Riflessioni sul battesimo

I passi che il Nuovo Testamento dedica al battesimo ci permettono di migliorare le norme del diritto canonico che consentono di amministrare il battesimo ai neonati e ai bambini.[1]

Lo scopo di questo articolo è rendere i canoni in parola conformi a quanto si legge nella Bibbia.

Come è noto, infatti, il diritto canonico si fonda sulla Scrittura della quale costituisce attuazione dettando regole per disciplinare la vita dei fedeli.

 

 

Fin da quando studiavo teologia, desideravo scrivere le mie riflessioni sulla questione della validità del battesimo amministrato ai neonati e ai bambini.

Il compito è arduo perché l’argomento è già stato affrontato da molti celebri autori.

Dunque, cosa può offrire questo mio contributo?

La risposta è duplice: una trattazione comprensibile anche ai non addetti ai lavori, l’esame della questione anche da un punto di vista legale, oltre che teologico e scritturistico.

 

 

IL NUOVO TESTAMENTO

Partiamo dalle fondamenta: il Nuovo Testamento.

Non può esservi dubbio alcuno che il Nuovo Testamento sancisca che il battesimo vada amministrato unicamente a degli adulti consapevoli.

È sufficiente a tal fine leggere tutti i passi che vanno dal battesimo di conversione amministrato da Giovanni il battista[2] fino al battesimo amministrato nella Chiesa delle origini.[3]

 

A ulteriore dimostrazione di quanto appena detto, ci sono i passi dei vangeli di Marco, di Matteo e di Luca nei quali Gesù Cristo rimprovera gli apostoli perché cecavano di allontanare da lui dei bambini.

Nei passi in parola si legge che Gesù accarezzava e abbracciava i bambini, imponeva loro le mani, li benediceva e pregava per loro.[4]

Nulla di più!

Non c’è scritto che Gesù amministrava ai bambini il battesimo.

Per i cristiani, Gesù Cristo è il figlio di Dio che si è incarnato.

Dio è onnipotente.

Se vuole fare qualcosa, la fa.

Se non la vuole fare, non la fa.

Nulla e nessuno può impedire a Dio di fare ciò che egli desidera.

Se Gesù avesse voluto amministrare a quei bambini il battesimo, lo avrebbe fatto.

Se non lo ha fatto, è perché non ha voluto farlo.

Non si riesce a comprendere, dunque, per quale motivo i cristiani dovrebbero amministrare il battesimo ai neonati e ai bambini se Dio non ha voluto farlo.

 

 

L’OBIEZIONE DI JOACHIM JEREMIAS

Joachim Jeremias obietta[5] che il battesimo dei bambini sarebbe attestato dai passi del Nuovo Testamento nei quali si legge che una persona viene battezzata “con tutti i suoi” o “assieme alla sua famiglia”.[6]

L’obiezione in esame è interessante, ma non può essere condivisa per i seguenti motivi.

 

Innanzitutto, perché non si può dare a un testo un significato difforme da quello che emerge chiaramente dal testo stesso.

Se, come abbiamo letto poc’anzi in ben tre passi di tre vangeli diversi[7], Gesù Cristo non ha voluto amministrare il battesimo ai bambini, non è lecito interpretare le parole “con tutti i suoi” o “assieme alla sua famiglia” per sostenere che il Nuovo Testamento consentirebbe di battezzare i bambini.

 

In secondo luogo, perché senza precisi e inoppugnabili dati testuali, non si può affermare che gli apostoli e san Paolo di Tarso, apostolo delle genti[8], facessero qualcosa di contrario rispetto a quanto ha fatto Gesù Cristo.

Anche in questo caso, infatti, nulla nel Nuovo Testamento consente di dire che gli apostoli e san Paolo di Tarso abbiano scelto di andare contro l’insegnamento di Gesù Cristo il quale, lo ripetiamo, ha scelto di non amministrare il battesimo ai bambini.[9]

 

Inoltre, la cultura giudaica dalla quale provenivano sia gli apostoli, sia san Paolo di Tarso, prevedeva la sequela del Signore unicamente come atto volontario e consapevole compiuto da un adulto.

Nell’Antico Testamento, infatti, l’agire di Dio si attua attraverso un bambino solo in via di eccezione, per un compito preciso che Dio ha pensato per un bambino in particolare e senza conferirgli il battesimo.

Per rendersene conto, è sufficiente leggere i seguenti passi:

 

  • il passo in cui l’angelo del Signore annuncia alla moglie di Manoach, che era sterile, la nascita di suo figlio Sansone con la missione di iniziare a liberare Israele dalle mani dei Filistei.[10] Anche in questo caso, come nei tre passi dei vangeli citati nella nota 4, una volta nato Sansone, il testo dice che il Signore lo benedisse, non che gli diede il battesimo;[11]

 

  • il passo in cui il Signore suscita lo spirito del giovanetto Daniele perché dimostri pubblicamente come calunniosa l’accusa portata in giudizio da due anziani contro Susanna.[12] Anche in qui, come nei tre passi dei vangeli citati nella nota 4, il testo afferma che il Signore diede a Daniele il dono dell’anzianità per fare da giudice nella contesa tra i due anziani e Susanna e afferma anche che, in seguito a questo episodio, Daniele “divenne grande di fronte al popolo”, ma non si legge che il Signore diede a Daniele il battesimo.

 

Infine, va tenuto presente che, nella cultura romana, i neonati e i bambini non potevano prendere decisioni in modo autonomo, perché erano soggetti alla potestà del padre di famiglia.

D’altro canto, se il padre di famiglia avesse chiesto il battesimo per i neonati e i bambini della sua famiglia o, per ipotesi, questi ultimi lo avessero chiesto autonomamente per se stessi, le tre motivazioni già esposte in questo paragrafo portano a concludere che la richiesta sarebbe stata cortesemente rifiutata.

 

Alla luce delle motivazioni esposte, le parole “con tutti i suoi” e “assieme alla sua famiglia” presenti nei passi usati da Joachim Jeremias devono essere intese come riferite alle seguenti categorie di persone:

  • persone adulte e consapevoli non più soggette alla potestà del padre di famiglia a seguito della manumissio o della emancipatio; [13]
  • persone adulte e consapevoli non più soggette alla potestà del padre di famiglia perché la loro condizione schiavile era cessata a seguito di manumissio vindicta o di manumissio testamento o di manumissio censu;[14]
  • persone adulte e consapevoli soggette alla potestà del padre di famiglia le quali, con il consenso di quest’ultimo, hanno chiesto di ricevere il battesimo.

 

In conclusione, i passi biblici esaminati e le argomentazioni esposte finora ci portano ad affermare che:

  • Gesù Cristo ha scelto di non amministrare il battesimo ai neonati e ai bambini;
  • il battesimo nel Nuovo Testamento viene amministrato solo a degli adulti consapevoli;
  • sia nel Vecchio Testamento, sia nel Nuovo Testamento l’agire di Dio si attua attraverso un bambino solo in via di eccezione, per un compito preciso che Dio ha pensato per un bambino in particolare e senza somministrazione del battesimo.

 

 

L’ORIGINE DEL BATTESIMO DEI NEONATI E DEI BAMBINI

A questo punto dobbiamo domandarci come abbia avuto inizio la prassi di amministrare il battesimo ai neonati e ai bambini.

Troviamo la risposta nel paragrafo 4 della “Istruzione sul battesimo dei bambini” del 1980.[15]

Nel paragrafo in esame non si menziona alcun passo della Scrittura, ma si citano dei passi di alcuni scritti di Origène, sant’Agostino di Tagaste, sant’Ireneo di Lione, Ippolito Romano, san Cipriano di Cartagine e si fa menzione di un sinodo dei vescovi africani al quale san Cipriano di Cartagine ha partecipato e che ha sancito la possibilità di battezzare i bambini.

Esaminiamo queste fonti.

 

Per quanto riguarda gli scritti degli autori citati, è bene dare a ciascuno il suo giusto peso.

Per i cristiani, la Bibbia è la parola di Dio.

Le opinioni e le proposte espresse nella riflessione teologica costituiscono un esercizio del diritto alla libera manifestazione del pensiero.[16]

Tuttavia, Dio non è un teologo particolarmente versato al quale possono contrapporsi le affermazioni di altri teologi ugualmente capaci.

Se tutti i passi biblici che abbiamo citato ed esaminato finora sono concordi nell’affermare

  • che Gesù Cristo ha scelto di non amministrare il battesimo ai neonati e ai bambini,
  • che il battesimo nel Nuovo Testamento viene amministrato solo a degli adulti consapevoli
  • e che in tutta la Bibbia l’agire di Dio si attua attraverso un bambino solo in via di eccezione, per un compito preciso che Dio ha pensato per un bambino in particolare e senza somministrazione del battesimo,

le opinioni e le proposte di stampo diverso, per quanto autorevoli, non possono soppiantare il dato inequivocabile della Scrittura.

Nessuna affermazione umana, infatti, può stare alla pari, superare o contraddire la parola di Dio.

 

 

IL SINODO DI CARTAGINE

Prendiamo ora in esame il sinodo africano citato nel paragrafo 4 della “Istruzione sul battesimo dei bambini” del 1980.

Salvo errori da parte mia, si tratta del sinodo di Cartagine dell’anno 251 dopo Cristo, presieduto da san Cipriano vescovo della medesima città.[17] 

 

In ecclesiologia e in storia della chiesa si studia che, affinché un concilio faccia un’affermazione dogmatica, sono necessari tutti e tre i seguenti requisiti: soggetto, oggetto, atto.

Il soggetto è il collegio dei vescovi che devono essere presenti nel concilio per poter discutere e votare.

L’oggetto è la materia, vale a dire la rivelazione.

L’atto è l’intenzione di definire una questione.

Questa intenzione deve essere chiaramente presente negli atti emanati dal concilio: ad esempio, quando è usata la formula “Noi definiamo”.

Se l’intenzione in parola non è presente, non va cercata.

 

Il requisito del soggetto

Il diritto canonico insegna che il collegio dei vescovi è composto dal sommo pontefice che ne è il capo e dai vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del collegio.[18]

Nel sinodo di Cartagine del 251 dopo Cristo:

  • non c’era il collegio dei vescovi, ma solo alcuni vescovi dell’allora porzione dell’Africa facente parte dell’impero romano;
  • non c’era il sommo pontefice.[19]

Questi due dati da soli implicano che il requisito del soggetto non può dirsi presente nel sinodo di Cartagine dell’anno 251 dopo Cristo.

 

Per completezza, va ricordato altresì che i sinodi di Cartagine degli anni ’50 del terzo secolo dopo Cristo non erano in comunione con il sommo pontefice e con il collegio dei vescovi.

Questo a causa del contrasto tra Roma e Cartagine sulla questione della validità del battesimo amministrato fuori della chiesa cattolica.[20]

 

Il requisito dell’oggetto

L’affermazione resa dal sinodo di Cartagine del 251 dopo Cristo secondo la quale si può amministrare il battesimo ai neonati e ai bambini è sicuramente non conforme alla rivelazione.

Questo perché l’esame dei passi biblici e delle argomentazioni esposte in questo articolo conducono alle seguenti conclusioni:

  • Gesù Cristo ha scelto di non amministrare il battesimo ai neonati e ai bambini;
  • il battesimo nel Nuovo Testamento viene amministrato solo a degli adulti consapevoli;
  • sia nel Vecchio Testamento sia nel Nuovo Testamento l’agire di Dio si attua attraverso un bambino solo in via di eccezione, per un compito preciso che Dio ha pensato per un bambino in particolare e senza somministrazione del battesimo.

Pertanto, l’affermazione della possibilità di battezzare neonati e bambini resa dal sinodo di Cartagine dell’anno 251 dopo Cristo non è conforme alla rivelazione e quindi non possiede il requisito dell’oggetto.

 

Il requisito dell’atto

Negli atti emanati dal sinodo di Cartagine in esame non c’è la formula “Noi definiamo” o altre espressioni che indichino la chiara intenzione di definire una questione.

Pertanto, l’affermazione resa dal sinodo di Cartagine sulla possibilità di battezzare neonati e bambini non ha il requisito dell’atto.

 

In conclusione, la mancanza dei tre requisiti del soggetto, dell’oggetto e dell’atto comporta che l’affermazione resa dal sinodo di Cartagine dell’anno 251 dopo Cristo secondo la quale è possibile battezzare i neonati e i bambini non è dogmatica.

Inoltre, poiché l’affermazione in parola ha un impatto sulla vita di tutti i fedeli, essa rientra nella competenza di un concilio ecumenico.

Poiché il sinodo di Cartagine del 251 dopo Cristo non fu ecumenico, la sua affermazione secondo la quale è possibile battezzare i neonati e i bambini non ha alcun valore.

 

 

IL VALORE DEL BATTESIMO DEI NEONATI E DEI BAMBINI

A questo punto dobbiamo chiederci quale sia il valore del battesimo conferito ai neonati e ai bambini.

 

In teologia sacramentaria si studia che lo schema di ogni sacramento è: Dio chiama, il soggetto risponde, la chiesa conferma.

Spieghiamo questo concetto con due esempi.

 

Il primo.

Tizio è in chiesa per sposarsi.

Non manifesta il consenso in alcun modo e non ha validamente delegato alcuno a rispondere al suo posto.

Risponde “sì” il padre di Tizio presente in chiesa.

Il matrimonio di Tizio è valido?

No.

Il matrimonio di Tizio è invalido per mancanza del consenso.

 

Il secondo esempio.

Tizio è in chiesa per ricevere il sacerdozio ministeriale.

Non manifesta il consenso in alcun modo e non ha validamente delegato alcuno a rispondere al suo posto.

Risponde “sì” la madre di Tizio presente in chiesa.

Il sacerdozio ministeriale è stato validamente conferito a Tizio?

No.

Il sacerdozio ministeriale non è stato validamente conferito a Tizio per mancanza del consenso.

 

Passiamo ora al battesimo.

Tizio – neonato o bambino – è in chiesa per ricevere il battesimo.

Non manifesta il consenso in alcun modo e non ha validamente delegato alcuno a rispondere al suo posto.

Rispondono “sì” i genitori di Tizio presenti in chiesa.

Il battesimo è stato validamente conferito a Tizio?

No.

Il battesimo non è stato validamente conferito a Tizio per mancanza del consenso.

Lo stesso va detto anche nel caso in cui Tizio, bambino, abbia detto “sì”.

Infatti, il neonato e il bambino non hanno ancora l’età della ragione necessaria per dare validamente il loro consenso e fare affermazioni con coscienza e volontà.

 

Un elemento utile a riflettere sull’età necessaria per esprimere un valido consenso ci viene fornito dal codice di diritto canonico e dal codice dei canoni delle chiese orientali.

A proposito dell’età minima per celebrare un valido matrimonio, i due codici citati fissano un’età minima di sedici anni compiuti per l’uomo e di quattrodici anni compiuti per la donna.[21]

Non si riesce a capire, quindi, per quale motivo persone di età inferiore dovrebbero poter esprimere un valido consenso per ricevere il battesimo.

A questa conclusione non vale opporre il fatto che, nel battesimo dei neonati e dei bambini, il consenso viene espresso da degli adulti al loro posto.

Infatti, come abbiamo ricordato all’inizio di questo paragrafo, in teologia sacramentaria si studia che lo schema di ogni sacramento è: Dio chiama, il soggetto risponde, la chiesa conferma.

Il soggetto risponde.

Non una persona diversa risponde al suo posto!

Né potrebbe obiettarsi, infine, che la Chiesa ha disciplinato il battesimo in modo che degli adulti possano esprimere il consenso al posto del neonato e del bambino.

In teologia sacramentaria, infatti, si studia che la Chiesa disciplina i sacramenti, ma non istituisce i sacramenti.

Lo stesso affermano i due codici di diritto canonico citati poc’anzi.[22]

I sacramenti li istituisce Dio.[23]

Solo Dio può decidere se, come e quando donare la sua grazia.

Nessuno vanta dei diritti sulla grazia di Dio.

Se tutti i passi biblici che abbiamo citato ed esaminato finora sono concordi nell’affermare

  • che Gesù Cristo ha scelto di non amministrare il battesimo ai neonati e ai bambini,
  • che il battesimo nel Nuovo Testamento viene amministrato solo a degli adulti consapevoli
  • e che in tutta la Bibbia l’agire di Dio si attua attraverso un bambino solo in via di eccezione, per un compito preciso che Dio ha pensato per un bambino in particolare e senza somministrazione del battesimo,

nessuna norma della Chiesa può stabilire che Dio deve donare la grazia del battesimo anche ai neonati e ai bambini.

Nessuno può costringere Dio a donare la sua grazia.

 

Inoltre, fissare l’età minima per ricevere validamente il battesimo a sedici anni compiuti per l’uomo e a quattordici anni compiuti per la donna – come abbiamo visto che già accade per il matrimonio – è utile anche per abbandonare la prassi di ricevere i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana (battesimo, confermazione, eucaristia) in tre momenti diversi.

I due codici di diritto canonico della chiesa latina e delle chiese orientali, infatti, affermano che essi sono tra loro congiunti.[24]

Dunque, perché dividerli?

 

Molti pensano che il battesimo dei neonati e dei bambini sia necessario perché il bambino non battezzato non potrebbe salvarsi.

Un cristiano non può avere questa convinzione perché essa è contraria alla Scrittura.

Per rendersene conto è sufficiente leggere il passo del vangelo di Matteo nel quale è scritto che, al momento della morte di Gesù in croce, “i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono”.[25]

Queste persone erano nate, vissute e morte prima della morte di Gesù in croce e dunque non avevano potuto ricevere il battesimo cristiano.

Ciò non ostante, al momento della morte redentrice di Cristo, esse sono risuscitate.

 

Che dire poi di Mosè ed Elia?

Nati, vissuti e morti molto prima dell’incarnazione di Gesù Cristo, anch’essi non avevano potuto ricevere il battesimo cristiano, eppure appaiono vivi ai lati di Gesù durante la sua trasfigurazione mentre conversano con lui.[26]

Di conseguenza, la convinzione secondo la quale sarebbe necessario amministrare il battesimo ai neonati e ai bambini perché questi possano salvarsi è contraddetta dalla Scrittura e, dunque, non può appartenere alla fede cristiana.

 

Lo stesso va detto per la convinzione secondo la quale, in pericolo di morte, bisognerebbe amministrare il battesimo, la confermazione e ricevere per la prima volta l’eucaristia per consentire all’individuo di salvarsi.

I sacramenti ora citati servono per completare l’iniziazione cristiana.

Non sono amuleti o lascia passare per entrare in paradiso!

Come abbiamo letto poc’anzi, la grazia di Dio fa risorgere anche persone decedute prima della morte di Cristo e conduce in paradiso anche persone vissute prima della incarnazione di Cristo.

