiano” o “lo stile italiano” e infine nell’uso della bandiera italiana o dei suoi colori.
Ciascuno dei prodotti alimentari che ho elencato andrebbe contestato legalmente nel paese d’origine, nel luogo di provenienza – se è diverso dal paese d’origine – e nei paesi nei quali viene commercializzato.
Per un’azione legale di tal genere è necessario condurre – per ciascun prodotto – una ricerca all’interno della normativa vigente nei diversi ordinamenti giuridici coinvolti.
Questa ricerca dovrebbe prendere in esame l’ordinamento nazionale adito, quello sovra-nazionale eventualmente applicabile (ad esempio, il diritto dell’Unione Europea) e il diritto internazionale pubblico (le convenzioni internazionali per la protezione del marchio, del brevetto per modello di utilità e della registrazione di disegni e modelli).
Alla luce di ciò, il contributo che segue offre un’analisi introduttiva alla normativa applicabile al fenomeno dell’Italian sounding in Italia e all’estero.
Le branche del diritto italiano chiamate in causa da questo fenomeno sono molteplici.
Ogni caso da me citato, infatti, è rilevante per il diritto civile, per il diritto penale – in particolare per il diritto penale commerciale – e infine per il diritto industriale.
DIRITTO CIVILE
Nel campo del diritto civile, rileva in particolare la concorrenza sleale disciplinata dall’articolo 2598 del codice civile italiano[5].
Tra le varie forme nelle quali essa può esplicarsi, mi soffermo sulla concorrenza sleale realizzata tramite atti contrari alla correttezza professionale (articolo 2598, numero 3, codice civile).
Quest’ultima può realizzarsi tramite “tutti gli atti non conformi ai principi della correttezza professionale e idonei a danneggiare l’altrui azienda”.
La norma appena citata vieta tutte quelle fattispecie di concorrenza sleale che non sono già tipizzate nei numeri 1 e 2 che la precedono all’interno del medesimo articolo del codice.
I numeri 1 e 2 in parola riguardano la concorrenza sleale realizzata tramite atti di confusione, di denigrazione o di appropriazione di pregi.
La caratteristica di essere una norma contenitore di fattispecie non tipizzate conferisce al numero 3 dell’articolo 2598 l’elasticità necessaria per adeguare la tutela della concorrenza sleale all’evoluzione della vita economica e al sorgere di forme di concorrenza sleale sempre più raffinate.
I messaggi ingannevoli sono una delle modalità di espressione degli atti contrari alla correttezza professionale previsti dal numero 3 dell’articolo in esame.
La loro nozione è più ampia di quella del così detto mendacio concorrenziale, che pure rientra al loro interno.
Il messaggio ingannevole, infatti, consiste in qualsiasi comunicazione, rivolta ai potenziali consumatori di un prodotto o ai fruitori di un servizio, che non corrisponda alla verità, sia idonea ad ingannare i suoi destinatari e a causare un danno concorrenziale.
Per quanto riguarda il requisito della mancata corrispondenza del messaggio comunicato alla verità, va sottolineato che le confezioni e le etichette dei prodotti alimentari elencati all’inizio di questo contributo non contengono semplici menzogne innocue, affermazioni generiche o iperboliche.
Fattispecie, queste ultime, non idonee ad ingannare il potenziale consumatore e pertanto lecite.
Al contrario, le confezioni e le etichette in esame recano scritti o raffigurati dei messaggi nei quali vengono omesse notizie essenziali o ne vengono fornite di false (ad esempio, il Chianti e il Barolo non sono vini che devono essere allungati con l’acqua o con altre sostanze per ottenere il prodotto finale) o nei quali vi è inganno sul paese d’origine o sul luogo di provenienza reali del prodotto commercializzato (ad esempio, “Pompeian oil” per un prodotto originario degli Stati Uniti d’America).
L’ulteriore requisito della idoneità ad ingannare i potenziali consumatori va valutato con riferimento alla modalità della diffusione del messaggio presso il pubblico e al tipo di prodotto interessato.
Per quanto riguarda la modalità della diffusione del messaggio ingannevole, bisogna considerare che, nei casi descritti all’inizio, esso non viene diffuso tramite una campagna pubblicitaria sulla stampa specializzata, i cui lettori sono particolarmente esperti di quel settore e dunque più difficili da ingannare.