 

 

In conclusione, i passi biblici citati e le argomentazioni esposte finora non lasciano spazio al dubbio: il battesimo amministrato ai neonati e ai bambini non è conforme alla Scrittura ed è invalido per mancanza del consenso.

La conseguenza del battesimo invalido è chiaramente espressa in entrambi i codici di diritto canonico: senza il battesimo non si possono ricevere validamente gli altri sacramenti.[27]

 

 

I CANONI DA MODIFICARE

Per risolvere il problema fin qui messo in luce, è necessario modificare le norme del codice di diritto canonico e del codice dei canoni delle chiese orientali che permettono di amministrare il battesimo ai feti, ai neonati, ai bambini e a chi non è responsabile dei suoi atti.

A tale scopo, l’età minima per ricevere validamente il battesimo deve essere la medesima che il diritto canonico stabilisce per contrarre validamente il matrimonio.[28]

 

Codice di diritto canonico

I canoni 852, 867, 868, 870 e 871 sono abrogati.

 

Il testo del canone 852 viene sostituito dal seguente:

Can. 852 – §1. Il battesimo viene amministrato validamente solo a uno o più individui adulti e consapevoli.

§2. L’uomo prima dei sedici anni compiuti, la donna prima dei quattordici anni compiuti, non possono ricevere validamente il battesimo.

§3. La Conferenza episcopale è libera di fissare una età maggiore per ricevere validamente il battesimo.

§4. Congiuntamente con il battesimo viene amministrata la confermazione e viene ricevuta per la prima volta l’eucaristia.

§5. In nessun caso il pericolo di morte consente di ricevere validamente il battesimo, la confermazione e per la prima volta l’eucaristia.

§6. Tutti gli altri sacramenti non possono essere validamente ricevuti prima di avere ricevuto validamente il battesimo.

§7. Tutte le norme sul battesimo dei feti, dei neonati, dei bambini e di chi non è responsabile dei suoi atti sono abrogate.

§8. Ogni norma contraria a questo canone è abrogata.

 

 

 

Codice dei canoni delle chiese orientali

I canoni 680 e 681 sono abrogati.

 

Il paragrafo 1 del canone 686 è abrogato.

Nel canone 686, paragrafo 2, le parole “i genitori del bambino da battezzare, come pure” sono abrogate.

Nel canone 686, paragrafo 2, la virgola dopo la parola “padrino” è eliminata.

Il canone 686 risultante dalle modifiche è il seguente:

Can. 686 – §1. [Paragrafo abrogato]

§2. Il parroco provveda che coloro che stanno per assumere la funzione di padrino siano istruiti convenientemente sul significato di questo sacramento e sugli obblighi che ne derivano e siano preparati bene alla celebrazione del sacramento.

 

Il testo del canone 680 è sostituito dal seguente:

Can. 680 – §1. Il battesimo viene amministrato validamente solo a uno o più individui adulti e consapevoli.

§2. L’uomo prima del sedicesimo anno di età compiuto, la donna prima del quattordicesimo anno di età compiuto non possono ricevere validamente il battesimo.

§3. La Conferenza episcopale è libera di fissare una età maggiore per ricevere validamente il battesimo.

§4. Congiuntamente con il battesimo viene amministrata la crismazione del santo myron e viene ricevuta per la prima volta l’eucaristia.

§5. In nessun caso il pericolo di morte consente di ricevere validamente il battesimo, la crismazione del santo myron e per la prima volta l’eucaristia.

§6. Tutti gli altri sacramenti non possono essere validamente ricevuti prima di avere ricevuto validamente il battesimo.

§7. Tutte le norme sul battesimo dei feti, dei neonati, dei bambini e di chi non è responsabile dei suoi atti sono abrogate.

§8. Ogni norma contraria a questo canone è abrogata.

 

 

 

Vi ringrazio per il vostro tempo e per la vostra attenzione.

 

 

NOTE A PIE’ DI PAGINA

[1] Tutti i passi dei testi citati in questo articolo sono presi dalle pagine internet indicate.

 

Se non altrimenti specificato, il sottolineato è mio.

 

Tutte le citazioni della Bibbia in questo articolo sono prese da “La Sacra Bibbia” edizione Conferenza episcopale italiana, in: http://www.vatican.va/archive/ITA0001/_INDEX.HTM

 

Tutte le citazioni del codice di diritto canonico in questo articolo sono prese da “Codex iuris canonici” in: http://www.vatican.va/archive/ITA0276/_INDEX.HTM

 

Tutte le citazioni del codice dei canoni delle chiese orientali presenti in questo articolo sono prese da “Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium” in latino in:

http://www.vatican.va/archive/cdc/index_it.htm

e in italiano in:

https://www.iuscangreg.it/cceo_multilingue.php

 

 

Codice di diritto canonico,

canoni 852, 867, 868, 870 e 871:

 

“Can. 852 – §1. Le disposizioni contenute nei canoni per il battesimo degli adulti, si applicano a tutti coloro che, usciti dall’infanzia, hanno raggiunto l’uso di ragione.

§2. Viene assimilato al bambino, anche per quanto concerne il battesimo, colui che non è responsabile dei suoi atti.

 

Can. 867 – §1. I genitori sono tenuti all’obbligo di provvedere che i bambini siano battezzati entro le prime settimane; al più presto dopo la nascita, anzi anche prima di essa, si rechino dal parroco per chiedere il sacramento per il figlio e vi si preparino debitamente.

§2. Se il bambino è in pericolo di morte, lo si battezzi senza alcun indugio.

 

Can. 868 – §1. Per battezzare lecitamente un bambino si esige:

1) che i genitori o almeno uno di essi o chi tiene legittimamente il loro posto, vi consentano;

2)n che vi sia la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica fermo restando il §3; se tale speranza manca del tutto, il battesimo venga differito, secondo le disposizioni del diritto particolare, dandone ragione ai genitori.

§2. Il bambino di genitori cattolici e persino di non cattolici, in pericolo di morte è battezzato lecitamente anche contro la volontà dei genitori.

§3.n Il bambino di cristiani non cattolici è lecitamente battezzato, se i genitori o almeno uno di essi o colui che tiene legittimamente il loro posto lo chiedono e se agli stessi sia impossibile, fisicamente o moralmente, accedere al proprio ministro.

 

Can. 870 – Il bambino esposto o trovatello sia battezzato, a meno che, condotta una diligente ricerca, non consti del suo battesimo.

 

Can. 871 – I feti abortivi, se vivono, nei limiti del possibile, siano battezzati.

 

(n: Indica che il testo corrisponde alla nuova versione o a un nuovo paragrafo)

[Articoli modificati da Sua Santità Papa Francesco (cfr. Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio De concordia inter Codices” del 31 maggio 2016)]”

 

 

 

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canoni 680, 681, 686:

 

Can. 680 – Foetus abortivus, si vivit et si id fieri potest, baptizetur.

 

Can. 681 – § 1. Ut infans licite baptizetur, oportet:

1° spes habeatur fundata eum in fide Erclesiae catholicae educatum iri firma § 5;

2° parentes, saltem eorum unus, aut is, qui legitime eorundem locum tenet, consentiant.

  • 2. Infans expositus et inventus, nisi de eiusdem baptismo certe constat, baptizetur.
  • 3. Rationis usu ab infantia destituti baptizandi sunt ut infantes.
  • 4. Infans sive parentum catholicornm sive etiam acatholicorum, qui in eo versatur vitae discrimine, ut prudenter praevideatur moriturus, antequam usum rationis attingit, licite baptizatur.
  • 5. Infans christianorum acatholicorum licite baptizatur, si parentes aut unus saltem eorum aut is, qui legitime eorundem locum tenet, id petunt et si eis physice aut moraliter impossibile est accedere ad ministrum proprium.

 

Can. 686 – § 1. Parentes obligatione tenentur, ut infans quam primum secundum legitimam consuetudinem baptizetur.

§2. Curet parochus, ut infantis baptizandi parentes itemque, qui munus patrini sunt suscepturi, de significatione huius sacramenti deque obligationibus cum eo cohaerentibus congrue edoceantur et ad celebrationem sacramenti apte praeparentur.”

 

 

I canoni 680, 681 e 686 in italiano:

 

Can. 680 – Un feto abortivo, se è vivo e se ciò è possibile, sia battezzato.

 

Can. 681 – § 1. Perché un bambino sia battezzato lecitamente si esige:

1° che vi sia fondata speranza che esso sarà educato nella fede della Chiesa cattolica, fermo restando il § 5;

2° che i genitori, almeno uno di essi, oppure chi ne fa le veci legittimamente, vi consentano.

  • 2. Il bambino esposto o trovatello, se non risulta con certezza che è stato battezzato, lo si battezzi.
  • 3. Coloro che sono privi dell’uso di ragione fin dall’infanzia devono essere battezzati come i bambini.
  • 4. Il bambino, sia di genitori cattolici sia anche di genitori acattolici, che si trova in un pericolo di morte tale da far ritenere prudentemente che morirà prima di raggiungere l’uso di ragione, è battezzato lecitamente.
  • 5. Il bambino di cristiani acattolici viene battezzato lecitamente se i genitori, oppure almeno uno di essi o colui che ne fa legittimamente le veci, lo richiedono e se ad essi è fisicamente oppure moralmente impossibile recarsi dal proprio ministro.

 

Can. 686 – § 1. I genitori hanno l’obbligo che il bambino sia battezzato al più presto secondo la legittima consuetudine.

§2. Il parroco provveda che i genitori del bambino da battezzare, come pure coloro che stanno per assumere la funzione di padrino, siano istruiti convenientemente sul significato di questo sacramento e sugli obblighi che ne derivano e siano preparati bene alla celebrazione del sacramento.”

 

 

 

[2] IL BATTESIMO AMMINISTRATO DA GIOVANNI IL BATTISTA

 

Vangelo secondo Marco, capitolo 1, versetti 1-11:

 

“[1] Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.

[2] Come è scritto nel profeta Isaia:
Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te,
egli ti preparerà la strada.

[3] Voce di uno che grida nel deserto:
preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri,

[4] si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.

[5] Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.

[6] Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico

[7] e predicava: “Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali.

[8] Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo”.

[9] In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni.

[10] E, uscendo dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba.

[11] E si sentì una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto”.”

 

 

 

Vangelo secondo Matteo, capitolo 3, versetti 1-17:

 

“[1] In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea,

[2] dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”.

[3] Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!

[4] Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico.

[5] Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano;

[6] e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano.

[7] Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: “Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all’ira imminente?

[8] Fate dunque frutti degni di conversione,

[9] e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre.

[10] Gia la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco.

[11] Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco.

[12] Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile”.

[13] In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui.

[14] Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”.

[15] Ma Gesù gli disse: “Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia”. Allora Giovanni acconsentì.

[16] Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui.

[17] Ed ecco una voce dal cielo che disse: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”.”

 

 

 

Vangelo secondo Luca, capitolo 3, versetti 1-18:

 

“[1] Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène,

[2] sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.

[3] Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati,

[4] com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!

[5] Ogni burrone sia riempito,
ogni monte e ogni colle sia abbassato;
i passi tortuosi siano diritti;
i luoghi impervi spianati.

[6] Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

[7] Diceva dunque alle folle che andavano a farsi battezzare da lui: “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira imminente?

[8] Fate dunque opere degne della conversione e non cominciate a dire in voi stessi: Abbiamo Abramo per padre! Perché io vi dico che Dio può far nascere figli ad Abramo anche da queste pietre.

[9] Anzi, la scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e buttato nel fuoco”.

[10] Le folle lo interrogavano: “Che cosa dobbiamo fare?”.

[11] Rispondeva: “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”.

[12] Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: “Maestro, che dobbiamo fare?”.

[13] Ed egli disse loro: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”.

[14] Lo interrogavano anche alcuni soldati: “E noi che dobbiamo fare?”. Rispose: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe”.

[15] Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo,

[16] Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.

[17] Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile”.

[18] Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella.”

 

 

 

[3] IL BATTESIMO AMMINISTRATO NELLA CHIESA PRIMITIVA

 

Sul fatto che prima di essere battezzati bisogna avere fede.

 

Vangelo secondo Marco, capitolo 16, versetti 15-16:

 

“[15] Gesù disse loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.

[16] Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato.”

 

 

 

Sul fatto che per poter essere battezzati è necessario ascoltare l’annuncio della fede, sentirsi trafiggere il cuore da questo annuncio e chiedere cosa bisogna fare.

 

Atti degli apostoli, capitolo 2, versetti 14-37:

 

“[14] Allora Pietro, levatosi in piedi con gli altri Undici, parlò a voce alta così: “Uomini di Giudea, e voi tutti che vi trovate a Gerusalemme, vi sia ben noto questo e fate attenzione alle mie parole:

[15] Questi uomini non sono ubriachi come voi sospettate, essendo appena le nove del mattino.

[16] Accade invece quello che predisse il profeta Gioele:

[17] Negli ultimi giorni, dice il Signore,
Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona;
i vostri figli e le vostre figlie profeteranno,
i vostri giovani avranno visioni
e i vostri anziani faranno dei sogni.

[18] E anche sui miei servi e sulle mie serve
in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi
profeteranno.

[19] Farò prodigi in alto nel cielo
e segni in basso sulla terra,
sangue, fuoco e nuvole di fumo.

[20] Il sole si muterà in tenebra e la luna in sangue,
prima che giunga il giorno del Signore,
giorno grande e splendido.

[21] Allora chiunque invocherà il nome del Signore
sarà salvato.

[22] Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete -,

[23] dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso.

[24] Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere.

[25] Dice infatti Davide a suo riguardo:
Contemplavo sempre il Signore innanzi a me;
poiché egli sta alla mia destra, perché io non
vacilli.

[26] Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la
mia lingua;
ed anche la mia carne riposerà nella speranza,

[27] perché tu non abbandonerai l’anima mia negli
inferi,
né permetterai che il tuo Santo veda la corruzione.

[28] Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza.

[29] Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e la sua tomba è ancora oggi fra noi.

[30] Poiché però era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente,

[31] previde la risurrezione di Cristo e ne parlò:
questi non fu abbandonato negli inferi,
né la sua carne vide corruzione.

[32] Questo Gesù Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni.

[33] Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire.

[34] Davide infatti non salì al cielo; tuttavia egli dice:
Disse il Signore al mio Signore:
siedi alla mia destra,

[35] finché io ponga i tuoi nemici
come sgabello ai tuoi piedi.

[36] Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!”.

[37] All’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”.”

 

 

 

Sul fatto che prima di essere battezzati bisogna pentirsi dei propri peccati.

 

Atti degli apostoli, capitolo 2, versetto 38:

 

“[38] E Pietro disse: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo.”

 

 

 

Ancora sul fatto che per poter essere battezzati è necessario ascoltare l’annuncio della fede e chiedere il battesimo.

 

Atti degli apostoli, capitolo 8, versetti 34-40:

 

“[34] E rivoltosi a Filippo l’eunuco disse: “Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?”.

[35] Filippo, prendendo a parlare e partendo da quel passo della Scrittura, gli annunziò la buona novella di Gesù.

[36] Proseguendo lungo la strada, giunsero a un luogo dove c’era acqua e l’eunuco disse: “Ecco qui c’è acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?”.

[37] .

[38] Fece fermare il carro e discesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò.

[39] Quando furono usciti dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più e proseguì pieno di gioia il suo cammino.

[40] Quanto a Filippo, si trovò ad Azoto e, proseguendo, predicava il vangelo a tutte le città, finché giunse a Cesarèa.”

 

 

 

[4] SUL FATTO CHE GESÙ NON AMMINISTRA IL BATTESIMO AI BAMBINI

 

Vangelo secondo Marco, capitolo 10, versetti 13-16:

 

“[13] Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano.

[14] Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio.

[15] In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso”.

[16] E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.”

 

 

 

Vangelo secondo Matteo, capitolo 19, versetti 13-15:

 

“[13] Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano.

[14] Gesù però disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli”.

[15] E dopo avere imposto loro le mani, se ne partì.”

 

 

 

Vangelo secondo Luca, capitolo 18, versetti 15-17:

 

“[15] Gli presentavano anche i bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli, vedendo ciò, li rimproveravano.

[16] Allora Gesù li fece venire avanti e disse: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio.

[17] In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà”.”

 

 

 

[5] Joachim Jeremias, Le baptême des enfants dans les quatre premiers siècles, Le Puy et Lyon, ed. Xavier Mappus, 1967.

Per una sintesi dei contenuti di questa opera si veda “Il battesimo dei bambini nella chiesa delle origini. Appunti su di un volume di Joachim Jeremias”, di Andrea Lonardo su: http://www.gliscritti.it/blog/entry/990

 

 

 

[6] I PASSI CITATI DA JOACHIM JEREMIAS NELL’OPERA CITATA NELLA NOTA 5

 

Atti degli apostoli, capitolo 16, versetto 15.

Qui di seguito, cito tutto il passo: capitolo 16, versetti 11-15:

 

“[11] Salpati da Troade, facemmo vela verso Samotracia e il giorno dopo verso Neapoli e

[12] di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedonia. Restammo in questa città alcuni giorni;

[13] il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera, e sedutici rivolgevamo la parola alle donne colà riunite.

[14] C’era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo.

[15] Dopo esser stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò: “Se avete giudicato ch’io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa”. E ci costrinse ad accettare.”

 

 

 

Atti degli apostoli, capitolo 16, versetto 33.

Qui di seguito, cito tutto il passo: capitolo 16, versetti 25-34:

 

“[25] Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli.

[26] D’improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito tutte le porte si aprirono e si sciolsero le catene di tutti.

[27] Il carceriere si svegliò e vedendo aperte le porte della prigione, tirò fuori la spada per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti.

[28] Ma Paolo gli gridò forte: “Non farti del male, siamo tutti qui”.

[29] Quegli allora chiese un lume, si precipitò dentro e tremando si gettò ai piedi di Paolo e Sila;

[30] poi li condusse fuori e disse: “Signori, cosa devo fare per esser salvato?”.

[31] Risposero: “Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”.

[32] E annunziarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa.

[33] Egli li prese allora in disparte a quella medesima ora della notte, ne lavò le piaghe e subito si fece battezzare con tutti i suoi;

[34] poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio.”

 

 

 

Atti degli apostoli, capitolo 18, versetto 8.

Qui di seguito, cito tutto il passo: capitolo 18, versetti 5-8:

 

“[5] Quando giunsero dalla Macedonia Sila e Timòteo, Paolo si dedicò tutto alla predicazione, affermando davanti ai Giudei che Gesù era il Cristo.

[6] Ma poiché essi gli si opponevano e bestemmiavano, scuotendosi le vesti, disse: “Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente; da ora in poi io andrò dai pagani”.

[7] E andatosene di là, entrò nella casa di un tale chiamato Tizio Giusto, che onorava Dio, la cui abitazione era accanto alla sinagoga.

[8] Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia; e anche molti dei Corinzi, udendo Paolo, credevano e si facevano battezzare.”

 

 

 

Prima lettera ai Corinzi, capitolo 1, versetto 16.

Qui di seguito, cito tutto il passo: capitolo 1, versetti 10-17:

 

“[10] Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d’intenti.

[11] Mi è stato segnalato infatti a vostro riguardo, fratelli, dalla gente di Cloe, che vi sono discordie tra voi.

[12] Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: “Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “E io di Cefa”, “E io di Cristo!”.

[13] Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?

[14] Ringrazio Dio di non aver battezzato nessuno di voi, se non Crispo e Gaio,

[15] perché nessuno possa dire che siete stati battezzati nel mio nome.

[16] Ho battezzato, è vero, anche la famiglia di Stefana, ma degli altri non so se abbia battezzato alcuno.

[17] Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo.”

 

 

 

[7] Si veda la nota 4 con i passi evangelici in essa citati.

 

 

 

[8] Lettera ai romani, capitolo 11, versetto 13-14:

 

“[13] Pertanto, ecco che cosa dico a voi, Gentili: come apostolo dei Gentili, io faccio onore al mio ministero,

[14] nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni.”

 

 

 

Lettera ai galati, capitolo 1, versetti 13-17:

 

“[13] Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi,

[14] superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri.

[15] Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque

[16] di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo,

[17] senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.”

 

 

 

Lettera ai galati, capitolo 2, versetti 7-9:

 

[7] Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi –

[8] poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani

[9] e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi.”

 

 

 

[9] Si veda la nota 4 con i passi evangelici in essa citati.

 

 

 

[10] L’ANNUNCIO DELLA NASCITA DI SANSONE

Libro dei giudici, capitolo 13, versetti 1-5:

 

“[1] Gli Israeliti tornarono a fare quello che è male agli occhi del Signore e il Signore li mise nelle mani dei Filistei per quarant’anni.

[2] C’era allora un uomo di Zorea di una famiglia dei Daniti, chiamato Manoach; sua moglie era sterile e non aveva mai partorito.

[3] L’angelo del Signore apparve a questa donna e le disse: “Ecco, tu sei sterile e non hai avuto figli, ma concepirai e partorirai un figlio.

[4] Ora guardati dal bere vino o bevanda inebriante e dal mangiare nulla d’immondo.

[5] Poiché ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, sulla cui testa non passerà rasoio, perché il fanciullo sarà un nazireo consacrato a Dio fin dal seno materno; egli comincerà a liberare Israele dalle mani dei Filistei“.”

 

 

 

[11] IL SIGNORE BENEDICE IL BAMBINO SANSONE

Libro dei giudici, capitolo 13, versetto 24:

 

“[24] Poi la donna partorì un figlio che chiamò Sansone. Il bambino crebbe e il Signore lo benedisse.”

 

 

 

[12] IL SIGNORE SUSCITA LO SPIRITO DEL GIOVANETTO DANIELE

Libro di Daniele, capitolo 13, versetti 45-64:

 

“[45] Mentre Susanna era condotta a morte, il Signore suscitò il santo spirito di un giovanetto, chiamato Daniele,

[46] il quale si mise a gridare: “Io sono innocente del sangue di lei!”.

[47] Tutti si voltarono verso di lui dicendo: “Che vuoi dire con le tue parole?”.

[48] Allora Daniele, stando in mezzo a loro, disse: “Siete così stolti, Israeliti? Avete condannato a morte una figlia d’Israele senza indagare la verità!

[49] Tornate al tribunale, perché costoro hanno deposto il falso contro di lei”.

[50] Il popolo tornò subito indietro e gli anziani dissero a Daniele: “Vieni, siedi in mezzo a noi e facci da maestro, poiché Dio ti ha dato il dono dell’anzianità“.

[51] Daniele esclamò: “Separateli bene l’uno dall’altro e io li giudicherò”.

[52] Separati che furono, Daniele disse al primo: “O invecchiato nel male! Ecco, i tuoi peccati commessi in passato vengono alla luce,

[53] quando davi sentenze ingiuste opprimendo gli innocenti e assolvendo i malvagi, mentre il Signore ha detto: Non ucciderai il giusto e l’innocente.

[54] Ora dunque, se tu hai visto costei, dì: sotto quale albero tu li hai visti stare insieme?”. Rispose: “Sotto un lentisco”.

[55] Disse Daniele: “In verità, la tua menzogna ricadrà sulla tua testa. già l’angelo di Dio ha ricevuto da Dio la sentenza e ti spaccherà in due”.

[56] Allontanato questo, fece venire l’altro e gli disse: “Razza di Cànaan e non di Giuda, la bellezza ti ha sedotto, la passione ti ha pervertito il cuore!

[57] Così facevate con le donne d’Israele ed esse per paura si univano a voi. Ma una figlia di Giuda non ha potuto sopportare la vostra iniquità.

[58] Dimmi dunque, sotto quale albero li hai trovati insieme?”. Rispose: “Sotto un leccio”.

[59] Disse Daniele: “In verità anche la tua menzogna ti ricadrà sulla testa. Ecco l’angelo di Dio ti aspetta con la spada in mano per spaccarti in due e così farti morire”.

[60] Allora tutta l’assemblea diede in grida di gioia e benedisse Dio che salva coloro che sperano in lui.

[61] Poi insorgendo contro i due anziani, ai quali Daniele aveva fatto confessare con la loro bocca di aver deposto il falso, fece loro subire la medesima pena alla quale volevano assoggettare il prossimo

[62] e applicando la legge di Mosè li fece morire. In quel giorno fu salvato il sangue innocente.

[63] Chelkìa e sua moglie resero grazie a Dio per la figlia Susanna insieme con il marito Ioakìm e tutti i suoi parenti, per non aver trovato in lei nulla di men che onesto.

[64] Da quel giorno in poi Daniele divenne grande di fronte al popolo.”

 

 

 

[13] Sulla cessazione della potestà del padre di famiglia per manumissio e per emancipatio si veda Feliciano Serrao, “Diritto privato economia e società nella storia di Roma”, prima parte, Jovene, Napoli, 1984, pagine 213-218.

 

 

 

[14] Sulla cessazione della condizione schiavile in seguito a manumissio vindicta, manumissio testamento, manumissio censu si veda l’opera di Feliciano Serrao citata nella nota precedente, pagine 270-274.

 

 

 

[15] L’ORIGINE DELLA PRASSI DI BATTEZZARE I NEONATI E I BAMBINI

Sacra Congregazione per la dottrina della fede,

Istruzione sul battesimo dei bambini,

20 ottobre 1980, in: http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19801020_pastoralis_actio_it.html

 

Paragrafo 4

“4. Sia in Oriente che in Occidente la prassi di battezzare i bambini è considerata una norma di tradizione immemorabile. Origene, e più tardi S. Agostino, la ritenevano una « tradizione ricevuta dagli Apostoli » (2). Quando poi, nel secolo ІI, appaiono le prime testimonianze dirette, nessuna di esse presenta mai il battesimo dei bambini come una innovazione. S. Ireneo in particolare considera ovvia la presenza tra i battezzati « di infanti e di bambini » a fianco degli adolescenti, dei giovani e dei più anziani (3). Il più antico rituale conosciuto, quello che all’inizio del III secolo descrive la Tradizione apostolica, contiene la seguente prescrizione: « Battezzate in primo luogo i bambini: tutti coloro che possono parlare da soli, parlino; per coloro invece che non possono parlare da soli, parlino i genitori o qualcuno della loro famiglia » (4). S. Cipriano, partecipando ad un Sinodo dei vescovi africani, afferma che « non si può negare la misericordia e la grazia di Dio a nessun uomo che viene all’esistenza »; e lo stesso Sinodo, richiamandosi all’« uguaglianza spirituale » di tutti gli uomini « di qualsiasi statura ed età », decretò che si potevano battezzare i bambini « già dal secondo o terzo giorno dopo la nascita » (5).”

 

Note presenti nel testo ora citato

 

“(2) Origene, In Romanos, lib. V, 9: PG 14, 1047; cf. S. Agostino, De Genesi ad litteram, X, 23, 39: PL 34, 426; De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum, I, 26, 39: PL 44, 131. In realtà tre passi degli Atti degli Apostoli (16, 15; 16, 33; 18, 8) ricordano il battesimo di « tutta una casa ».

(3) Adv. Haereses, II, 22, 4: PG 7, 784; Harvey, I, 330. In molti documenti epigrafici, già dal II secolo, i bambini vengono chiamati « Figli di Dio », titolo riservato ai battezzati, o si legge una esplicita menzione del loro battesimo; cf. ad esempio, Corpus inscriptionum graecarum, III, nn. 9727, 9817, 9801; E. Diehl, Inscriptiones latinae christianae veteres, Berlin 1961, nn. 1523 (3), 4429 A.

(4) Ippolito Romano, La Tradition apostolique, ed. e trad. di B. Botte, Münster W., Aschendolrff, 1963 (Liturgiewissenschaftliche Quellen und Forschungen 396), pp. 44-45.

(5) Epist. LXIV, Cyprianus et coeteri collegae, qui in concilio adfuerunt numero LXVI. Fido fratri: PL 3, 1013-1019; Hartel, CSEL, 3, pp. 717-721. Nella Chiesa africana tale prassi era particolarmente ferma, nonostante l’opposizione di Tertulliano, il quale consigliava di differire il battesimo dei bambini, a motivo della loro tenera età e per timore di eventuali defezioni giovanili. Cf. De baptismo, XVIII, 3-XIX, 1: PL 1, 1220-1222; De anima, 39-41: PL 2, 719 ss.”

 

 

 

[16] Su che cos’è e con quali regole si deve svolgere la riflessione teologica rinvio al mio articolo “Riflessioni sul primo concilio di Gerusalemme” …………..

 

 

 

[17] Negli anni ’50 del terzo secolo dopo Cristo, a Cartagine si tennero vari sinodi (anni 251, 253, 254 e 255) per affrontare, tra le altre, due questioni: la decisione da prendere nei confronti del lapsi e la discussa validità del battesimo amministrato fuori dalla chiesa cattolica.

 

Sulla storia dei sinodi di Cartagine in questo periodo si può leggere la voce “Concili e sinodi” nell’enciclopedia Treccani on-line consultabile all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/concili-e-sinodi_%28Enciclopedia-Costantiniana%29/

 

 

 

[18] Codice di diritto canonico,

canone 336

 

“Can. 336 – Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane ininterrottamente il corpo apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo capo, è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale.”

 

 

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 49,

 

Can. 49 – Collegium Episcoporum, cuius caput est Romanus Pontifex cuiusque membra sunt Episcopi vi sacramentalis ordinationis et hierarchica communione cum Collegii capite et membris et in quo corpus apostolicum continuo perseverat, una cum capite suo et numquam sine hoc capite subiectum quoque supremae et plenae potestatis in universam Ecclesiam exsistit.”

 

Il canone 49 in italiano:

 

Can. 49 – Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Romano Pontefice e le cui membra sono i Vescovi, in forza dell’ordinazione sacramentale e per la comunione gerarchica con il capo del Collegio e con le membra, e nel quale il corpo apostolico persevera continuamente assieme al suo capo e mai senza questo capo, è pure soggetto della suprema e piena potestà sulla Chiesa universale.”

 

 

 

[19] Anche se all’epoca il vescovo di Roma non aveva la suprema potestà dottrinale e giuridica che assunse in seguito, resta il dato di fatto che egli non partecipò al sinodo di Cartagine dell’anno 251 dopo Cristo.

 

 

 

[20] Enciclopedia Treccani on-line,

voce “Concili e sinodi”

in: http://www.treccani.it/enciclopedia/concili-e-sinodi_%28Enciclopedia-Costantiniana%29/

 

“Nonostante le comuni tradizioni, tra Roma e Cartagine vi è uno scarto fondamentale, concernente il battesimo degli eretici.

Il primo concilio di epoca ciprianea in cui viene trattata la disciplina battesimale è quello del 252, dove si discute il battesimo dei neonati e si decide che esso debba essere loro impartito il prima possibile30.

Sarà tuttavia un altro concilio, tre anni più tardi, a occuparsi primieramente della più complessa questione del battesimo degli eretici, cioè di chi, battezzato al di fuori della Catholica, volesse entrare a farvi parte.

Le comunità di Alessandria e Roma, da parte loro, avevano assunto una chiara posizione in merito al problema, decretando la validità di qualsiasi battesimo, purché amministrato nel nome di Gesù Cristo31.

Il concilio di Cartagine del 25532 confermerà invece la rigida disciplina che caratterizza la Chiesa ‘cattolica’ locale, avversando quanto più ogni soluzione di compromesso33 e stabilendo la necessità del battesimo per gli eretici e gli scismatici.

Queste conclusioni saranno ribadite dai settantuno vescovi riunitisi per il sinodo della primavera del 256 e dagli ottantasette vescovi convenuti nel settembre dello stesso anno per il sinodo con la partecipazione più elevata di tutto l’episcopato ciprianeo34.

Tra i problemi ivi dibattuti, vi è anche quello della posizione che la Chiesa cartaginese deve tenere con quella di Roma, dal momento che i rapporti tra le due realtà ecclesiali sono ormai tesi, per ragioni in parte dottrinali, relative alla questione del battesimo degli eretici, e in parte legate all’interpretazione protagonistica del ruolo del vescovo di Roma data dal vescovo romano Stefano35.”

 

Note presenti nel testo ora citato

 

30 Cfr. Cypr., epist. 64. Per la discussione si veda J.A. Fischer, A. Lumpe, Die Synoden, cit., pp. 194-197.

31 Cfr. Cypr., epist. 74,5,1 e 75,18,1-2. Cfr. P. Bernardini, Un solo battesimo, cit., p. 115.

32 Preceduto a sua volta di qualche mese da un incontro, in Numidia, di diciotto vescovi, probabilmente turbati dal fatto che Stefano I a Roma non considerasse problematico il battesimo degli eretici.

33 È legittimo supporre che ci siano anche gruppi disposti a ritenere valido il battesimo somministrato da eretici e scismatici, ma il concilio respinge ogni forma di compromesso. Cfr. J.A. Fischer, A. Lumpe, Die Synoden, cit., p. 244 nota 104.

34 Di quest’ultimo concilio ci sono giunte le Sententiae episcoporum (registrazione dei pronunciamenti dei vescovi partecipanti), una fonte importante per la storia della sinodalità nell’Occidente latino. Queste Sententiae infatti conservano il punto di vista di ciascun vescovo partecipante e ci consentono di capire come il concilio è stato vissuto (cfr. P. Bernardini, Un solo battesimo, cit.).

35 Cfr. Cypr., epist. 74 e 75, e P. Bernardini, Un solo battesimo, cit., p. 90; per approfondimenti, cfr. ivi, pp. 113-120.”

 

 

 

[21] Io sono convinto che l’età minima per celebrare un valido matrimonio debba essere quella nella quale si diventa maggiorenni (l’età nella quale si acquisisce la capacità di agire).

Questo al fine di evitare matrimoni di persone non consenzienti e/o non consapevoli.

L’articolo 84 del codice civile italiano, infatti, prevede il requisito della maggiore età.

L’unica eccezione è costituita dal matrimonio di persone che hanno compiuto i sedici anni di età.

Per quest’ultimo, però la legge esige un decreto pronunciato dal Tribunale in camera di consiglio su istanza dell’interessato nel quale si accerti la maturità psico-fisica del soggetto e i gravi motivi che dovrebbero portare all’accoglimento dell’istanza.

 

Il diritto canonico disciplina diversamente questo aspetto.

 

Codice di diritto canonico,

canone 1083:

 

“Can. 1083 – §1. L’uomo prima dei sedici anni compiuti, la donna prima dei quattordici pure compiuti, non possono celebrare un valido matrimonio.

  • 2. La Conferenza Episcopale è libera di fissare una età maggiore per la lecita celebrazione del matrimonio.”

 

 

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 800:

 

Can. 800 – § 1. Vir ante decimum sextum aetatis annum expletum, mulier ante decimum quartum aetatis annum expletum matrimonium valide celebrare non possunt.

  • 2. Integrum est iuri particulari Ecclesiae sui iuris aetatis annum superiorem ad licitam matrimonii celebrationem statuere.”

 

Il canone 800 in italiano:

 

Can. 800 – § 1. L’uomo prima del sedicesimo anno di età compiuto, la donna prima del quattordicesimo anno di età compiuto non possono celebrare validamente il matrimonio.

  • 2. Il diritto particolare della Chiesa sui iurisha piena libertà di stabilire l’anno di età superiore per la lecita celebrazione del matrimonio.”

 

 

 

[22] Codice di diritto canonico,

canone 841:

 

“Can. 841 – Poiché i sacramenti sono gli stessi per tutta la Chiesa e appartengono al divino deposito, è di competenza unicamente della suprema autorità della Chiesa approvare o definire i requisiti per la loro validità e spetta alla medesima autorità o ad altra competente, a norma del can. 838, §§3 e 4, determinare quegli elementi che riguardano la loro lecita celebrazione, amministrazione e recezione, nonché il rito da osservarsi nella loro celebrazione.”

 

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 669:

 

Can. 669 – Cum sacramenta eadem sint pro universa Ecclesia et ad divinum depositum pertineant, solius supremae Ecclesiae auctoritatis est approbare vel definire, quae ad eorum validitatem sunt requisita.”

 

Il canone 669 in italiano:

 

Can. 669 – Poiché i sacramenti sono gli stessi per la Chiesa universale e appartengono al divino deposito, spetta solamente alla suprema autorità della Chiesa approvare o definire quali sono i requisiti per la loro validità.”

 

 

 

[23] Codice di diritto canonico,

canone 840:

 

“Can. 840 – I sacramenti del Nuovo Testamento, istituiti da Cristo Signore e affidati alla Chiesa, in quanto azioni di Cristo e della Chiesa, sono segni e mezzi mediante i quali la fede viene espressa e rafforzata, si rende culto a Dio e si compie la santificazione degli uomini, e pertanto concorrono sommamente a iniziare, confermare e manifestare la comunione ecclesiastica; perciò nella loro celebrazione sia i sacri ministri sia gli altri fedeli debbono avere una profonda venerazione e la dovuta diligenza.”

 

 

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 667:

 

Can. 667 – Per sacramenta, quae Ecclesia dispensare tenetur, ut sub signo visibili mysteria Christi communicet, Dominus noster Iesus Christus homines in virtute Spiritus Sancti sanctificat, ut singulari modo Dei Patris veri adoratores fiant, eosque sibi ipsi et Ecclesiae, suo Corpori, inserit; quare christifideles omnes, praesertim vero ministri sacri, eisdem sacramentis religiose celebrandis et suscipiendis praescripta Ecclesiae diligenter servent.”