Al contrario, il messaggio ingannevole sul paese d’origine o sul luogo di provenienza del bene venduto è presente sulle confezioni e sulle etichette di prodotti messi in vendita al dettaglio nei negozi e nei supermercati.
Destinatari del messaggio, quindi, non sono gli esperti del settore che leggono una rivista specializzata, ma le persone comuni che vanno tutti i giorni a fare la spesa.
Per quanto concerne poi il tipo di prodotto interessato, il giudizio sulla idoneità del messaggio ad ingannare i consumatori si traduce in una condanna molto severa quando esso riguarda dei prodotti di largo consumo, come ad esempio quelli alimentari.
Il motivo di questa severità è dato dal gran numero di soggetti vittime potenziali o reali dell’inganno.
Per queste sue caratteristiche, la concorrenza sleale realizzata tramite un messaggio ingannevole si differenzia da quella realizzata tramite gli atti di denigrazione o di appropriazione di pregi disciplinata dal numero 2 dell’articolo 2598 del codice civile.
Questi ultimi due tipi di atti, infatti, colpiscono un concorrente determinato il quale, a causa di essi, subisce un danno concorrenziale.
Nel messaggio ingannevole, al contrario, non vi è un soggetto specifico e ben individuato che viene leso e, pertanto, il danno concorrenziale può riguardare anche una pluralità di soggetti o un intero settore economico.
Il fenomeno dell’Italian sounding, infatti, produce un danno concorrenziale che colpisce l’intero settore agro-alimentare italiano e ha una portata assai più vasta del danno provocato dalla contraffazione alimentare in senso proprio.
Nel periodo 2009-2012, “il valore della contraffazione dei prodotti agroalimentari sul mercato globale è stimato in oltre 6 miliardi di euro per i fenomeni di contraffazione in senso proprio e in 54 miliardi di euro per l’“Italian sounding” ”[6].
Per quanto riguarda, infine, la concorrenza sleale tramite atti di confusione (articolo 2598, numero 1, codice civile) occorre distinguere tre ipotesi.
Da una parte vi sono gli atti di confusione che si esplicano nella imitazione servile dei prodotti di un concorrente o in altri mezzi idonei a creare confusione.
Queste fattispecie si differenziano dalla concorrenza sleale tramite atti contrari alla correttezza professionale perché anche esse – al pari degli atti di denigrazione e di appropriazione di pregi – colpiscono un concorrente determinato.
Dall’altra parte, c’è l’ipotesi di uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri.
Per questa fattispecie si pone la questione della sovrapposizione della norma in esame con le disposizioni del Codice italiano sulla proprietà industriale[7] nel caso in cui i segni distintivi legittimamente usati da altri siano segni tipici, come la ditta, l’insegna e il marchio registrato.
Le espressioni “legittimamente usati da altri” e “produrre confusione” – impiegate nel testo dell’articolo 2598, numero 1, codice civile – indicano che, per azionare in giudizio questa norma, è necessario dimostrare il possesso di due requisiti.
Il primo è l’uso del segno distintivo, da parte del suo legittimo utilizzatore, anteriore nel tempo rispetto all’uso che ne ha fatto il suo imitatore.
Il secondo è la sovrapposizione territoriale dell’uso dei due segni; altrimenti, non vi sarebbe la confusione tra l’uso che del segno distintivo fa il suo legittimo utilizzatore e quello che ne fa il suo imitatore.
Se questi due requisiti non sono entrambi presenti, il legittimo utilizzatore di un segno distintivo tipico, colpito in Italia da atti di concorrenza sleale per confusione, potrà agire in giudizio unicamente con le norme del Codice della proprietà industriale.
Invece, nel caso in cui i requisiti descritti siano entrambi presenti, il legittimo utilizzatore di un segno distintivo tipico, colpito in Italia da atti di concorrenza sleale per confusione, potrà agire in giudizio usando l’articolo 2598 codice civile e il Codice della proprietà industriale in concorso tra loro.
Questa conclusione si ricava dal testo dell’articolo 2598 in esame che inizia dicendo “Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale”… .
Se la norma in esame avesse voluto escludere il possibile uso di se stessa in concorso con le norme sulla proprietà industriale, avrebbe detto: al di fuori dei casi nei quali è applicabile la normativa di tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale… .
Infine, nel caso in cui i segni distintivi legittimamente usati da altri e colpiti in Italia da atti di concorrenza sleale per confusione siano segni atipici – come la sigla o l’emblema – il loro legittimo utilizzatore potrà agire in giudizio con l’articolo 2598 del codice civile.