 

Il canone 667 in italiano:

 

Can. 667 – Per mezzo dei sacramenti, che la Chiesa ha l’obbligo di distribuire per comunicare sotto un segno visibile i misteri di Cristo, il Signore nostro Gesù Cristo santifica gli uomini in virtù dello Spirito Santo affinché diventino in modo singolare veri adoratori di Dio Padre, e li innesta a se stesso e alla Chiesa, suo Corpo; perciò tutti i fedeli cristiani, ma specialmente i sacri ministri, nel celebrare e nel ricevere religiosamente gli stessi sacramenti, osservino diligentemente le prescrizioni della Chiesa.”

 

 

 

[24] Codice di diritto canonico,

canone 842:

 

“Can. 842 – §1. Chi non ha ricevuto il battesimo non può essere ammesso validamente agli altri sacramenti.

§2. I sacramenti del battesimo, della confermazione e della santissima Eucaristia sono tra loro talmente congiunti, da essere richiesti per la piena iniziazione cristiana.”

 

 

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 695:

 

Can. 695 – § 1. Chrismatio sancti myri ministrari debet coniunctim cum baptismo, salvo casu verae necessitatis, in quo tamen curandum est, ut quam primum ministretur.

§2. Si celebratio chrismationis sancti myri non fit simul cum baptismo, minister tenetur de ea certiorem facere parochum loci, ubi baptismus ministratus est.”

 

Il canone 695 in italiano:

 

Can. 695 – § 1. La crismazione del santo myron deve essere amministrata congiuntamente col battesimo, salvo il caso di vera necessità, in cui tuttavia si deve provvedere che sia amministrata al più presto.

§2. Se la celebrazione della crismazione del santo myron non si fa assieme al battesimo, il ministro è obbligato a informarne il parroco del luogo dove è stato amministrato il battesimo.”

 

 

 

[25] LA RISURREZIONE DI MOLTI ALLA MORTE IN CROCE DI GESÙ

Vangelo secondo Matteo, capitolo 27, versetti 50-54:

 

“[50] E Gesù, emesso un alto grido, spirò.

[51] Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono,

[52] i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono.

[53] E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti.

[54] Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!”.

 

 

 

[26] MOSÈ ED ELIA DIALOGANO CON GESÙ DURANTE LA SUA TRASFIGURAZIONE

Vangelo secondo Marco, capitolo 9, versetti 2-8:

 

“[2] Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro

[3] e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.

[4] E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù.

[5] Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!”.

[6] Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.

[7] Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: “Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!”.

[8] E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.

[9] Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti.

[10] Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.”

 

 

 

Vangelo secondo Matteo, capitolo 17, versetti 1-9:

 

“[1] Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte.

[2] E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.

[3] Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.

[4] Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: “Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”.

[5] Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”.

[6] All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore.

[7] Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: “Alzatevi e non temete”.

[8] Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo.

[9] E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”.”

 

 

 

Vangelo secondo Luca, capitolo 9, versetti 28-36:

 

“[28] Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare.

[29] E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante.

[30] Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia,

[31] apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme.

[32] Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.

[33] Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli non sapeva quel che diceva.

[34] Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all’entrare in quella nube, ebbero paura.

[35] E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”.

[36] Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.”

 

 

 

[27] Codice di diritto canonico,

canone 842:

 

“Can. 842 – §1. Chi non ha ricevuto il battesimo non può essere ammesso validamente agli altri sacramenti.

§2. I sacramenti del battesimo, della confermazione e della santissima Eucaristia sono tra loro talmente congiunti, da essere richiesti per la piena iniziazione cristiana.”

 

 

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 675:

 

Can. 675 – § 1. In baptismo homo per lavacrum aquae naturalis cum invocatione nominis Dei Patris et Filii et Spiritus Sancti a peccato liberatur, ad vitam novam regeneratur, Christum induit et Ecclesiae, quae eius Corpus est, incorporatur.

§2. Tantummodo baptismo in re suscepto homo fit capax ceterorum sacramentorum.”

 

Il canone 675 in italiano:

 

Can. 675 – § 1. Nel battesimo, per mezzo del lavacro dell’acqua naturale con l’invocazione del nome di Dio Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, l’uomo è liberato dal peccato, è rigenerato a vita nuova, è rivestito di Cristo ed è incorporato alla Chiesa, che è il suo Corpo.

§2. Solamente col battesimo realmente ricevuto l’uomo diventa capace di tutti gli altri sacramenti.”

 

 

 

[28] Si veda la nota numero 21.

 

 

Le citazioni sono state verificate alla data di pubblicazione di questo articolo sul sito www.giorgiocannella.com

Il primo concilio di Gerusalemme

La narrazione che la Bibbia fa del primo concilio di Gerusalemme ci permette di migliorare le norme del diritto canonico che si riferiscono ai profili che hanno contraddistinto quell’evento.

Lo scopo di questo articolo è rendere le norme in parola conformi a quanto si legge nella Bibbia.

 

Come è noto, il diritto canonico si fonda sulla Scrittura della quale costituisce attuazione dettando regole per disciplinare la vita dei fedeli.

Il rispetto delle norme del diritto canonico, infatti, consente ai fedeli di vivere il minimo indispensabile per la loro vita di fede: non nuocere ad alcuno (neminem laedere).

Acquisito stabilmente questo modo di comportarsi, il fedele può passare allo stadio successivo della sua vita di fede: vivere la carità di Cristo con ciò che lo circonda, con se stesso e con gli altri.

 

 

LA RIFLESSIONE TEOLOGICA

Troppo spesso, nella storia della chiesa, la riflessione teologica ha condotto allo spargimento di sangue, a condanne sia religiose sia statali e infine a degli scismi.

 

Affinché lo spargimento di sangue e le altre conseguenze negative delle quali ho appena detto siano solo un triste ricordo del passato, è bene tenere a mente che cos’è e con quali regole si svolge la riflessione teologica.

 

A questo scopo, leggiamo gli eventi del primo concilio di Gerusalemme negli Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 1-33.[1]

 

I versetti 1 e 2 del passo in esame dicono che la riflessione teologica ha avuto un periodo di tempo per esplicarsi.

In questo lasso di tempo, tutti gli interessati hanno manifestato liberamente la loro opinione sull’argomento e hanno confutato le opinioni espresse dagli altri.

Da questo comprendiamo che la riflessione teologica è libera.

 

Il testo in esame, inoltre, afferma che essa non è dogma di fede, ma consiste in proposte e opinioni personali.

 

L’odierna elaborazione giuridica, poi, ha fissato dei limiti all’esercizio del diritto alla libera manifestazione del pensiero.

Questi limiti valgono anche per la riflessione teologica, perché, come abbiamo detto, anch’essa è una forma di esercizio di questo diritto.

In altre parole, la riflessione teologica non può andare al di là dei limiti che la legge prevede per il corretto esercizio del diritto alla libera manifestazione del pensiero: ingiuria, diffamazione, calunnia, minaccia, vilipendio, apologia di reato, istigazione a delinquere, istigazione all’odio.

 

La vivacità della discussione che il versetto 2 del passo in esame descrive, porta a concludere che le affermazioni della riflessione teologica devono essere sostenute da una solida base argomentativa e fattuale.

L’opinione immotivata, infatti, non ha valore e non sarebbe stata idonea a sostenere una discussione che il versetto in parola ci dice essersi svolta “risolutamente” e “animatamente”.

 

I versetti 2, 5 e 6 del testo in esame affermano altresì che la riflessione teologica deve avere il tempo necessario affinché, sul problema preso in esame, emergano le tesi dominanti da sottoporre al concilio.

Anche con i mezzi di comunicazione che abbiamo oggi, la fase della discussione libera richiede decenni di tempo per lo studio, la riflessione, l’elaborazione della tesi personale e le risposte alle tesi avanzate dagli altri partecipanti alla discussione.

 

In definitiva, il passo in esame degli Atti degli apostoli consente di dire che la riflessione teologica consiste nella elaborazione di proposte per risolvere le questioni di qualsiasi tipo nel campo della fede e altresì che essa si svolge secondo le seguenti regole:

  1. la riflessione teologica non è dogma di fede;
  2. la riflessione teologica è libera;
  3. la riflessione teologica è argomentata in modo adatto a sostenere le sue tesi;
  4. la riflessione teologica si svolge nel rispetto delle norme di legge che disciplinano l’esercizio della libera manifestazione del pensiero.

 

 

IL MAGISTERO

Il passo degli Atti degli apostoli che stiamo esaminando afferma anche come deve attuarsi l’intervento del magistero nella riflessione teologica.

L’intervento in parola non è preventivo o concomitante alla riflessione teologica.

Infatti, il passo in esame non parla di alcun vincolo o direttiva alla quale i partecipanti dovettero sottostare durante la discussione teologica (versetto 2 “risolutamente” e “animatamente”) o durante il concilio (versetto 7 “Dopo lunga discussione, Pietro si alzò e disse:”).

 

I versetti 2, 5 e 6 del passo in esame ci dicono tre cose molto importanti.

Innanzitutto, il concilio per esaminare la questione fu convocato solo dopo che la discussione libera su di essa era giunta all’affinamento dei concetti e alla elaborazione delle posizioni in contrasto da sottoporgli.

 

In secondo luogo, l’autorità magisteriale non fu individuale – ad esempio, un apostolo o una persona di spicco nella comunità dei credenti – ma collegiale come leggiamo nei versetti 2, 4 e 6: “gli apostoli e gli anziani”.

Questo fatto viene ribadito nel versetto 23: “E consegnarono loro la seguente lettera: “Gli apostoli e gli anziani ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia che provengono dai pagani, salute!”

Ne abbiamo la quinta conferma nel versetto 28 dove si legge: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie:”.

Infine, i versetti che ho ora citato dicono da quali persone deve essere composta l’autorità magisteriale: per l’appunto, “gli apostoli e gli anziani”.

 

Dunque, l’attuazione dei versetti in esame esige che:

  • l’autorità magisteriale deputata all’esame di una questione deve essere convocata solo dopo che la discussione libera su quella questione abbia condotto all’affinamento dei concetti e alla elaborazione delle posizioni in contrasto da sottoporle;
  • l’autorità magisteriale è necessariamente collegiale: un concilio;
  • l’autorità magisteriale deve essere composta dall’equivalente odierno degli apostoli e dall’equivalente odierno degli anziani di cui parlano i versetti 2, 4, 6, 23 e 28.

 

La storia della Chiesa ci insegna che il concilio convocato per l’esame di una questione nel campo della fede deve essere ecumenico quando la questione può avere un impatto sulla vita di tutti i fedeli in generale o di tutti i fedeli appartenenti a uno stato canonico.

Quando l’impatto di una questione è di minore estensione, per il suo esame deve essere convocato un concilio particolare.

 

 

IL PRIMATO PETRINO

La Scrittura, come abbiamo appena letto ed esaminato, afferma che il governo della Chiesa è di tipo collegiale.

Pertanto, non si può condividere la tesi che assegna la suprema potestà dottrinale e giuridica nella Chiesa a un solo individuo.

 

A questo non vale obiettare che il Nuovo Testamento darebbe all’apostolo Pietro la qualifica di roccia sulla quale è edificata la Chiesa.[2]

Infatti, è lo stesso Nuovo Testamento ad affermare che il fondamento sul quale è costruita la Chiesa è Cristo e che nessun altro può porre un fondamento diverso da questo.[3]

Né si può obiettare che Pietro abbia avuto la primazia nel gruppo degli apostoli.

Infatti, il Nuovo Testamento ci dice che la prima Chiesa – la Chiesa di Gerusalemme – non era guidata da Pietro, ma da Giacomo.[4]

Questo perché, nella cultura ebraica, era normale che, quando una persona non fosse stata più presente, il suo posto venisse preso dal parente più prossimo: dopo l’ascensione al cielo di Gesù, la guida della comunità dei credenti viene assunta da Giacomo che era il suo parente più prossimo.

Per averne un’altra conferma, è sufficiente leggere i versetti che abbiamo citato del primo concilio di Gerusalemme negli Atti degli apostoli dove si dice che fu Giacomo a chiudere la discussione nel concilio, dopo che aveva parlato Pietro (capitolo 15, versetti 13-21).

 

Infine, va compreso bene il versetto del capitolo 16 del vangelo secondo Matteo che parla delle chiavi del regno dei cieli e del potere di legare e di sciogliere.[5]

Il potere di legare e di sciogliere, nel giudaismo, indicava il potere di consentire o proibire, vale a dire ammettere o escludere dalla comunità dei credenti.

L’immagine delle chiavi fa riferimento a un’autorità che, nel giudaismo, si basava sull’interpretazione della legge, mentre, nel passo del vangelo di Matteo, si basa sulla confessione fatta da Pietro di Gesù come figlio di Dio.

Ebbene, due capitoli dopo l’affermazione in esame, Matteo afferma che la stessa autorità di legare e di sciogliere viene data da Gesù a tutti gli apostoli.[6]

Il vangelo di Giovanni, poi, afferma che Gesù attribuisce il potere di rimettere o meno i peccati – e dunque di consentire o meno l’ingresso nel regno dei cieli – ai discepoli riuniti nel cenacolo.[7]

 

Per questi motivi, le norme del diritto canonico che prevedono un governo della Chiesa universale di tipo monocratico, facente capo a un solo soggetto munito della suprema potestà dottrinale e giuridica, devono essere modificate con la previsione che la Chiesa universale sia governata da un collegio del quale fanno parte il collegio dei vescovi, in qualità di successore del collegio degli apostoli, unitamente a degli anziani laici non consacrati né sacerdoti.

Questo, lo ripetiamo, al fine di rendere le norme del diritto canonico su questo argomento conformi alla Bibbia.

 

Per sapere quali soggetti sono chiamati a partecipare al concilio, dobbiamo comprendere ora quale siano gli equivalenti odierni degli apostoli e degli anziani dei quali parla il capitolo 15 degli Atti degli apostoli.

 

 

L’EQUIVALENTE ODIERNO DEGLI APOSTOLI

Per comprendere quale sia l’equivalente odierno degli apostoli, è sufficiente leggere il codice di diritto canonico.

Il canone 336 del codice in parola afferma che: “Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice” è il soggetto “nel quale permane ininterrottamente il corpo apostolico”.[8]

 

A questo punto è necessario ribadire che l’appartenenza al collegio dei vescovi non serve per avere un titolo onorifico o la responsabilità di una scrivania.

Gesù Cristo, infatti, non ha scelto gli apostoli per fargli avere un titolo onorifico o la responsabilità di una scrivania, ma per affidargli dei precisi incarichi pastorali: predicare, battezzare, curare.[9]

 

La responsabilità pastorale di una porzione del gregge del Signore quindi è necessaria per poter essere vescovo.[10]

Per questa ragione e in considerazione del fatto che la soluzione che emerge da un concilio ha conseguenze sulla vita dei credenti, gli unici vescovi che partecipano al concilio devono essere i vescovi diocesani titolari di cattedra in carica.

 

Per questi motivi, le norme del diritto canonico nelle quali si afferma che devono essere convocati al concilio anche dei vescovi diversi dai vescovi diocesani titolari di cattedra in carica devono essere modificate al fine di renderle conformi al testo biblico.

 

 

L’EQUIVALENTE ODIERNO DEGLI ANZIANI

Per comprendere quale sia l’equivalente odierno degli anziani, iniziamo ancora una volta dalle fondamenta: la Scrittura.

Nei vangeli e in alcuni passi degli Atti degli apostoli dove si parla della comunità ebraica, il termine “anziani” si riferisce alle persone avanti negli anni rispetto all’età media della comunità, che non fanno parte delle classi dei sacerdoti e degli scribi, ma che assieme a questi ultimi formano un collegio che guida la comunità ebraica.[11]

Nei passi degli Atti degli apostoli dove si parla delle comunità cristiane, il termine “anziani” si riferisce alle persone avanti negli anni rispetto all’età media della comunità, che non esercitano il ministero apostolico, sacerdotale o diaconale, ma che formano un collegio che guida una chiesa locale.[12]

Tutto questo è confermato anche per la Chiesa madre di tutte le Chiese: la Chiesa di Gerusalemme.

Negli Atti degli apostoli, infatti, si legge più volte che, assieme agli apostoli, gli anziani guidano la Chiesa di Gerusalemme, senza essere in alcun modo incaricati dei ministeri apostolico, sacerdotale o diaconale.[13]

 

Non può esservi dubbio, quindi, sul fatto che gli anziani di cui parlano tutti i numerosi passi che abbiamo esaminato e citato nelle note di questo paragrafo sono persone:

  • avanti negli anni rispetto all’età media della comunità alla quale appartengono,
  • senza i ministeri apostolico, sacerdotale o diaconale,
  • che guidano la comunità dei credenti collegialmente con i vertici religiosi di essa: i sacerdoti e gli scribi nella comunità ebraica, gli apostoli nella comunità cristiana.

 

Passo ora a individuare l’equivalente odierno di questi anziani.

Sebbene i versetti 2, 4, 6, 23, e 28 del capitolo 15 degli Atti degli apostoli affermino che il governo della Chiesa sia collegiale, non sono a conoscenza di diocesi nelle quali degli anziani – laici non consacrati né sacerdoti – guidano la comunità collegialmente con il vescovo.

Non parlo dell’esecuzione di servizi nella pastorale sanitaria o della catechesi, ma della guida della diocesi collegialmente con il vescovo, al pari di quanto si legge nei passi biblici citati nelle note 11, 12 e 13 di questo articolo.

 

Contro qualsiasi tentazione di affermare che l’equivalente odierno degli anziani sarebbero i presbiteri, valga osservare che:

  • nella struttura di governo della comunità ebraica – che, come abbiamo letto, la comunità cristiana ricalca – i sacerdoti costituiscono la classe dei leviti, non quella degli anziani;
  • nei passi biblici citati nelle note 11, 12 e 13 di questo articolo non si rinviene alcun ministero sacerdotale affidato agli anziani, né nella comunità ebraica, né in quella cristiana;
  • la tripartizione vescovo – presbitero – diacono come struttura rilevante nel governo della comunità cristiana non è presente nella Bibbia, ma compare per la prima volta nelle lettere attribuite a sant’Ignazio di Antiochia.[14]

 

Senza nulla togliere al valore dell’elaborazione teologica svolta da sant’Ignazio di Antiochia, non dovrebbe esserci alcun dubbio sul fatto che, di fronte a numerosi passi biblici concordi nell’affermare che la struttura di governo della comunità cristiana è di tipo collegiale e vede coinvolti gli anziani – laici non consacrati né sacerdoti – assieme gli apostoli, le opinioni di stampo diverso, per quanto autorevoli, non possono soppiantare il dato inequivocabile della Scrittura.

 

Per questi motivi, le norme del diritto canonico che prevedono un governo della chiesa particolare di tipo monocratico facente capo al vescovo devono essere modificate con la previsione che la diocesi sia governata da un collegio del quale fanno parte il vescovo diocesano titolare di cattedra in carica e alcuni anziani laici non consacrati né sacerdoti.

Questo, lo ripetiamo, al fine di rendere le norme in parola del diritto canonico conformi alla Bibbia.

 

Allo stesso fine vanno modificate le norme del diritto canonico che non prevedono l’obbligatoria partecipazione al concilio con voto deliberativo di anziani – laici non consacrati né sacerdoti – esperti nella questione da discutere.

 

 

 

LE PRELATURE PERSONALI

Come abbiamo letto, nel Nuovo Testamento la comunità cristiana è articolata in chiese particolari e chiesa universale.

Non ho trovato alcun passo del Nuovo Testamento che parli delle prelature personali.

Chiedo a chi ne conosce qualcuno di citarlo nello spazio per i commenti alla fine di questo articolo e lo ringrazio fin da ora.

È vero che la Scrittura – poiché è al contempo parola di Dio e dell’autore ispirato – deve essere interpretata, ma questo non può condurre a inserirvi fatti o tesi che essa non contiene.

Se il Nuovo Testamento afferma che la comunità cristiana è articolata in chiese particolari e chiesa universale, non si può affermare che oggi la comunità cristiana può essere organizzata in prelature personali, chiese particolari e chiesa universale.

Per i cristiani, l’insegnamento che emerge dalla Scrittura è normativo.

Non è un insieme di suggerimenti, proposte, idee.

In altre parole, non si può prevedere un’articolazione della comunità dei credenti ulteriore o diversa rispetto a quella che si legge nel Nuovo Testamento: chiese particolari e chiesa universale.

Quello che qui si contesta non è il fatto che i chierici possano associarsi fra loro, ma il fatto che possano esistere delle realtà che non siano sottoposte all’autorità dell’organo collegiale di governo della diocesi – come abbiamo detto: vescovo e anziani – nel cui territorio esse operano.

Affermare l’esistenza delle prelature personali, quindi, significa aggiungere un terzo soggetto agli unici due dei quali il Nuovo Testamento parla a proposito dell’articolazione della comunità cristiana.

 

I documenti che creano l’istituto della prelatura personale sono recenti: il paragrafo numero 10 del decreto Presbyterorum ordinis del 1965 e i successivi documenti attuativi. [15]

In essi si legge di peculiari esigenze missionarie per soddisfare le quali sarebbe necessario procedere all’istituzione delle prelature personali.

Nel codice di diritto canonico, le prelature personali sono disciplinate dai canoni dal 294 al 297.[16]

Al contrario, nel codice dei canoni delle chiese orientali le prelature personali non ci sono.

Inoltre, i canoni 357 e 391 del codice dei canoni delle chiese orientali[17] non menzionano le prelature personali tra le opzioni offerte al chierico per adempiere al suo obbligo di associazione.

Per questo mi sono domandato: è possibile che le peculiari esigenze missionarie siano presenti solo nella Chiesa latina e non anche nelle Chiese orientali?

 

Poiché il diritto canonico si fonda sulla Scrittura della quale costituisce attuazione dettando regole per la vita dei fedeli, la mancanza di un passo della Scrittura sul quale fondare l’esistenza delle prelature personali comporta che l’istituto vada abolito e tutte le norme che le creano e le disciplinano debbano essere abrogate.

Un’identica conclusione è valida per tutte le altre chiese particolari – diverse dalla diocesi – che sono state istituite dal diritto canonico, ma delle quali non vi è traccia nel Nuovo Testamento, a titolo non esaustivo: prelatura territoriale, abbazia territoriale, vicariato apostolico, prefettura apostolica.

Senza pretesa di completezza, i documenti che parlano delle prelature personali sono:

  • i canoni 294-297 del codice di diritto canonico;
  • il numero 10 del decreto Presbyterorum ordinis nella parte in cui parla delle prelature personali;
  • il decreto Ad gentes, numero 20 nota 105[18] e numero 27 nota 140[19];
  • il motu proprio Ecclesiae sanctae, numero 4;[20]
  • la costituzione apostolica Regimini ecclesiae universae, articolo 49, paragrafo 1;[21]
  • e ogni atto che ha eretto una o più prelature personali.

Le prelature personali oggi esistenti che non desiderano estinguersi possono chiedere all’autorità competente la propria trasformazione in altre realtà previste dal diritto canonico, come ad esempio l’associazione di chierici[22], l’istituto di vita secolare[23], la società di vita apostolica[24].

 

 

 

I CANONI DA MODIFICARE

I passi della Bibbia citati e le argomentazioni esposte in questo articolo conducono alla necessità di modificare alcuni canoni del diritto canonico al fine di renderli conformi alla Scrittura.

 

 

Sui doveri dei fedeli

Il canone 210 del codice di diritto canonico[25] e il canone 13 del codice dei canoni delle chiese orientali[26]

Il canone 210 del codice di diritto canonico e il canone 13 del codice delle chiese orientali sono modificati nel modo seguente:

 

§1. Tutti i fedeli cristiani devono dedicare le proprie energie, ciascuno secondo la sua condizione, per condurre una vita santa e inoltre per promuovere la crescita della Chiesa e la sua continua santificazione.

§2. Tutti i fedeli, secondo la propria condizione, hanno il dovere di contribuire alla riflessione teologica.[27]

§3. La riflessione teologica consiste nella elaborazione di proposte per risolvere le questioni di qualsiasi tipo nel campo della fede.

§4. La riflessione teologica si svolge secondo le regole seguenti:

  1. la riflessione teologica non è dogma di fede;
  2. la riflessione teologica è libera;
  3. la riflessione teologica è argomentata in modo adatto a sostenere le sue tesi;
  4. la riflessione teologica si svolge nel rispetto delle norme di legge che disciplinano l’esercizio del diritto alla libera manifestazione del pensiero.

 

 

 

Sul concilio ecumenico e sui concilii particolari

I canoni 338, 339 e 443 del codice di diritto canonico[28]

Il canone 338 è abrogato e il suo testo è sostituito nel modo seguente:

 

Can. 338 – §1. Il concilio ecumenico è convocato quando una questione di qualsiasi tipo nel campo della fede può avere un impatto sulla vita di tutti i fedeli in generale o di tutti i fedeli appartenenti a uno stato canonico.

§2. Quando una questione di qualsiasi tipo nel campo della fede ha un impatto di minore estensione rispetto a quanto previsto nel paragrafo 1 di questo canone, è convocato un concilio particolare.

§3. Su istanza dei due terzi dei vescovi diocesani titolari di cattedra in carica indirizzata al collegio dei vescovi, il concilio ecumenico è convocato automaticamente di diritto.

§4. Il concilio ecumenico convocato per l’esame di una questione è convocato solo dopo che la discussione libera su quella questione ha condotto all’affinamento dei concetti e alla elaborazione delle posizioni in contrasto da sottoporre al concilio.[29]

§5. Al concilio ecumenico partecipano soltanto i vescovi diocesani titolari di cattedra in carica e gli anziani laici non consacrati né sacerdoti esperti nella questione da discutere nel concilio.

§6. Fatta canonicamente la convocazione, se due terzi dei membri che sono tenuti a partecipare al concilio ecumenico, tolti coloro che sono trattenuti da legittimo impedimento, risultano presenti nel luogo designato, il concilio è dichiarato canonico e si procede.

§7. È compito di chi presiede il concilio ecumenico, dopo aver ascoltato i membri del concilio, preparare l’ordine del giorno da osservare nell’esame delle questioni e da sottoporre all’approvazione del concilio all’inizio delle sessioni.

§8. Durante il concilio ecumenico, i singoli membri possono aggiungere altre questioni a quelle proposte, se lo consente almeno la terza parte dei membri che partecipano al concilio.

§9. Ferme restando le disposizioni sull’ordine del giorno contenute nei paragrafi 7 e 8 di questo canone, la discussione nel concilio ecumenico è libera.[30]

§10. Il concilio ecumenico vota a maggioranza dei due terzi dei membri che partecipano al concilio il suo trasferimento, la sua sospensione, il suo scioglimento.

§11. A meno che il diritto particolare non esige una maggiore presenza, ogni sessione del concilio ecumenico è canonica e ogni singola votazione è valida, se la maggioranza più uno dei membri che sono tenuti a intervenire al concilio è presente.

§12. Tutti i partecipanti al concilio ecumenico hanno il voto deliberativo.

§13. Le norme contrarie a questo canone sono abrogate.

 

 

Il canone 339 del codice di diritto canonico è abrogato.

 

 

Le parole “e le questioni da trattare” nel numero 4 del canone 441 sono abrogate.

Le parole “e le questioni da trattare” nel numero 3 del canone 442 sono abrogate.

In entrambi i casi il motivo è dato dal fatto che queste previsioni sono sostituite dai nuovi paragrafi 7 e 8 del canone 338.

 

 

Il canone 443 è abrogato e il suo testo è modificato nel modo seguente:

 

Can. 443 – §1. Su istanza dei due terzi dei vescovi diocesani titolari di cattedra indirizzata al collegio dei vescovi della conferenza episcopale alla quale essi appartengono, il concilio particolare è convocato automaticamente di diritto.

§2. Fermo quanto disposto dai paragrafi 1 e 2 del canone 338, il concilio particolare convocato per l’esame di una questione è convocato solo dopo che la discussione libera su quella questione ha condotto all’affinamento dei concetti e alla elaborazione delle posizioni in contrasto da sottoporre al concilio.

§3. Su istanza dei due terzi dei vescovi diocesani titolari di cattedra in carica indirizzata al collegio dei vescovi della conferenza episcopale alla quale essi appartengono, il concilio particolare è convocato automaticamente di diritto.

§4. Il concilio particolare convocato per l’esame di una questione è convocato solo dopo che la discussione libera su quella questione ha condotto all’affinamento dei concetti e alla elaborazione delle posizioni in contrasto da sottoporre al concilio.[31]

§5. Al concilio particolare partecipano soltanto i vescovi diocesani titolari di cattedra in carica e gli anziani laici non consacrati né sacerdoti esperti nella questione da discutere nel concilio.

§6. Fatta canonicamente la convocazione, se due terzi dei membri che sono tenuti a partecipare al concilio particolare, tolti coloro che sono trattenuti da legittimo impedimento, risultano presenti nel luogo designato, il concilio è dichiarato canonico e si procede.

§7. È compito di chi presiede il concilio particolare, dopo aver ascoltato i membri del concilio, preparare l’ordine del giorno da osservare nell’esame delle questioni e da sottoporre all’approvazione del concilio all’inizio delle sessioni.

§8. Durante il concilio particolare, i singoli membri possono aggiungere altre questioni a quelle proposte, se lo consente almeno la terza parte dei membri che partecipano al concilio.

§9. Ferme restando le disposizioni sull’ordine del giorno contenute nei paragrafi 7 e 8 di questo canone, la discussione nel concilio particolare è libera.[32]

§10. Il concilio particolare vota a maggioranza dei due terzi dei membri che partecipano al concilio il suo trasferimento, la sua sospensione, il suo scioglimento.

§11. A meno che il diritto particolare non esige una maggiore presenza, ogni sessione del concilio particolare è canonica e ogni singola votazione è valida, se la maggioranza più uno dei membri che sono tenuti a intervenire al concilio è presente.

§12. Tutti i partecipanti al concilio particolare hanno il voto deliberativo.

§13. Le disposizioni di questo canone si applicano anche a tutte le altre assemblee previste dal diritto.

§14. Le norme contrarie a questo canone sono abrogate.

 

 

 

Sui concilii nelle chiese orientali

I canoni 102 e 108 del codice dei canoni delle chiese orientali[33]

Il canone 102 del codice dei canoni delle chiese orientali è abrogato e il suo testo è sostituito nel modo seguente:

 

Can. 102 – §1. Il concilio ecumenico è convocato quando una questione di qualsiasi tipo nel campo della fede può avere un impatto sulla vita di tutti i fedeli in generale o di tutti i fedeli appartenenti a uno stato canonico.

§2. Quando una questione di qualsiasi tipo nel campo della fede ha un impatto di minore estensione rispetto a quanto previsto nel paragrafo 1 di questo canone, è convocato un concilio particolare.

§3. Su istanza dei due terzi dei vescovi diocesani titolari di cattedra in carica indirizzata al collegio dei vescovi, il concilio ecumenico è convocato automaticamente di diritto.

§4. Il concilio ecumenico convocato per l’esame di una questione è convocato solo dopo che la discussione libera su quella questione ha condotto all’affinamento dei concetti e alla elaborazione delle posizioni in contrasto da sottoporre al concilio.[34]

§5. Al concilio ecumenico partecipano soltanto i vescovi diocesani titolari di cattedra in carica e gli anziani laici non consacrati né sacerdoti esperti nella questione da discutere nel concilio.

§6. Fatta canonicamente la convocazione, se due terzi dei membri che sono tenuti a partecipare al concilio ecumenico, tolti coloro che sono trattenuti da legittimo impedimento, risultano presenti nel luogo designato, il concilio è dichiarato canonico e si procede.

§7. È compito di chi presiede il concilio ecumenico, dopo aver ascoltato i membri del concilio, preparare l’ordine del giorno da osservare nell’esame delle questioni e da sottoporre all’approvazione del concilio all’inizio delle sessioni.

§8. Durante il concilio ecumenico, i singoli membri possono aggiungere altre questioni a quelle proposte, se lo consente almeno la terza parte dei membri che partecipano al concilio.

§9. Ferme restando le disposizioni sull’ordine del giorno contenute nei paragrafi 7 e 8 di questo canone, la discussione nel concilio ecumenico è libera.[35]

§10. Il concilio ecumenico vota a maggioranza dei due terzi dei membri che partecipano al concilio il suo trasferimento, la sua sospensione, il suo scioglimento.

§11. A meno che il diritto particolare non esige una maggiore presenza, ogni sessione del concilio ecumenico è canonica e ogni singola votazione è valida, se la maggioranza più uno dei membri che sono tenuti a intervenire al concilio è presente.

§12. Tutti i partecipanti al concilio ecumenico hanno il voto deliberativo.

§13. Le norme contrarie a questo canone sono abrogate.

 

 

 

Il canone 108 del codice dei canoni delle chiese orientali è abrogato e il suo testo è sostituito nel modo seguente:

 

Can. 108 – §1. Su istanza dei due terzi dei vescovi diocesani titolari di cattedra indirizzata al collegio dei vescovi della conferenza episcopale alla quale essi appartengono, il concilio particolare è convocato automaticamente di diritto.

§2. Fermo quanto disposto dai paragrafi 1 e 2 del canone 102, il concilio particolare convocato per l’esame di una questione è convocato solo dopo che la discussione libera su quella questione ha condotto all’affinamento dei concetti e alla elaborazione delle posizioni in contrasto da sottoporre al concilio.

§3. Su istanza dei due terzi dei vescovi diocesani titolari di cattedra in carica indirizzata al collegio dei vescovi della conferenza episcopale alla quale essi appartengono, il concilio particolare è convocato automaticamente di diritto.

§4. Il concilio particolare convocato per l’esame di una questione è convocato solo dopo che la discussione libera su quella questione ha condotto all’affinamento dei concetti e alla elaborazione delle posizioni in contrasto da sottoporre al concilio.[36]

§5. Al concilio particolare partecipano soltanto i vescovi diocesani titolari di cattedra in carica e gli anziani laici non consacrati né sacerdoti esperti nella questione da discutere nel concilio.

§6. Fatta canonicamente la convocazione, se due terzi dei membri che sono tenuti a partecipare al concilio particolare, tolti coloro che sono trattenuti da legittimo impedimento, risultano presenti nel luogo designato, il concilio è dichiarato canonico e si procede.

§7. È compito di chi presiede il concilio particolare, dopo aver ascoltato i membri del concilio, preparare l’ordine del giorno da osservare nell’esame delle questioni e da sottoporre all’approvazione del concilio all’inizio delle sessioni.

§8. Durante il concilio particolare, i singoli membri possono aggiungere altre questioni a quelle proposte, se lo consente almeno la terza parte dei membri che partecipano al concilio.

§9. Ferme restando le disposizioni sull’ordine del giorno contenute nei paragrafi 7 e 8 di questo canone, la discussione nel concilio particolare è libera.[37]

§10. Il concilio particolare vota a maggioranza dei due terzi dei membri che partecipano al concilio il suo trasferimento, la sua sospensione, il suo scioglimento.

§11. A meno che il diritto particolare non esige una maggiore presenza, ogni sessione del concilio particolare è canonica e ogni singola votazione è valida, se la maggioranza più uno dei membri che sono tenuti a intervenire al concilio è presente.

§12. Tutti i partecipanti al concilio particolare hanno il voto deliberativo.

§13. Le disposizioni di questo canone si applicano anche a tutte le altre assemblee previste dal diritto.

§14. Le norme contrarie a questo canone sono abrogate.

 

 

 

Sulle Chiese particolari nel codice di diritto canonico

Il canone 368 del codice di diritto canonico[38]

Il canone 368 è abrogato e il suo testo è sostituito come segue:

 

Can. 368 – §1. Le Chiese particolari sono unicamente le diocesi.

§2. La suprema potestà in ogni diocesi è esercitata da un collegio[39] del quale fanno parte il vescovo diocesano titolare di cattedra in carica e alcuni anziani laici non consacrati né sacerdoti[40] estratti a sorte[41] tra tutti i credenti validamente battezzati che hanno superato l’età media delle persone che fanno parte di quella diocesi e prendono parte alla sua vita.

§3. Nel caso in cui la diocesi non abbia anziani con le caratteristiche di cui al paragrafo 2 di questo canone, devono essere estratte a sorte delle persone con il maggior numero di queste caratteristiche tra tutti i credenti validamente battezzati che prendono parte alla vita della diocesi.

§4. Ogni norma contraria a questo canone è abrogata.

 

 

I canoni 370 e 371 del codice di diritto canonico sono abrogati e il loro testo è modificato nel modo seguente:

 

Can. 370 – §1. L’istituto della prelatura territoriale è abrogato.

§2. Tutte le prelature territoriali esistenti sono automaticamente abolite e incorporate nella diocesi o nelle diocesi nel cui territorio si trovano.

§3. Entro il termine di tre anni dalla entrata in vigore di questo canone, la conferenza episcopale nel cui territorio si trovano uno o più delle abolite prelature territoriali può decidere la riorganizzazione delle sue diocesi e del loro territorio.

§4. L’istituto dell’abbazia territoriale è abrogato.

§5. Tutte le abbazie territoriali esistenti sono automaticamente abolite e trasformate in abbazie sui iuris per il loro diritto interno e per tutto il resto sottoposte all’autorità della diocesi o delle diocesi nel cui territorio si trovano.

§6. Entro il termine di tre anni dalla entrata in vigore di questo canone, la conferenza episcopale nel cui territorio si trovano uno o più delle abolite abbazie territoriali può decidere la riorganizzazione delle sue diocesi e del loro territorio.

 

Can. 371 – §1. L’istituto del vicariato apostolico è abrogato.

§2. Ogni vicariato apostolico esistente è automaticamente abolito e trasformato in diocesi.