Concludo la sezione dedicata al diritto civile ricordando che, ai sensi degli articoli 2599 e 2600 dell’omonimo codice, la sentenza che accerta il compimento di atti di concorrenza sleale “ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti”; inoltre, condanna l’autore o gli autori degli atti al risarcimento dei danni e può ordinare che la sentenza stessa venga pubblicata.
DIRITTO PENALE
In questa parte del mio contributo, non mi soffermerò sulla analisi delle varie norme penali italiane rilevanti per la repressione del fenomeno dell’Italian sounding.
Mi limito unicamente a citare gli articoli 473, 474 – 474quater, 475, 517 – 517quinquies, 518 del codice penale italiano[8].
Desidero infatti soffermarmi sul diverso profilo del vilipendio alla nazione italiana che alcuni prodotti contraffatti recano sulle loro confezioni o etichette.
Ho citato alcuni casi di questo odioso fenomeno all’inizio di questo contributo, quando ho elencato alcuni prodotti i quali, oltre alla possibilità di indurre in errore il consumatore sulla loro origine o provenienza, contengono anche l’accostamento grafico e concettuale tra i nomi “mafia”, “mafioZZo”, “mafiosi”, da una parte, e l’Italia, la città di Palermo e il popolo italiano, dall’altra parte.
Il vilipendio alla nazione italiana è un reato previsto e punito dall’articolo 291 del codice penale italiano che recita: “Chiunque pubblicamente vilipende la nazione italiana è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000”.
“Secondo la comune accezione del termine, il vilipendio consiste nel tenere a vile, nel ricusare qualsiasi valore etico o sociale o politico all’entità contro cui la manifestazione é diretta sì da negarle ogni prestigio, rispetto, fiducia”[9].
Oggetto della condotta del vilipendere in questo reato è la nazione italiana, vale a dire la collettività degli italiani intesa come unità etica e sociale.
La sanzione decisamente blanda – consistente nella multa da mille a cinquemila euro – è rafforzata dal discredito sociale, conseguenza non giuridica della condanna per un tale delitto.
Accostare – come fanno i prodotti alimentari in esame – i nomi “mafia”, “mafioZZo”, “mafiosi”, da una parte, e l’Italia, la città di Palermo e il popolo italiano, dall’altra parte, significa presentare la nazione italiana come una nazione di mafiosi.
Questa affermazione, oltre a non corrispondere al vero, integra la condotta del reato che ho appena descritto.
Su questo punto è bene essere chiari.
È vero che in Italia la mafia esiste – come dimostrano le numerose sentenze di condanna passate in giudicato per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso – ma questo non implica che tutti gli italiani siano dei mafiosi.
Al solo e unico scopo di far comprendere l’estrema gravità della condotta in esame anche a chi non è italiano, mi accingo ora ad esporre degli esempi.
Preciso che essi sono frutto della mia fantasia e non hanno alcun intento offensivo, ma unicamente uno scopo didattico.
Premetto, infine, che la trattazione che segue contiene dei forti contenuti emotivi.
Ecco un primo esempio.
Immaginate che una impresa di un paese straniero ponga in commercio un prodotto il quale abbia sulla sua confezione le seguenti scritte: carbone per barbecue Auschwitz l’efficienza tedesca, con l’aggiunta della raffigurazione stilizzata di un forno crematorio con lo sportello aperto che lasci intravedere al suo interno del carbone.
Mi rivolgo ora ai lettori di nazionalità tedesca e gli domando: «Voi come vi sentireste in questo caso?».
Ribadisco che il prodotto che ho appena descritto non esiste, è solo un esempio frutto della mia fantasia che ha lo scopo di far comprendere a chi non è italiano la gravità della condotta criminosa di vilipendio alla nazione italiana realizzata dai prodotti alimentari dei quali sto parlando.
Al contrario, il “caffè mafioZZo oro lo stile italiano”, prodotto in Bulgaria, sulla cui confezione c’è anche la raffigurazione stilizzata di un padrino della mafia che fuma una pipa con un sorriso beffardo, non solo esiste veramente, ma è anche in commercio[10].
Poiché sono convinto del fatto che un accordo amichevole è il modo migliore per risolvere una controversia, offro gratuitamente alla ditta che produce il “caffè mafioZZo” la mia proposta di una campagna pubblicitaria alternativa per il loro prodotto.