§3. Entro il termine di tre anni dalla entrata in vigore di questo canone, la conferenza episcopale nel cui territorio si trovano uno o più degli aboliti vicariati apostolici può decidere la riorganizzazione delle sue diocesi e del loro territorio.

§4. L’istituto della prefettura apostolica è abrogato.

§5. Ogni prefettura apostolica esistente è automaticamente abolita e trasformata in diocesi.

§6. Entro il termine di tre anni dalla entrata in vigore di questo canone, la conferenza episcopale nel cui territorio si trovano una o più delle abolite prefetture apostoliche può decidere la riorganizzazione delle sue diocesi e del loro territorio.

 

 

Sulle Chiese particolari nel codice dei canoni delle chiese orientali

Il canone 55 del codice dei canoni delle chiese orientali[42]

Il canone 55 del codice delle chiese orientali è abrogato e il suo testo è modificato come segue:

 

Can. 55 – §1. Le Chiese particolari sono unicamente le diocesi.

§2. La suprema potestà in ogni diocesi è esercitata da un collegio[43] del quale fanno parte il vescovo diocesano titolare di cattedra in carica e alcuni anziani laici non consacrati né sacerdoti[44] estratti a sorte[45] tra tutti i credenti validamente battezzati che hanno superato l’età media delle persone che fanno parte di quella diocesi e prendono parte alla sua vita.

§3. Nel caso in cui la diocesi non abbia anziani con le caratteristiche di cui al paragrafo 2 di questo canone, devono essere estratte a sorte delle persone con il maggior numero di queste caratteristiche tra tutti i credenti validamente battezzati che prendono parte alla vita della diocesi.

§4. Le parole “chiesa patriarcale” ovunque si trovino sono sostituite dalla parola “diocesi”.

§5. La parola “patriarca” ovunque si trovi è sostituita dalla parola “vescovo”.

§6. I poteri e le prerogative di ogni vescovo sono quelli del vescovo diocesano titolare di cattedra.

§7. Ogni norma contraria a questo canone è abrogata.

 

 

 

Il titolo IV del Codice dei canoni delle chiese orientali è rinominato “Le Chiese particolari”

I Titoli V “De ecclesiis archiepiscopalibus maioribus”, VI “De ecclesiis metropolitanis ceterisque ecclesiis sui iuris”, VII “De eparchiis et de episcopis” e VIII “De exarchiis et de exarchis” del codice dei canoni delle chiese orientali sono abrogati.

Queste abrogazioni sono la conseguenza delle previsioni contenute nel nuovo canone 55 del codice dei canoni delle chiese orientali.

 

 

 

Le norme sulle prelature personali

I cannoni dal 294 al 297 del codice di diritto canonico[46]

Nel codice di diritto canonico, i canoni dal 294 al 297 sono abrogati.

Il testo del canone 294 è sostituito nel modo seguente:

 

Can. 294 – §1. L’istituto della prelatura personale è abrogato.

§2. Tutte le prelature personali sono abolite.

§3. Ogni prelatura personale è convertita automaticamente in associazione di chierici.

§4. Entro il termine di due anni dalla entrata in vigore di questo canone, gli appartenenti alle abolite prelature personali possono associarsi in un modo diverso dall’associazione di chierici scegliendo tra gli istituti disciplinati dal diritto canonico.

 

 

 

Il romano pontefice

Canoni 331-335 del codice di diritto canonico[47]

Come si leggerà tra breve, il nuovo testo del canone 332 paragrafo 1 afferma che:

“Il vescovo di Roma è estratto a sorte tra i presbiteri incardinati nella diocesi di Roma che siano stati validamente ordinati.”.

Il motivo della previsione normativa dell’estrazione a sorte è dato dal fatto che, nella Bibbia, questo è il modo con il quale si rimette alla volontà di Dio la scelta da compiere.[48]

I canoni dal 331 al 335 del codice di diritto canonico sono abrogati e il loro testo è sostituito nel modo seguente:

 

CAPITOLO I – L’ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA

Articolo 1 – Il vescovo di Roma, il Capo dello Stato Città del Vaticano e le conferenze episcopali

 

Can. 331 – §1. Come, per volontà del Signore, tutti gli apostoli costituiscono un solo collegio, similmente i vescovi costituiscono un solo collegio.

§2. Le parole “Sommo Pontefice” o “Romano Pontefice” ovunque si trovino sono sostituite con le parole “vescovo di Roma” ad eccezione dei canoni dal 362 al 367 nei quali le parole “Romano Pontefice” sono sostituite con le parole “Capo dello Stato Città del Vaticano”.

§3. Le parole “Santa Sede” o “Sede Apostolica” ovunque si trovino sono sostitute con le parole “Stato Città del Vaticano”.

§4. Le parole “Nunzio apostolico” e “Legato pontificio” ovunque si trovino sono sostituite con le parole “ambasciatore dello Stato Città del Vaticano”.

§5. Le prerogative e i poteri del vescovo di Roma sono quelli del vescovo diocesano titolare di cattedra.

§6. Il servizio in qualità di Capo dello Stato Città del Vaticano e qualsiasi mansione della carriera diplomatica dello Stato Città del Vaticano sono regolati dal diritto internazionale pubblico e sono incompatibili con il ministero episcopale, con il ministero presbiterale, con il ministero diaconale, con la vita laicale consacrata. La violazione di questo paragrafo è sanzionata con l’automatica riduzione allo stato laicale e con l’automatica scomunica entrambe non sanabili.

§7. Il servizio in qualità di Capo dello Stato Città del Vaticano è assunto da un laico eletto ogni cinque anni e rieleggibile una sola volta.

§8. È validamente eletto Capo dello Stato Città del Vaticano chi ottiene il maggior numero di voti e non meno della metà più uno dei voti di coloro che svolgono le funzioni di ambasciatore dello Stato Città del Vaticano.

 

Can. 332 – §1. Il vescovo di Roma è estratto a sorte[49] tra i presbiteri incardinati nella diocesi di Roma che siano stati validamente ordinati. A tale fine, i presbiteri di cui al periodo precedente sono unicamente i presbiteri validamente ordinati e che il giorno prima della cessazione dall’incarico del precedente vescovo diocesano titolare di cattedra in carica risultino incardinati nella diocesi della quale il futuro vescovo è destinato a essere il vescovo diocesano titolare di cattedra in carica.

§2. Fatta la convocazione canonica, l’assemblea per l’estrazione a sorte del vescovo di Roma è validamente costituita con la presenza dei due terzi degli aventi diritto.

§3. La votazione è valida con il voto della metà più uno degli aventi diritto.

§4. Il soggetto che ottiene più voti e non meno della metà più uno dei voti sia proclamato vescovo di Roma.

§5. L’elezione legittima, l’accettazione libera e la consacrazione al ministero episcopale fanno ottenere all’eletto il ministero di vescovo di Roma.

§6. Se l’eletto che ha accettato non è vescovo, sia consacrato al ministero episcopale.

§7. Nel caso in cui il vescovo di Roma rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.

§8. Quando la sede del vescovo di Roma sia vacante non si modifichi nulla, ma ci si attenga alle disposizioni delle leggi speciali emanate per questa circostanza.

§9. Le disposizioni di questo canone si applicano anche all’acquisizione del ministero episcopale da parte di ogni vescovo della Chiesa di Gesù Cristo.

 

Can. 333 – §1. La Chiesa latina è organizzata in conferenze episcopali.

§2. Il territorio di ciascuna conferenza episcopale corrisponde al territorio dello Stato nel quale essa si trova.

§3. La conferenza episcopale, così come ogni vescovo, non può agire o decidere in contrasto con la parola di Dio, con le delibere dei concilii ecumenici e con il diritto canonico.

 

Can. 334 – §1. In tutta la Chiesa di Gesù Cristo il monsignorato, il cardinalato e ogni altro titolo onorifico sono aboliti.

§2. In tutta la Chiesa di Gesù Cristo tutti coloro che hanno il ministero episcopale hanno pari dignità e si differenziano tra loro solo per il servizio esercitato.

§3. La consacrazione al ministero episcopale è conferita validamente solo e soltanto a coloro che devono essere vescovi diocesani titolari di cattedra.[50]

§4. Tutti coloro i quali, a partire dalla data di entrata in vigore di questo canone, hanno la consacrazione al ministero episcopale, ma non sono vescovi diocesani titolari di cattedra in carica o vescovi diocesani titolari di cattedra emeriti, sono automaticamente ridotti allo stato che avevano prima della consacrazione al ministero episcopale.

§5. In tutta la Chiesa di Gesù Cristo tutti coloro che hanno il ministero presbiterale hanno pari dignità e si differenziano tra loro solo per il servizio esercitato.

§6. In tutta la Chiesa di Gesù Cristo tutti coloro che hanno il ministero diaconale hanno pari dignità e si differenziano tra loro solo per il servizio esercitato.

§7. In tutta la Chiesa di Gesù Cristo tutte le persone che conducono la vita laicale consacrata hanno pari dignità e si differenziano tra loro solo per il servizio esercitato.

§8. In tutta la Chiesa di Gesù Cristo tutte le persone che conducono la vita laicale hanno pari dignità e si differenziano tra loro solo per il servizio esercitato.

 

Can. 335 – Ogni disposizione contraria ai canoni 331, 332, 333, 334 è abrogata.

 

 

 

Il collegio dei vescovi

Codice di diritto canonico canoni 336-341[51]

I canoni dal 336 al 341 del codice di diritto canonico sono abrogati.

Le loro disposizioni, infatti, o sono già presenti nel testo modificato di altri canoni (ad esempio: la definizione del collegio dei vescovi nel nuovo testo del canone 331, paragrafo 1, le norme sul concilio ecumenico nel nuovo testo del canone 338), o sono esplicazione della forma di governo monocratica della Chiesa (che abbiamo compreso non essere quella che si legge nella Scrittura).

 

 

 

Il sinodo dei vescovi

Codice di diritto canonico canoni 342-348[52]

I canoni dal 342 al 348 del codice di diritto canonico sono abrogati.

Le loro disposizioni, infatti, sono attuazione della forma di governo monocratica della Chiesa (che abbiamo compreso non essere quella che si legge nella Scrittura).

Inoltre, la nuova previsione dei motivi per i quali è convocato il concilio ecumenico rende superfluo prevedere e disciplinare l’istituto del sinodo dei vescovi (nuovo testo del canone 338, paragrafo 1).

 

 

 

I cardinali di santa romana Chiesa

Canoni 349-359 del codice di diritto canonico[53]

I canoni 349-359 del codice di diritto canonico sono abrogati.

L’abrogazione di tutti i titoli onorifici nella Chiesa – e tra di essi il cardinalato – rende inutili le norme sui cardinali (nuovo testo del canone 334, paragrafo 1).

Le norme in parola, poi, sono inutili alla luce della nuova disposizione per la quale il Capo dello Stato Città del Vaticano organizza e dirige le persone che collaborano con lui, nonché in considerazione della incompatibilità tra l’episcopato, il presbiterato, il diaconato, la vita laicale consacrata e la collaborazione con il Capo dello Stato Città del Vaticano (nuovo testo dei canoni 360 e 361).

 

 

La curia romana

I canoni 360 e 361 del Codice di diritto canonico[54]

Il capitolo IV al quale appartengono i canoni 360 e 361 è rinominato “Gli uffici dello Stato Città del Vaticano”.

I canoni 360 e 361 del codice di diritto canonico sono abrogati e il loro testo è sostituito nel modo seguente:

 

Can. 360 – Il Capo dello Stato Città del Vaticano organizza e dirige le persone che collaborano con lui.

 

Can. 361 – §1. Il ministero episcopale, il ministero presbiterale, il ministero diaconale, la vita laicale consacrata sono incompatibili con l’essere collaboratore o collaboratrice del Capo dello Stato Città del Vaticano.

§2. Le uniche eccezioni al paragrafo 1 di questo canone sono l’invio di informative e petizioni e l’aiuto prestato in caso di calamità.

§3. La violazione di questo canone è sanzionata con l’automatica riduzione allo stato laicale e con l’automatica scomunica entrambe non sanabili.

 

 

 

I legati del romano pontefice

Codice diritto canonico, canoni 362-367[55]

I canoni dal 362 al 367 del codice di diritto canonico sono abrogati.

Le norme in parola sono inutili alla luce della nuova disposizione per la quale il Capo dello Stato Città del Vaticano organizza e dirige le persone che collaborano con lui (nuovo testo del canone 360), nonché in considerazione della previsione per la quale le parole “Nunzio apostolico” e “Legato pontificio” ovunque si trovino sono sostituite con le parole “ambasciatore dello Stato Città del Vaticano” (nuovo testo del canone 331, paragrafo 4) e infine in base alla previsione per la quale qualsiasi mansione della carriera diplomatica dello Stato Città del Vaticano è regolata dal diritto internazionale pubblico (nuovo testo del canone 331, paragrafo 6).

 

 

 

La suprema autorità della Chiesa e il romano pontefice

Canoni 42-48 del codice dei canoni delle chiese orientali[56]

Come si leggerà tra breve, il nuovo testo del canone 45 paragrafo 1 afferma che:

“Il vescovo di Roma è estratto a sorte tra i presbiteri incardinati nella diocesi di Roma che siano stati validamente ordinati.”.

Il motivo della previsione normativa dell’estrazione a sorte è dato dal fatto che, nella Bibbia, questo è il modo con il quale si rimette alla volontà di Dio la scelta da compiere.

Si vedano a tale proposito i passi biblici citati nella nota numero 41.

I canoni dal 42 al 48 del codice dei canoni delle chiese orientali sono abrogati e il loro testo è sostituito nel modo seguente:

 

TITOLO III – L’ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA

 

Can. 42 – Come, per volontà del Signore, tutti gli apostoli costituiscono un solo collegio, similmente i vescovi costituiscono un solo collegio.

 

Capitolo 1 – Il vescovo di Roma, il Capo dello Stato Città del Vaticano e le conferenze episcopali

Can. 43 – §1. Le parole “Sommo Pontefice” o “Romano Pontefice” ovunque si trovino sono sostituite con le parole “vescovo di Roma”.

§2. Le parole “Santa Sede” o “Sede Apostolica” ovunque si trovino sono sostitute con le parole “Stato Città del Vaticano”.

§3. Le parole “Nunzio apostolico” e “Legato pontificio” ovunque si trovino sono sostituite con le parole “ambasciatore dello Stato Città del Vaticano”.

§4. Le prerogative e i poteri del vescovo di Roma sono quelli del vescovo diocesano titolare di cattedra.

 

Can. 44 – §1. Il servizio in qualità di Capo dello Stato Città del Vaticano e qualsiasi mansione della carriera diplomatica dello Stato Città del Vaticano sono regolati dal diritto internazionale pubblico e sono incompatibili con il ministero episcopale, con il ministero presbiterale, con il ministero diaconale, con la vita laicale consacrata. La violazione di questo paragrafo è sanzionata con l’automatica riduzione allo stato laicale e con l’automatica scomunica entrambe non sanabili.

§2. Il servizio in qualità di Capo dello Stato Città del Vaticano è assunto da un laico eletto ogni cinque anni e rieleggibile una sola volta.

§3. È validamente eletto Capo dello Stato Città del Vaticano chi ottiene il maggior numero di voti e non meno della metà più uno dei voti di coloro che svolgono le funzioni di ambasciatore dello Stato Città del Vaticano.

 

Can. 45 – §1. Il vescovo di Roma è estratto a sorte[57] tra i presbiteri incardinati nella diocesi di Roma che siano stati validamente ordinati. A tale fine, i presbiteri di cui al periodo precedente sono unicamente i presbiteri validamente ordinati e che il giorno prima della cessazione dall’incarico del precedente vescovo diocesano titolare di cattedra in carica risultino incardinati nella diocesi della quale il futuro vescovo è destinato a essere il vescovo diocesano titolare di cattedra in carica.

§2. Fatta la convocazione canonica, l’assemblea per l’estrazione a sorte del vescovo di Roma è validamente costituita con la presenza dei due terzi degli aventi diritto.

§3. La votazione è valida con il voto della metà più uno degli aventi diritto.

§4. Il soggetto che ottiene più voti e non meno della metà più uno dei voti sia proclamato vescovo di Roma.

§5. L’elezione legittima, l’accettazione libera e la consacrazione al ministero episcopale fanno ottenere all’eletto il ministero di vescovo di Roma.

§6. Se l’eletto che ha accettato non è vescovo, sia consacrato al ministero episcopale.

§7. Nel caso in cui il vescovo di Roma rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.

§8. Quando la sede del vescovo di Roma sia vacante non si modifichi nulla, ma ci si attenga alle disposizioni delle leggi speciali emanate per questa circostanza.

§9. Le disposizioni di questo canone si applicano anche all’acquisizione del ministero episcopale da parte di ogni vescovo della Chiesa di Gesù Cristo.

 

Can. 46 – §1. Le Chiese orientali sono organizzate in conferenze episcopali.

§2. Il territorio di ciascuna conferenza episcopale corrisponde al territorio dello Stato nel quale essa si trova.

§3. La conferenza episcopale, così come ogni vescovo, non può agire o decidere in contrasto con la parola di Dio, con le delibere dei concilii ecumenici e con il diritto canonico.

 

Can 47 – §1. In tutta la Chiesa di Gesù Cristo il monsignorato, il cardinalato e ogni altro titolo onorifico sono aboliti.

§2. In tutta la Chiesa di Gesù Cristo tutti coloro che hanno il ministero episcopale hanno pari dignità e si differenziano tra loro solo per il servizio esercitato.

§3. La consacrazione al ministero episcopale è conferita validamente solo e soltanto a coloro che devono essere vescovi diocesani titolari di cattedra.[58]

§4. Tutti coloro i quali, a partire dalla data di entrata in vigore di questo canone, hanno la consacrazione al ministero episcopale, ma non sono vescovi diocesani titolari di cattedra in carica o vescovi diocesani titolari di cattedra emeriti, sono automaticamente ridotti allo stato che avevano prima della consacrazione al ministero episcopale.

§5. In tutta la Chiesa di Gesù Cristo tutti coloro che hanno il ministero presbiterale hanno pari dignità e si differenziano tra loro solo per il servizio esercitato.

§6. In tutta la Chiesa di Gesù Cristo tutti coloro che hanno il ministero diaconale hanno pari dignità e si differenziano tra loro solo per il servizio esercitato.

§7. In tutta la Chiesa di Gesù Cristo tutte le persone che conducono la vita laicale consacrata hanno pari dignità e si differenziano tra loro solo per il servizio esercitato.

§8. In tutta la Chiesa di Gesù Cristo tutte le persone che conducono la vita laicale hanno pari dignità e si differenziano tra loro solo per il servizio esercitato.

 

Can. 48 – Ogni disposizione contraria ai canoni 43, 44, 45, 46, 47 è abrogata.

 

 

 

Il collegio dei vescovi

Codice dei canoni delle chiese orientali, canoni 49-54[59]

I canoni dal 49 al 54 del codice del codice dei canoni delle chiese orientali sono abrogati.

Le loro disposizioni, infatti, o sono già presenti nel testo modificato di altri canoni (ad esempio: la definizione del collegio dei vescovi nel nuovo testo del canone 42, le norme sul concilio ecumenico nel nuovo testo del canone 102), o sono esplicazione della forma di governo monocratica della Chiesa (che abbiamo compreso non essere quella che si legge nella Scrittura).

 

 

 

Vi ringrazio per il vostro tempo e per la vostra attenzione.

 

NOTE A PIE’ DI PAGINA

[1] Tutti i passi dei testi citati in questo articolo sono presi dalle pagine internet indicate.

 

Se non altrimenti specificato, il sottolineato è mio.

 

Tutte le citazioni della Bibbia in questo articolo sono prese da “La Sacra Bibbia” edizione Conferenza episcopale italiana, in: http://www.vatican.va/archive/ITA0001/_INDEX.HTM

 

Tutte le citazioni del codice di diritto canonico in questo articolo sono prese da “Codex iuris canonici” in: http://www.vatican.va/archive/ITA0276/_INDEX.HTM

 

Tutte le citazioni del codice dei canoni delle chiese orientali presenti in questo articolo sono prese da “Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium” in latino in:

http://www.vatican.va/archive/cdc/index_it.htm

e in italiano in:

https://www.iuscangreg.it/cceo_multilingue.php

 

Tutte le citazioni del Catechismo della chiesa cattolica presenti in questo articolo sono prese da:

http://www.vatican.va/archive/ccc/index_it.htm

 

 

Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 1-33:

 

“[1] Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: “Se non vi fate circoncidere secondo l’uso di Mosè, non potete esser salvi”.

[2] Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione.

[3] Essi dunque, scortati per un tratto dalla comunità, attraversarono la Fenicia e la Samaria raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli.

[4] Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani e riferirono tutto ciò che Dio aveva compiuto per mezzo loro.

[5] Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: è necessario circonciderli e ordinar loro di osservare la legge di Mosè.

[6] Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema.

[7] Dopo lunga discussione, Pietro si alzò e disse:
“Fratelli, voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta fra voi, perché i pagani ascoltassero per bocca mia la parola del vangelo e venissero alla fede.

[8] E Dio, che conosce i cuori, ha reso testimonianza in loro favore concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi;

[9] e non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede.

[10] Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare?

[11] Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro”.

[12] Tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Barnaba e Paolo che riferivano quanti miracoli e prodigi Dio aveva compiuto tra i pagani per mezzo loro.

[13] Quand’essi ebbero finito di parlare, Giacomo aggiunse:

[14] “Fratelli, ascoltatemi. Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere tra i pagani un popolo per consacrarlo al suo nome.

[15] Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto:

[16] Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la
tenda di
Davide che era caduta; ne riparerò le rovine e la
rialzerò,

[17] perché anche gli altri uomini cerchino il Signore
e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio
nome,

[18] dice il Signore che fa queste cose da lui conosciute dall’eternità.

[19] Per questo io ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono a Dio tra i pagani,

[20] ma solo si ordini loro di astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue.

[21] Mosè infatti, fin dai tempi antichi, ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe”.

[22] Allora gli apostoli, gli anziani e tutta la Chiesa decisero di eleggere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba: Giuda chiamato Barsabba e Sila, uomini tenuti in grande considerazione tra i fratelli.

[23] E consegnarono loro la seguente lettera: “Gli apostoli e gli anziani ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia che provengono dai pagani, salute!

[24] Abbiamo saputo che alcuni da parte nostra, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con i loro discorsi sconvolgendo i vostri animi.

[25] Abbiamo perciò deciso tutti d’accordo di eleggere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Barnaba e Paolo,

[26] uomini che hanno votato la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo.

[27] Abbiamo mandato dunque Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi queste stesse cose a voce.

[28] Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie:

[29] astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia. Farete cosa buona perciò a guardarvi da queste cose. State bene”.

[30] Essi allora, congedatisi, discesero ad Antiochia e riunita la comunità consegnarono la lettera.

[31] Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva.

[32] Giuda e Sila, essendo anch’essi profeti, parlarono molto per incoraggiare i fratelli e li fortificarono.

[33] Dopo un certo tempo furono congedati con auguri di pace dai fratelli, per tornare da quelli che li avevano inviati.”

 

 

[2] Vangelo secondo Matteo, capitolo 16, versetti 13-23:

 

“[13] Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”.

[14] Risposero: “Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti”.

[15] Disse loro: “Voi chi dite che io sia?”.

[16] Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.

[17] E Gesù: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli.

[18] E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.

[19] A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.

[20] Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

[21] Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno.

[22] Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai”.

[23] Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: “Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”.”

 

 

 

[3] Prima lettera ai Corinzi, capitolo 3, versetti 1-15:

 

“[1] Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali, come a neonati in Cristo.
[2] Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci. E neanche ora lo siete;

[3] perché siete ancora carnali: dal momento che c’è tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera tutta umana?

[4] Quando uno dice: “Io sono di Paolo”, e un altro: “Io sono di Apollo”, non vi dimostrate semplicemente uomini?

[5] Ma che cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? Ministri attraverso i quali siete venuti alla fede e ciascuno secondo che il Signore gli ha concesso.

[6] Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere.

[7] Ora né chi pianta, né chi irrìga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere.

[8] Non c’è differenza tra chi pianta e chi irrìga, ma ciascuno riceverà la sua mercede secondo il proprio lavoro.

[9] Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio.

[10] Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce.

[11] Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo.

[12] E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia,

[13] l’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno.

[14] Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa;

[15] ma se l’opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco.”

 

 

 

[4] Atti degli apostoli, capitolo 12, versetto 17:

 

“[17] Egli allora, fatto segno con la mano di tacere, narrò come il Signore lo aveva tratto fuori del carcere, e aggiunse: “Riferite questo a Giacomo e ai fratelli“. Poi uscì e s’incamminò verso un altro luogo.”

 

 

Atti degli apostoli, capitolo 21, versetti 17-19:

 

“[17] Arrivati a Gerusalemme, i fratelli ci accolsero festosamente.

[18] L’indomani Paolo fece visita a Giacomo insieme con noi: c’erano anche tutti gli anziani.

[19] Dopo aver rivolto loro il saluto, egli cominciò a esporre nei particolari quello che Dio aveva fatto tra i pagani per mezzo suo.”

 

 

 

Lettera ai Galati, capitolo 1, versetti 18-20:

 

“[18] In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni;

[19] degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore.

[20] In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco.”

 

 

 

Lettera ai Galati, capitolo 2, versetti 1-14:

 

“[1] Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito:

[2] vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano.

[3] Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere.

[4] E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi.

[5] Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.

[6] Da parte dunque delle persone più ragguardevoli – quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna – a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più.

[7] Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi –

[8] poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani –

[9] e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi.

[10] Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.

[11] Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto.

[12] Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi.

[13] E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia.

[14] Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: “Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?”

 

 

 

[5] Vangelo secondo Matteo, capitolo 16, versetto 19:

 

“[19] A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli“.”

 

 

 

[6] Vangelo secondo Matteo, capitolo 18, versetti 1.18:

 

“[1] In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?”.

[18] In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo.”

 

 

 

[7] Vangelo secondo Giovanni, capitolo 20, versetti 19-23:

 

“[19] La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”.

[20] Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

[21] Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”.

[22] Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo;

[23] a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi“.”

 

 

 

[8] Codice di diritto canonico,

canone 336:

 

“Can. 336 – Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane ininterrottamente il corpo apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo capo, è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale.”

 

 

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 49,

 

Can. 49 – Collegium Episcoporum, cuius caput est Romanus Pontifex cuiusque membra sunt Episcopi vi sacramentalis ordinationis et hierarchica communione cum Collegii capite et membris et in quo corpus apostolicum continuo perseverat, una cum capite suo et numquam sine hoc capite subiectum quoque supremae et plenae potestatis in universam Ecclesiam exsistit.”

 

Il canone 49 in italiano:

 

Can. 49 – Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Romano Pontefice e le cui membra sono i Vescovi, in forza dell’ordinazione sacramentale e per la comunione gerarchica con il capo del Collegio e con le membra, e nel quale il corpo apostolico persevera continuamente assieme al suo capo e mai senza questo capo, è pure soggetto della suprema e piena potestà sulla Chiesa universale.”

 

 

 

[9] GLI INCARICHI PASTORALI DEGLI APOSTOLI

Vangelo secondo Marco, capitolo 3, versetti 13-19:

 

“[13] Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui.

[14] Ne costituì Dodici che stessero con lui

[15] e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni.

[16] Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro;

[17] poi Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono;

[18] e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo

[19] e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì.”

 

 

 

Vangelo secondo Marco, capitolo 6, versetti 7-13:

 

“[7] Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi.

[8] E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa;

[9] ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche.

[10] E diceva loro: “Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo.

[11] Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro”.

[12] E partiti, predicavano che la gente si convertisse,

[13] scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.”

 

 

 

Vangelo secondo Marco, capitolo 16, versetti 14-20:

 

“[14] Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato.

[15] Gesù disse loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.

[16] Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato.

[17] E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove,

[18] prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno”.

[19] Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio.

[20] Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano.”

 

 

 

Vangelo secondo Matteo, capitolo 10, versetti 1-8:

 

“[1] Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità.

[2] I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello,

[3] Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo,

[4] Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, che poi lo tradì.

[5] Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti:
“Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani;

[6] rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele.

[7] E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino.

[8] Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.

 

 

 

Vangelo secondo Matteo, capitolo 28, versetti 16-20:

 

“[16] Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato.

[17] Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano.

[18] E Gesù, avvicinatosi, disse loro: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.

[19] Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,

[20] insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.”

 

 

 

Vangelo secondo Luca, capitolo 9, versetti 1-6:

 

“[1] Egli allora chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demòni e di curare le malattie.

[2] E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi.

[3] Disse loro: “Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno.

[4] In qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino.

[5] Quanto a coloro che non vi accolgono, nell’uscire dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi, a testimonianza contro di essi”.

[6] Allora essi partirono e giravano di villaggio in villaggio, annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni.”

 

 

 

Atti degli apostoli, capitolo 3, capitolo 1-16:

 

“[1] Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio.

[2] Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta “Bella” a chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio.

[3] Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l’elemosina.

[4] Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: “Guarda verso di noi”.

[5] Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa.

[6] Ma Pietro gli disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!“.

[7] E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono

[8] e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio.

[9] Tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio

[10] e riconoscevano che era quello che sedeva a chiedere l’elemosina alla porta Bella del tempio ed erano meravigliati e stupiti per quello che gli era accaduto.

[11] Mentr’egli si teneva accanto a Pietro e Giovanni, tutto il popolo fuor di sé per lo stupore accorse verso di loro al portico detto di Salomone.

[12] Vedendo ciò, Pietro disse al popolo: “Uomini d’Israele, perché vi meravigliate di questo e continuate a fissarci come se per nostro potere e nostra pietà avessimo fatto camminare quest’uomo?

[13] Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo;

[14] voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino

[15] e avete ucciso l’autore della vita. Ma Dio l’ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni.

[16] Proprio per la fede riposta in lui il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete; la fede in lui ha dato a quest’uomo la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi.”

 

 

 

Atti degli apostoli, capitolo 5, versetti 12-16:

 

“[12] Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone;
[13] degli altri, nessuno osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava.

[14] Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore

[15] fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro.

[16] Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti.”

 

 

 

Atti degli apostoli, capitolo 8, versetti 5-8:

 

“[5] Filippo, sceso in una città della Samaria, cominciò a predicare loro il Cristo.

[6] E le folle prestavano ascolto unanimi alle parole di Filippo sentendolo parlare e vedendo i miracoli che egli compiva.

[7] Da molti indemoniati uscivano spiriti immondi, emettendo alte grida e molti paralitici e storpi furono risanati.

[8] E vi fu grande gioia in quella città.”

 

 

 

Atti degli apostoli, capitolo 8, versetti 34-40:

 

“[34] E rivoltosi a Filippo l’eunuco disse: “Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?”.

[35] Filippo, prendendo a parlare e partendo da quel passo della Scrittura, gli annunziò la buona novella di Gesù.

[36] Proseguendo lungo la strada, giunsero a un luogo dove c’era acqua e l’eunuco disse: “Ecco qui c’è acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?”.

[37] .

[38] Fece fermare il carro e discesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò.

[39] Quando furono usciti dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più e proseguì pieno di gioia il suo cammino.

[40] Quanto a Filippo, si trovò ad Azoto e, proseguendo, predicava il vangelo a tutte le città, finché giunse a Cesarèa.”

 

 

 

Atti degli apostoli, capitolo 9, versetti 32-35:

 

“[32] E avvenne che mentre Pietro andava a far visita a tutti, si recò anche dai fedeli che dimoravano a Lidda.

[33] Qui trovò un uomo di nome Enea, che da otto anni giaceva su un lettuccio ed era paralitico.

[34] Pietro gli disse: “Enea, Gesù Cristo ti guarisce; alzati e rifatti il letto”. E subito si alzò.

[35] Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saròn e si convertirono al Signore.”

 

 

 

Atti degli apostoli, capitolo 9, versetti 36-42:

 

“[36] A Giaffa c’era una discepola chiamata Tabità, nome che significa “Gazzella”, la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine.

[37] Proprio in quei giorni si ammalò e morì. La lavarono e la deposero in una stanza al piano superiore.

[38] E poiché Lidda era vicina a Giaffa i discepoli, udito che Pietro si trovava là, mandarono due uomini ad invitarlo: “Vieni subito da noi!”.

[39] E Pietro subito andò con loro. Appena arrivato lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra loro.

[40] Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi rivolto alla salma disse: “Tabità, alzati!“. Ed essa aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere.

[41] Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i credenti e le vedove, e la presentò loro viva.

[42] La cosa si riseppe in tutta Giaffa, e molti credettero nel Signore.”

 

 

 

Vangelo secondo Giovanni, capitolo 20, versetti, 21-23:

 

“[21] Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi“.

[22] Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo;

[23] a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi“.”

 

 

 

[10] Codice di diritto canonico,

canone 369:

 

“Can. 369 – La diocesi è la porzione del popolo di Dio che viene affidata alla cura pastorale del Vescovo con la cooperazione del presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore e da lui riunita nello Spirito Santo mediante il Vangelo e l’Eucaristia, costituisca una Chiesa particolare in cui è veramente presente e operante la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica.”

 

 

 

[11] GLI ANZIANI NELLA COMUNITÀ EBRAICA

 

Vangelo secondo Marco:

 

capitolo 8, versetto 31:

 

“[31] E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare.”

 

capitolo 11, versetti 27-28:

 

“[27] Andarono di nuovo a Gerusalemme. E mentre egli si aggirava per il tempio, gli si avvicinarono i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero:
[28] “Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farlo?”.”

 

capitolo 14, versetti 43.53:

 

“[43] E subito, mentre ancora parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani.”

“[53] Allora condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi.”

 

capitolo 15, versetto 1:

 

“[1] Al mattino i sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato.”

 

 

 

Vangelo secondo Matteo:

 

capitolo 21, versetto 23:

 

“[23] Entrato nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo e gli dissero: “Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità?”.

 

capitolo 26, versetti 3-4:

 

“[3] Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa,
[4] e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire.”

 

capitolo 26, versetti 47-48:

 

“[47] Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo.
[48] Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!”.

 

capitolo 27, versetto 1:

 

“[1] Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire.”

 

 

 

Vangelo di Luca:

 

capitolo 9, versetto 22:

 

“[22] “Il Figlio dell’uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno”.”

 

capitolo 20, versetti 1-2:

 

“[1] Un giorno, mentre istruiva il popolo nel tempio e annunziava la parola di Dio, si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli scribi con gli anziani e si rivolsero a lui dicendo:
[2] “Dicci con quale autorità fai queste cose o chi è che t’ha dato quest’autorità”.”

 

capitolo 22, versetti 52-54:

 

“[52] Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: “Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante?
[53] Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre”.
[54] Dopo averlo preso, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano.”

 

capitolo 22, versetti 66-69:

 

“[66] Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio e gli dissero:

[67] “Se tu sei il Cristo, diccelo”. Gesù rispose: “Anche se ve lo dico, non mi crederete;

[68] se vi interrogo, non mi risponderete.

[69] Ma da questo momento starà il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza di Dio”.

 

 

 

Atti degli apostoli,

 

capitolo 4, versetti 1-8.23:

 

“[1] Stavano ancora parlando al popolo, quando sopraggiunsero i sacerdoti, il capitano del tempio e i sadducei,
[2] irritati per il fatto che essi insegnavano al popolo e annunziavano in Gesù la risurrezione dai morti.
[3] Li arrestarono e li portarono in prigione fino al giorno dopo, dato che era ormai sera.
[4] Molti però di quelli che avevano ascoltato il discorso credettero e il numero degli uomini raggiunse circa i cinquemila.
[5] Il giorno dopo si radunarono in Gerusalemme i capi, gli anziani e gli scribi,
[6] il sommo sacerdote Anna, Caifa, Giovanni, Alessandro e quanti appartenevano a famiglie di sommi sacerdoti.
[7] Fattili comparire davanti a loro, li interrogavano: “Con quale potere o in nome di chi avete fatto questo?”.

[8] Allora Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: “Capi del popolo e anziani,

[23] Appena rimessi in libertà, andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto i sommi sacerdoti e gli anziani.”

 

capitolo 5, versetti 17-21:

 

“[17] Si alzò allora il sommo sacerdote e quelli della sua parte, cioè la setta dei sadducei, pieni di livore,
[18] e fatti arrestare gli apostoli li fecero gettare nella prigione pubblica.
[19] Ma durante la notte un angelo del Signore aprì le porte della prigione, li condusse fuori e disse:
[20] “Andate, e mettetevi a predicare al popolo nel tempio tutte queste parole di vita”.
[21] Udito questo, entrarono nel tempio sul far del giorno e si misero a insegnare.
Quando arrivò il sommo sacerdote con quelli della sua parte, convocarono il sinedrio e tutti gli anziani dei figli d’Israele; mandarono quindi a prelevare gli apostoli nella prigione.”

 

capitolo 6, versetti 8-12:

 

“[8] Stefano intanto, pieno di grazia e di fortezza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo.
[9] Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei “liberti” comprendente anche i Cirenèi, gli Alessandrini e altri della Cilicia e dell’Asia, a disputare con Stefano,
[10] ma non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava.
[11] Perciò sobillarono alcuni che dissero: “Lo abbiamo udito pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio”.
[12] E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio.”

 

 

 

[12] GLI ANZIANI NELLE COMUNITÀ CRISTIANE

Atti degli apostoli:

 

capitolo 14, versetti 21-23:

“[21] Dopo aver predicato il vangelo in quella città e fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Icònio e Antiochia,
[22] rianimando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio.