Per fare ciò, sono partito dalla considerazione in base alla quale – al di fuori del caso del marchio notorio – una confezione di caffè è un prodotto commercialmente valido per la qualità di caffè che contiene e non per il nome con il quale viene commercializzata.
Per questo motivo, propongo alla ditta che produce il caffè in parola di eliminare dalla confezione del prodotto il nome “mafioZZo”, l’espressione “lo stile italiano” e la raffigurazione stilizzata di un padrino della mafia e di mettere al loro posto quanto segue: “Caffè Tangra – tostato in alta quota – tutto l’aroma di montagna in una tazzina”, con la raffigurazione stilizzata della vetta del monte Tangra.
Tangra è il nome originario bulgaro del monte Mussala.
Con un’altezza di 2.925 metri sul livello del mare, è la cima più alta della Bulgaria e di tutta la penisola balcanica.
Si trova all’interno del Parco nazionale del Rila.
È noto, sia per la sua flora, sia per la sua fauna.
Sulle sue pendici, infatti, crescono il pino macedone e l’abete bulgaro, vi si può avvistare il picchio muraiolo e vi si trovano le sorgenti di tre dei maggiori fiumi della Bulgaria: l’Iskar, il Marizza e il Mesta.
Dalla vetta del monte – dove è presente una stazione meteorologica – si possono ammirare dei panorami splendidi.
Da lì, infatti, si vedono tutte le maggiori catene montuose della Bulgaria: la Vitoša, gli Antibalcani (in bulgaro, Sredna Gora, Media Montagna), i Monti Balcani (in bulgaro, Stara Planina, Vecchia Montagna), i Monti Rodopi, i monti Pirin, Osogovo e Ruj, oltre alle altre vette della catena del Rila: il Piccolo Mussala e l’Ireček.
Mi rivolgo quindi alla ditta che produce il “caffè mafioZZo” e gli domando: «Veramente per voi il Tangra, la sua natura e i suoi panorami meravigliosi sono meno attraenti del nome “mafioZZo” e della raffigurazione stilizzata di un padrino della mafia?».
Passo ora ad esporre un altro esempio, anch’esso frutto della mia fantasia.
Immaginate che una impresa informatica di un paese straniero pubblicizzi il suo nuovo software così: «Per comunicare con i colleghi di lavoro perdete molto tempo? Per arrivare alla versione finale di un documento di lavoro dovete fare riunioni continue, stampare lo stesso documento in molte copie e ristamparlo ancora dopo ogni correzione anche minima? Da oggi in poi tutto questo finirà. Con il nostro nuovo software potrete lavorare su un documento in contemporanea con i vostri colleghi di lavoro, anche se essi si trovano in luoghi diversi. Un nuovo modo di collaborare che semplificherà il vostro lavoro facendovi risparmiare tempo e denaro».
Immaginate anche che questa impresa informatica straniera decida di dare al suo nuovo software il seguente nome: Vichy – la collaborazione francese.
Mi rivolgo ora ai lettori di nazionalità francese e gli domando: «Voi come vi sentireste in questo caso?».
Ribadisco nuovamente che la campagna pubblicitaria che ho appena descritto non esiste, è solo un esempio frutto della mia fantasia che ha lo scopo di far comprendere a chi non è italiano la gravità della condotta criminosa di vilipendio alla nazione italiana realizzata dai prodotti alimentari dei quali sto parlando.
Al contrario, il barattolo di spezie triturate, prodotto in Germania, sulla cui etichetta c’è la scritta “Palermo Mafia shooting” (la mafia di Palermo che spara), con la raffigurazione in etichetta di una pistola automatica accanto alla parola “Palermo”, non solo esiste veramente, ma è anche in commercio[11].
Anche in questo caso, offro gratuitamente alla ditta che produce il barattolo di spezie “Palermo Mafia shooting” la mia proposta di una campagna pubblicitaria alternativa per il loro prodotto, con la convinzione che una soluzione amichevole sia il modo migliore per risolvere una controversia.
Come nell’esempio precedente, anche qui va sottolineato che – al di fuori del caso del marchio notorio – un barattolo di spezie triturate è destinato ad avere un successo commerciale per la qualità delle spezie che contiene e non per il nome che lo stesso reca in etichetta.
Per questo motivo, propongo alla ditta che produce il barattolo di spezie in parola di eliminare dalla etichetta l’espressione “Palermo Mafia shooting” e la raffigurazione della pistola automatica accanto alla parola “Palermo” e di mettere al loro posto quanto segue: “Föhn – miscela di spezie triturate – dai un tocco caldo e pungente ai tuoi piatti”.
Come è noto, il Föhn – in italiano, favonio – è un vento caldo e secco, discendente dal lato sotto vento di un versante montuoso, che può causare un aumento della temperatura fino a trenta gradi centigradi in poche ore.
Mi rivolgo quindi alla ditta che produce il barattolo di spezie in esame e gli domando: «Veramente per voi il Föhn, la sua forza e il caldo avvolgente che esso offre sono meno attraenti dell’espressione “Palermo Mafia shooting” e della raffigurazione di una pistola automatica?».
Espongo, infine, un terzo esempio, anche questo frutto della mia fantasia.
Immaginate che una impresa di un paese straniero ponga in commercio un prodotto il quale abbia sulla sua confezione le seguenti scritte: insetticida ecologico non lascia aloni, né cattivi odori li ammazza tutti senza sbagliare.
Immaginate anche che questa impresa straniera decida di chiamare il suo prodotto così: ETA il temperamento spagnolo.
Mi rivolgo ora ai lettori di nazionalità spagnola e gli domando: «Voi come vi sentireste in questo caso?».
Ripeto ancora una volta che il prodotto che ho appena descritto non esiste, è solo un esempio frutto della mia fantasia che ha lo scopo di far comprendere a chi non è italiano la gravità della condotta criminosa di vilipendio alla nazione italiana realizzata dai prodotti alimentari dei quali sto parlando.
Al contrario, la “Maffiasaus sauce maffia” (salsa mafia) prodotta in Belgio, il “Fernet mafiosi” prodotto in Germania e il “Chilli mafia” prodotto nel Regno Unito non solo esistono veramente, ma sono anche in commercio[12].
Poiché resto convinto del fatto che un accordo amichevole è il modo migliore per risolvere una controversia, offro gratuitamente alle ditte che fabbricano i prodotti che ho appena citato la mia proposta di una campagna pubblicitaria alternativa per gli stessi.
Anche in questi ultimi casi vale la considerazione che – al di fuori del caso del marchio notorio – è la qualità del prodotto che conta e non il nome scritto sull’etichetta.
Per questo motivo, propongo alle ditte in parola di eliminare i nomi “maffia”, “mafia” e “mafiosi” e di mettere in etichetta al loro posto quanto segue:
– “salsa Ghibli – il gusto persistente della senape” (o della diversa spezia il cui aroma risulta preponderante all’interno del prodotto), con la raffigurazione stilizzata delle dune del deserto;
– “Fernet degli Elfi – dai veri conoscitori del bosco, le erbe migliori per un amaro unico”, con la raffigurazione, su fondo bianco, della sagoma nera di un elfo mentre è intento a preparare un distillato di erbe oppure con un bicchiere di amaro in mano;
– “Chilli sombrero – rilàssati prima che lui ti scuota”, con la raffigurazione stilizzata di un paesaggio desertico con in primo piano un peperoncino che dorme con un sombrero in testa.
Mi rivolgo anche questa volta alle ditte che fabbricano i prodotti citati e gli domando: «Veramente per voi le dune del deserto, gli elfi e il bosco sono meno attraenti dei nomi “maffia”, “mafia” e “mafiosi”?».
Mi auguro che questi esempi portino ad un cambiamento di mentalità e che le idee pubblicitarie che escogiteremo insieme possano essere lo spunto per molte campagne promozionali di successo che cancellino per sempre tutti i casi di vilipendio alla nazione italiana che ancora sussistono.
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA
La normativa europea di contrasto al fenomeno dell’Italian sounding è molto ampia.
Qui di seguito ne offro una trattazione articolata in tre paragrafi.
Premetto che il regolamento è un atto normativo immediatamente efficace negli ordinamenti dei paesi membri dell’Unione Europea, senza bisogno di un atto nazionale di recepimento.
1 – RINTRACCIABILITÀ
Dal 1° gennaio 2005 si applica la disciplina sulla “rintracciabilità degli alimenti, dei mangimi, degli animali destinati alla produzione alimentare e di qualsiasi altra sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento o di un mangime” ricostruendone e seguendone il percorso “attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione”[13].
Questa procedura comporta che, parallelamente al flusso delle merci, si sviluppi un flusso di informazioni che devono essere registrate e conservate ad ogni passaggio.
In concreto, gli operatori del settore alimentare e dei mangimi devono essere in grado di individuare, sia chi abbia fornito loro, sia le imprese alle quali loro hanno fornito, gli alimenti, i mangimi e le altre sostanze che ho citato per poter poi fornire queste informazioni alle autorità competenti che le chiedano[14].
Gli alimenti o i mangimi che sono, o probabilmente saranno, immessi sul mercato dell’Unione Europea “devono essere adeguatamente etichettati o identificati in modo da agevolarne la rintracciabilità”[15].
Il regolamento in esame rinvia la definizione delle procedure di etichettatura secondo le quali tutto questo deve avvenire ad atti normativi che sono stati adottati successivamente ad esso[16] e dei quali parlerò nel paragrafo tre.
È bene sottolineare che il regolamento in parola non tutela solo la salute umana, ma anche gli interessi dei consumatori[17].
Questo significa “consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli in relazione agli alimenti che consumano” e – per quanto riguarda in particolare il fenomeno dell’Italian sounding – prevenire “le pratiche fraudolente o ingannevoli”, nonché “ogni altro tipo di pratica in grado di indurre in errore il consumatore”[18].
Infatti, l’etichettatura, la pubblicità, la presentazione in qualsiasi forma degli alimenti o dei mangimi e le informazioni su di essi “non devono trarre in inganno i consumatori”[19].
La rintracciabilità degli alimenti, quindi, è uno strumento molto prezioso per accertare se un prodotto alimentare è realmente italiano o vuole solo sembrare tale.
In Italia, esso è un valido aiuto, sia per le aziende unità sanitarie locali, sia per le forze dell’ordine, ai fini della tutela della salute umana e per la repressione dei reati in materia di prodotti alimentari.
Il legislatore comunitario ha in seguito emanato altri due regolamenti: il primo per la rintracciabilità degli imballaggi e dei materiali a contatto con gli alimenti, il secondo contenente delle norme sulla rintracciabilità degli alimenti di origine animale[20].
Anche questi ultimi due strumenti sono utili per la repressione del fenomeno dell’Italian sounding.
Il primo dei due, in particolare, poiché – come si vede nelle fotografie dei prodotti che ho elencato all’inizio di questo contributo – le informazioni sulla falsa origine o provenienza italiana di un prodotto alimentare si trovano proprio sull’imballaggio del prodotto stesso.
2 – DOP, IGP e STG
Il 03 gennaio 2013 è entrato in vigore il regolamento (UE) numero 1151/2012[21] che disciplina la denominazione di origine protetta (DOP), la indicazione geografica protetta (IGP) e la specialità tradizionale garantita (STG).
Dopo averne fornito le relative definizioni[22], il regolamento in parola prevede una tutela differenziata.
Sono previsti simboli diversi per dare pubblicità a ciascuna denominazione[23].
La Commissione dell’Unione Europea tiene due registri aggiornati e accessibili al pubblico, uno per le DOP e le IGP e un altro per le STG[24].
Per le DOP e le IGP, in particolare, sono vietati, sia gli atti di confusione, usurpazione, imitazione o evocazione del nome protetto, sia le indicazioni false o ingannevoli sulla origine, provenienza, natura o qualità essenziali del prodotto.
È previsto che ogni paese membro dell’Unione Europea designi una autorità nazionale deputata alla loro tutela[25].
In Italia questo compito è affidato all’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agro-alimentari – ICQRF[26].
In questo modo, oltre che a seguito di apposita segnalazione, la tutela delle DOP e delle IGP può avvenire anche per una iniziativa d’ufficio da parte della autorità nazionale competente.
Inoltre, il Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari – Nuclei Antifrodi Carabinieri, tramite il progetto “Desk anticontraffazione on-line”, prevede la possibilità per i consorzi di tutela, le associazioni di categoria e i singoli consumatori di inoltrare le segnalazioni di prodotti contraffatti o irregolari, sia tramite un apposito numero verde telefonico, sia all’indirizzo e-mail del Comando attraverso la compilazione della “scheda anticontraffazione”.
Infine, i consorzi di tutela e gli agenti vigilatori possono anche avvalersi del portale www.dop-igp.eu per poter avviare le procedure di contestazione e segnalazione – all’autorità competente in Italia o all’estero – dei casi di violazione delle disposizioni in materia di denominazioni registrate.
Per le STG è previsto il divieto di atti di confusione, usurpazione, imitazione, evocazione o induzione in errore del consumatore[27].
3 – ETICHETTATURA
Dal 13 dicembre 2014 si applica la disciplina sulla etichettatura degli alimenti destinati al consumatore finale e alle collettività[28].
Le finalità di fornire al consumatore le informazioni che gli consentano di effettuare una scelta consapevole, nonché quella di prevenire qualunque pratica in grado di indurlo in errore – che abbiamo già letto nel testo del regolamento sulla rintracciabilità degli alimenti[29] – vengono qui ribadite talmente spesso da farne dei temi centrali[30].
La normativa in esame parla espressamente di “diritto dei consumatori all’informazione”[31].
Il regolamento (UE) numero 1169/2011, tuttavia, non si limita a ribadire quanto già affermato dalla normativa precedente, ma contiene anche un espresso divieto delle condotte tramite le quali si concretizza il fenomeno dell’Italian sounding[32].
Per rendersi conto dell’utilità a tale scopo del testo in esame, basta pensare alla possibile applicazione al formaggio “Cambozola”[33] della norma sulla denominazione dell’alimento[34], oppure all’applicazione della norma sul paese d’origine o luogo di provenienza[35] al prodotto alimentare “Sono bello pizza quattro formaggi il gusto italiano”, prodotta in Russia, sulla cui confezione si vede anche il tricolore italiano sotto la scritta “Sono bello”[36].
Un ulteriore strumento di tutela sarà disponibile dal 09 maggio 2018, giorno in cui entrerà in vigore in Italia la disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011[37].
CONCLUSIONE
Il fenomeno dell’Italian sounding è contrastato da una ricca normativa italiana ed europea.
La varietà delle norme legislative e regolamentari in parola va considerata come un copioso arsenale a tutela dei produttori e dei consumatori di prodotti alimentari.
Spero di avere fatto comprendere a tutti, quindi, che combattere le contraffazioni alimentari e il fenomeno dell’Italian sounding serve a tutelare la salute, l’esperienza culinaria e il portafoglio di ognuno di noi, prima ancora che il settore agro-alimentare italiano.
Vedo già dei segnali incoraggianti di questo cambiamento di mentalità nelle vignette del disegnatore del New York Times Nicolas Blechman dal titolo “Il mistero del San Marzano”.
In esse, vengono denunciati i cloni dei noti pomodori italiani San Marzano e viene spiegato come distinguere i pomodori originali da quelli contraffatti.
Spero che un giorno le contraffazioni alimentari e il fenomeno dell’Italian sounding saranno solo un ricordo del passato che sussiste solo nelle vignette di qualche bravo disegnatore.
Ringrazio le lettrici e i lettori per il tempo e per l’attenzione che hanno dedicato a questo mio lavoro.
NOTE A PIE’ DI PAGINA
[1] Vedi l’articolo 23, comma 1, del regolamento (CEE) numero 2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L302 del 19 ottobre 1992.
[2] Vedi l’articolo 2, comma 2, lettera g), del regolamento (UE) numero 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L304 del 22 novembre 2011.
[4] Vedi l’articolo 26, comma 2, lettera a), del regolamento (UE) numero 1169/2011, citato, che prevede, a tale riguardo, l’obbligo di indicare in etichetta il paese d’origine o il luogo di provenienza dell’alimento.
[5] Regio decreto 16 marzo 1942, numero 262, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, numero 79, del 04 aprile 1942, e successive modificazioni e integrazioni.
[6] Vedi il comunicato stampa del 04 luglio 2014 del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali della Repubblica italiana che cita i dati del primo Rapporto Iperico Agroalimentare sull’attività del Nucleo Antifrodi Carabinieri nella “Lotta alla contraffazione in Italia nel settore agroalimentare 2009-2012”. Il comunicato stampa è presente sul sito internet www.politicheagricole.it alla data del 02 settembre 2015.
[7] Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, numero 52, del 04 marzo 2005, Supplemento ordinario numero 28, e successive modificazioni e integrazioni.
[8] Regio decreto 19 ottobre 1930, numero 1398, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, numero 251 (Straordinario), del 26 ottobre 1930, parte prima.
[9] Vedi Corte costituzionale italiana, sentenza 30 gennaio 1974, n. 20, Considerato in diritto, paragrafo 5.
[10] Vedi la relativa fotografia all’inizio di questo contributo.
[11] Vedi la relativa fotografia all’inizio di questo contributo.
[12] Vedi le relative fotografie all’inizio di questo contributo.
[13] Regolamento (CE) numero 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L31 del 1° febbraio 2012; confronta l’articolo 65, secondo periodo. Gli articoli citati tra virgolette sono, rispettivamente, l’articolo 18, comma 1 e l’articolo 3, numero 15).
[14] Confronta l’articolo 18, commi 2 e 3, del regolamento (CE) numero 178/2002, citato.
[15] Vedi l’articolo 18, comma 4, del regolamento (CE) numero 178/2002, citato.
[16] Confronta l’articolo 18, comma 4, del regolamento (CE) numero 178/2002, citato.
[17] Confronta l’articolo 1, comma 1, del regolamento (CE) numero 178/2002, citato.
[18] Vedi l’articolo 8 del regolamento (CE) numero 178/2002, citato.
[19] Vedi l’articolo 16 del regolamento (CE) numero 178/2002, citato.
[20] Regolamento (CE) numero 1935/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 ottobre 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L338 del 13 novembre 2004; confronta l’articolo 1, l’articolo 17 e l’articolo 28, secondo periodo, che prevede l’applicazione della norma sulla rintracciabilità dei materiali e degli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari dal 27 ottobre 2006.
Regolamento (UE) numero 931/2011 della Commissione del 19 settembre 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L242 del 20 settembre 2011; confronta l’articolo 1 e l’articolo 4, secondo periodo, che prevede l’applicazione delle norme sulla rintracciabilità degli alimenti di origine animale dal 1° luglio 2012.
[21] del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012, così detto “Pacchetto qualità”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L343 del 14 dicembre 2012; confronta l’articolo 59, primo periodo.
[22] Confronta l’articolo 5, commi dall’1 al 3 e l’articolo 18, commi 1, 2 e 4 del regolamento (UE) numero 1151/2012, citato.
[23] Confronta l’articolo 12, comma 2 e l’articolo 23, comma 2, del regolamento (UE) numero 1151/2012, citato.
[24] Confronta gli articoli 11 e 22 del regolamento (UE) numero 1151/2012, citato.
[25] Confronta l’articolo 13, comma 3, del regolamento (UE) numero 1151/2012, citato.
[26] Confronta l’articolo 31 del decreto del 14 ottobre 2013 del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, Serie Generale, numero 251, del 25 ottobre 2013.
[27] Confronta l’articolo 24 del regolamento (UE) numero 1151/2012, citato.
[28] Regolamento (UE) numero 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L304 del 22 novembre 2011; confronta l’articolo 1, comma 3, l’articolo 6 e l’articolo 55, secondo periodo, che prevede due eccezioni: l’obbligatorietà della dichiarazione nutrizionale che si applica a decorrere dal 13 dicembre 2016 e i requisiti specifici relativi alla designazione delle carni macinate che si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2014.
[29] Confronta l’articolo 8 del regolamento (CE) numero 178/2002, citato.
– gli articoli 7, comma 1, lettera a) e comma 4; 9, comma 1, lettera i); 13, comma 1; 14, comma 1; 17; 26, comma 2, lettera a) e comma 3; 36, comma 2, lettera a); 39, comma 1, lettera d) e comma 2;
– l’allegato XI;
tutti nel regolamento (UE) numero 1169/2011, citato.
[33] Vedi la relativa fotografia all’inizio di questo contributo. Come ho già detto, il nome “Cambozola” mira a richiamare alla mente il formaggio italiano Gorgonzola.
[34] Confronta l’articolo 17 – in particolare, il comma 2, secondo periodo – del regolamento (UE) numero 1169/2011, citato.
[35] Confronta l’articolo 26, comma 2, lettera a), del regolamento (UE) numero 1169/2011, citato.
[36] Vedi la relativa fotografia all’inizio di questo contributo.
[37] Decreto Legislativo 15 dicembre 2017, n. 231, Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento (UE) n. 1169/2011 e della direttiva 2011/91/UE, ai sensi dell’articolo 5 della legge 12 agosto 2016, n. 170 «Legge di delegazione europea 2015», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, Serie Generale, numero 32, dell’08 febbraio 2018.
Le citazioni sono state verificate alla data di pubblicazione di questo contributo sul sito www.giorgiocannella.com .