[23] Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani e dopo avere pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto.”

 

capitolo 16, versetti 16-17:

 

“[16] Paolo aveva deciso di passare al largo di Efeso per evitare di subire ritardi nella provincia d’Asia: gli premeva di essere a Gerusalemme, se possibile, per il giorno della Pentecoste.

[17] Da Milèto mandò a chiamare subito ad Efeso gli anziani della Chiesa.”

 

 

 

[13] GLI ANZIANI NELLA COMUNITÀ CRISTIANA DI GERUSALEMME

Atti degli apostoli:

 

capitolo 15, versetti 2, 4, 6, 22, 23:

 

“[2] Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione.
[3] Essi dunque, scortati per un tratto dalla comunità, attraversarono la Fenicia e la Samaria raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli.
[4] Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani e riferirono tutto ciò che Dio aveva compiuto per mezzo loro.
[5] Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: è necessario circonciderli e ordinar loro di osservare la legge di Mosè.
[6] Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema.

[22] Allora gli apostoli, gli anziani e tutta la Chiesa decisero di eleggere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba: Giuda chiamato Barsabba e Sila, uomini tenuti in grande considerazione tra i fratelli.
[23] E consegnarono loro la seguente lettera: “Gli apostoli e gli anziani ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia che provengono dai pagani, salute!”

 

 

 

[14] Un riassunto della vita di sant’Ignazio di Antiochia è disponibile in: https://it.wikipedia.org/wiki/Ignazio_di_Antiochia

 

Un riassunto della questione filologica generata dalle diverse versioni che ci sono pervenute delle lettere a lui attribuite è disponibile in:  https://it.wikipedia.org/wiki/Lettere_di_Ignazio

 

 

 

[15] Decreto Presbyterorum ordinis,

numero 10,

cito da:

http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19651207_presbyterorum-ordinis_it.html

(il sottolineato è mio)

 

“10. Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell’ordinazione non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza, « fino agli ultimi confini della terra » (At 1,8), dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli apostoli. Infatti il sacerdozio di Cristo, di cui i presbiteri sono resi realmente partecipi, si dirige necessariamente a tutti i popoli e a tutti i tempi, né può subire limite alcuno di stirpe, nazione o età, come già veniva prefigurato in modo arcano con Melchisedec (82). Ricordino quindi i presbiteri che a essi incombe la sollecitudine di tutte le Chiese. Pertanto, i presbiteri di quelle diocesi, che hanno maggior abbondanza di vocazioni si mostrino disposti ad esercitare volentieri il proprio ministero, previo il consenso o l’invito del proprio ordinario, in quelle regioni, missioni o attività che soffrano di scarsezza di clero.

Inoltre, le norme sull’incardinazione e l’escardinazione vanno riviste in modo che questo antichissimo istituto, pur rimanendo in vigore, sia però più rispondente ai bisogni pastorali di oggi. E lì dove ciò sia reso necessario da motivi apostolici, si faciliti non solo una distribuzione funzionale dei presbiteri, ma anche l’attuazione di peculiari iniziative pastorali in favore di diversi gruppi sociali in certe regioni o nazioni o addirittura continenti. A questo scopo potrà essere utile la creazione di seminari internazionali, peculiari diocesi o prelature personali, e altre istituzioni del genere, cui potranno essere ascritti o incardinati dei presbiteri per il bene di tutta la Chiesa, secondo norme da stabilirsi per ognuna di queste istituzioni, e rispettando sempre i diritti degli ordinari del luogo.

Comunque, per quanto è possibile, i presbiteri non devono essere mandati soli in una nuova regione, soprattutto quando non ne conoscono ancora bene la lingua e le usanze; è meglio che vadano a gruppi di almeno due o tre, come i discepoli del Signore (83), in modo da aiutarsi a vicenda. È parimenti necessario che ci si prenda cura della loro vita spirituale e della loro salute fisica e mentale; inoltre, nei limiti del possibile, è bene che si scelgano il luogo e le condizioni di lavoro che meglio si adattano alle possibilità personali di ciascuno di essi. D’altra parte, è altrettanto necessario che coloro i quali entrano in una nuova nazione cerchino di conoscere non solo la lingua del paese, ma anche gli speciali caratteri psico-sociologici di quel popolo al cui servizio essi umilmente desiderano mettersi, fondendosi con esso nel modo più pieno, così da seguire l’esempio dell’apostolo Paolo, il quale poté dire di sé: « Io infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servitore di tutti, per guadagnarne il più gran numero. Con i Giudei mi sono fatto Giudeo, per guadagnare i Giudei… » (1 Cor 9,19-20).”

 

 

 

[16] LE PRELATURE PERSONALI

Codice di diritto canonico,

canoni 294-297:

 

“Can. 294 – Al fine di promuovere un’adeguata distribuzione dei presbiteri o di attuare speciali opere pastorali o missionarie per le diverse regioni o per le diverse categorie sociali, la Sede Apostolica può erigere prelature personali formate da presbiteri e da diaconi del clero secolare, udite le Conferenze Episcopali interessate.

 

Can. 295 – §1. La prelatura personale è retta da statuti emanati dalla Sede Apostolica e ad essa viene preposto un Prelato come Ordinario proprio, il quale ha il diritto di erigere un seminario nazionale o internazionale, nonché di incardinare gli alunni e di promuoverli agli ordini con il titolo del servizio della prelatura.

§2. Il Prelato deve provvedere sia alla formazione spirituale di coloro che ha promosso con il predetto titolo, sia al loro decoroso sostentamento.

 

Can. 296 – I laici possono dedicarsi alle opere apostoliche di una prelatura personale mediante convenzioni stipulate con la prelatura stessa; il modo di tale organica cooperazione e i principali doveri e diritti con essa connessi siano determinati con precisione negli statuti.

 

Can. 297 – Parimenti gli statuti definiscano i rapporti della prelatura personale con gli Ordinari del luogo nelle cui Chiese particolari la prelatura stessa esercita o intende esercitare, previo consenso del Vescovo diocesano, le sue opere pastorali o missionarie.”

 

 

 

[17] Codice dei canoni delle chiese orientali,

canoni 357 e 391:

 

canone 357

Can. 357 – § 1. Quilibet clericus debet esse ut clericus ascriptus aut alicui eparchiae aut exarchiae aut instituto religioso aut societati vitae communis ad instar religiosorum aut instituto vel consociationi, quae ius clericos sibi ascribendi adepta sunt a Sede Apostolica vel intra fines territorii Ecclesiae, cui praeest, a Patriarcha de consensu Synodi permanentis.

§2. Quod de clericorum alicui eparchiae ascriptione et de dimissione ab ea statuitur, valet congrua. congruis referendo etiam de aliis supra dictis personis iuridicis necnon iure particulari ita ferente de ipsa Ecclesia patriarchali, nisi aliter iure expresse cautum est.”

 

canone 357 in italiano:

 

Can. 357 – § 1. Qualsiasi chierico deve essere ascritto come chierico a un’eparchia, o a un esarcato, o a un istituto religioso, o a una società di vita comune a guisa dei religiosi, oppure a un istituto o a un’associazione che abbia ottenuto dalla Sede Apostolica il diritto di ascriversi dei chierici oppure, entro i confini del territorio della Chiesa a cui presiede, dal Patriarca col consenso del Sinodo permanente.

§2. Ciò che è stabilito circa l’ascrizione dei chierici a un’eparchia e la dimissione da essa, vale anche, con i dovuti riferimenti, delle altre persone giuridiche sopra indicate, come pure, se così lo comporta il diritto particolare, della stessa Chiesa patriarcale, a meno che non sia stato espressamente disposto diversamente dal diritto.”

 

 

Canone 391:

 

Can. 391 – Integrum est clericis firmo can. 578, § 3 se cum aliis consociare ad fines consequendos statui clericali congruentes; competit autem Episcopo eparchiali de hac congruentia authentice iudicare.”

 

Canone 391 in italiano:

 

Can. 391 – E’ pieno diritto dei chierici, fermo restando il can. 578, § 3, di associarsi con altri per raggiungere dei fini convenienti allo stato clericale; giudicare autenticamente di questa convenienza, però, spetta al Vescovo eparchiale.”

 

 

 

[18] Decreto Ad gentes,

numero 20,

cito da:

http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19651207_ad-gentes_it.html

(il sottolineato è mio)

 

“20. La Chiesa particolare, dovendo riprodurre il più perfettamente possibile la Chiesa universale, abbia la piena coscienza di essere inviata anche a coloro che non credono in Cristo e vivono nel suo stesso territorio, al fine di costituire, con la testimonianza di vita dei singoli fedeli e della comunità tutta, il segno che addita loro il Cristo (104).

È inoltre necessario il ministero della parola, perché il messaggio evangelico giunga a tutti. Il vescovo deve essere essenzialmente il messaggero di fede che porta nuovi discepoli a Cristo. Per rispondere bene a questo nobilissimo compito deve conoscere a fondo sia le condizioni del suo gregge, sia la concezione che di Dio hanno i suoi concittadini, tenendo conto esattamente anche dei mutamenti introdotti dalla cosiddetta urbanizzazione, dal fenomeno della emigrazione e dall’indifferentismo religioso.

I sacerdoti locali attendano con molto zelo all’opera di evangelizzazione nelle giovani Chiese, collaborando attivamente con i missionari di origine straniera, con i quali costituiscono un unico corpo sacerdotale riunito sotto l’autorità del vescovo: ciò non solo per pascere i propri fedeli e per celebrare il culto divino, ma anche per predicare il Vangelo a coloro che stanno fuori. Perciò dimostrino prontezza e, all’occasione, si offrano generosamente al proprio vescovo per iniziare l’attività missionaria nelle zone più lontane ed abbandonate della propria diocesi o anche di altre diocesi.

Dello stesso zelo siano animati i religiosi e le religiose, ed anche i laici verso i propri concittadini, specie quelli più poveri.

Le conferenze episcopali procurino che periodicamente si tengano corsi di aggiornamento biblico, teologico, spirituale e pastorale, allo scopo di consentire al clero, di fronte al variare incessante delle situazioni, di approfondire la conoscenza della teologia e dei metodi pastorali.

Quanto al resto, si osservino religiosamente tutte le disposizioni che questo Concilio ha emanato, specialmente quelle del decreto relativo al ministero ed alla vita sacerdotale.

Una Chiesa particolare, per poter realizzare la propria opera missionaria, ha bisogno di ministri adatti, che vanno preparati tempestivamente in maniera rispondente alle condizioni di ciascuna di esse. E poiché gli uomini tendono sempre più a riunirsi in gruppi, è sommamente conveniente che le conferenze episcopali concordino una comune linea di azione, in ordine al dialogo da stabilire con tali gruppi. Se però in certe regioni esistono dei gruppi di uomini, che sono distolti dall’abbracciare la fede cattolica dall’incapacità di adattarsi a quella forma particolare che la Chiesa ha assunto in mezzo a loro, è senz’altro desiderabile che si provveda ad una tale situazione con misure particolari (105) finché non si arrivi a riunire tutti i cristiani in un’unica comunità. Se poi la santa Sede dispone di missionari preparati a questo scopo, pensino i singoli vescovi a chiamarli nelle proprie diocesi o li accolgano ben volentieri, favorendo efficacemente le loro iniziative.

Perché questo zelo missionario fiorisca nei membri della loro patria, è altresì conveniente che le giovani Chiese partecipino quanto prima effettivamente alla missione universale della Chiesa, inviando anch’esse dei missionari a predicare il Vangelo dappertutto nel mondo, anche se soffrono di scarsezza di clero. La comunione con la Chiesa universale raggiungerà in un certo senso la sua perfezione solo quando anch’esse prenderanno parte attiva allo sforzo missionario diretto verso le altre nazioni.”

 

 

 

[19] Decreto Ad gentes,

numero 27,

cito da:

http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19651207_ad-gentes_it.html

(il sottolineato è mio)

 

“27. Tutto questo, benché sia indispensabile a chiunque viene inviato alle genti, in realtà molto difficilmente può essere realizzato dai singoli. Appunto perché l’opera missionaria stessa, come conferma l’esperienza, non può essere compiuta dai singoli individui, una vocazione comune li ha riuniti in istituti dove, mettendo insieme le loro forze, possono ricevere una formazione adeguata, per eseguire quell’opera a nome della Chiesa e dietro comando dell’autorità gerarchica. Per molti secoli tali istituti han portato il peso del giorno e del calore, sia che al lavoro missionario si dedicassero totalmente, sia che vi si dedicassero soltanto in parte. Spesso la santa Sede affidò loro dei territori immensi da evangelizzare, nei quali seppero riunire, per il Signore, un nuovo popolo, cioè una Chiesa locale gerarchicamente unita ai propri pastori. A queste Chiese appunto, che han fondato con il loro sudore o piuttosto con il loro sangue, essi presteranno servizio con il proprio zelo e la propria esperienza in una collaborazione fraterna, sia che esercitino la cura delle anime, sia che svolgano funzioni speciali in vista del bene comune.

Talvolta si assumeranno dei compiti più urgenti in tutto l’ambito di una determinata regione: ad esempio, l’evangelizzazione di certe categorie o di popoli che, per ragioni particolari, non hanno forse ricevuto ancora il messaggio evangelico, o ad esso han fatto finora resistenza (140). In caso di necessità, essi devono esser pronti a formare e ad aiutare con la loro esperienza coloro che si consacrano all’attività missionaria solo temporaneamente. Per tutte queste ragioni, ed anche perché molti sono ancora i popoli da condurre a Cristo, questi istituti restano assolutamente necessari.”

 

Nota presente nel testo ora citato

 

“(140) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sul Ministero e la Vita dei Presbiteri, Presbyterorum Ordinis, n. 10, dove si tratta delle Diocesi e delle Prelature personali e di altri argomenti analoghi [pag. 801ss].”

 

 

 

[20] Motu proprio Ecclesiae sanctae,

numero 4,

cito da:

http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/motu_proprio/documents/hf_p-vi_motu-proprio_19660806_ecclesiae-sanctae.html

(il sottolineato è mio)

 

“4. Inoltre, per favorire speciali iniziative pastorali o missionarie in favore di certe regioni o di gruppi sociali, che abbisognano di speciale aiuto, possono fruttuosamente essere erette dalla Sede Apostolica delle Prelature composte di presbiteri del clero secolare, in possesso di una particolare formazione, dotate di propri statuti e sotto la direzione di un proprio Prelato.
Sarà compito di questo Prelato fondare e dirigere Seminari nazionali o internazionali, per una opportuna formazione degli alunni. Tale Prelato avrà il diritto di incardinare quegli alunni e di promuoverli agli Ordini col titolo di servizio della Prelatura.
Il Prelato deve interessarsi della vita spirituale di coloro che ha promosso col titolo predetto e di perfezionare continuamente la loro peculiare formazione, in vista dello speciale ministero, con opportuni accordi con gli Ordinari dei luoghi in cui questi sacerdoti sono mandati. Così pure deve provvedere loro un dignitoso sostentamento, assicurato mediante gli stessi accordi, o con beni propri della Prelatura o con altri opportuni aiuti. Similmente dovrà interessarsi di coloro che per malferma salute o per altre cause sono costretti ad abbandonare il loro ministero.
Nulla impedisce che dei laici, sia celibi sia coniugati, mediante convenzioni con la Prelatura, offrano la loro abilità professionale a servizio delle opere e delle iniziative di essa.
Tali Prelature non siano erette se non dopo aver ascoltato le Conferenze Episcopali del territorio in cui esse prestano la loro opera. Nel loro servizio le Prelature si premurino di rispettare i diritti degli Ordinari del luogo e abbiano continue e strette relazioni con le stesse Conferenze Episcopali.”

 

 

 

[21] Costituzione apostolica Regimini ecclesiae universae,

numero 49,

cito da:

http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_constitutions/documents/hf_p-vi_apc_19670815_regimini-ecclesiae-universae.html

(il sottolineato è mio)

 

“49. § 1. Alla Congregazione per i Vescovi spetta, nei luoghi e per le persone non soggette alla Congregazione per le Chiese Orientali o alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, costituire nuove diocesi, province, regioni; dividere, unire, sottoporre a revisione quelle già costituite, sia su proposta delle Conferenze Episcopali interessate (14), sia dopo aver semplicemente sentito il loro parere, se il caso lo richiede; erigere Vicariati Castrensi e, dopo aver chiesto il parere delle Conferenze Episcopali del territorio, Prelature per favorire particolari iniziative pastorali a vantaggio di certe regioni o di gruppi sociali bisognosi di speciale aiuto (15); inoltre tratta le questioni che riguardano la nomina dei Vescovi, degli Amministratori Apostolici, dei Coadiutori e degli Ausiliari dei Vescovi, dei Vicari Castrensi e degli altri Vicari e Prelati che godono di giurisdizione personale.
§ 2. Ogni volta che si deve trattare con i Governi Civili per la erezione, divisione, provvisione di diocesi, gli atti vengono presi in considerazione dal S. Consiglio per gli affari Pubblici della Chiesa (16), salvo una particolare condizione per qualche Stato (17); ma in ambedue i casi i Dicasteri per i Vescovi e per gli affari Pubblici della Chiesa procedono di comune accordo, presentando regolarmente l’affare all’Assemblea mista dei Cardinali, dopo la reciproca comunicazione degli atti; resta sempre immutata la norma di definire concordemente le modalità secondo cui debbano essere trattati i problemi di tal genere, che nell’ambito della loro competenza vengono presi in considerazione da più Dicasteri della Curia Romana.
§ 3. In tutti i casi, poi, spetta alla Congregazione per i Vescovi, emanare il decreto di erezione, di divisione, di provvisione delle diocesi.
§ 4. È compito della medesima Congregazione informarsi su tutto ciò che riguarda i Vescovi, in riferimento sia alle persone che agli uffici e all’azione pastorale; parimenti provvedere ai medesimi quando lasciano l’ufficio loro affidato (18). Perciò essa si interessa di ciò che ha attinenza con lo stato delle diocesi e con le mense episcopali; riceve ed esamina quanto i Vescovi hanno riferito per iscritto circa la situazione ed il progresso delle diocesi; di comune accordo con i Dicasteri interessati, indice visite apostoliche e prende in esame quelle già terminate, trasmettendo in ambedue i casi ai singoli Dicasteri quelle informazioni che li riguardano in modo specifico.
§ 5. Considera inoltre quanto riguarda i Primati e i Metropoliti, cura quanto riguarda la concessione dei sacri pallii, prepara i temi da trattarsi nei Concistori.”

 

Note presenti nel testo ora citato.

 

“(14) CONC. VATIC. II, Decr. Christus Dominus, nn. 22-24; 39-40: AAS 58 (1966), pp.683 ss; 694

(15Ibid., n. 42; CONC. VATIC. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 10: AAS 58 (1966), p. 1007; Motu Proprio Ecclesiae Sanctae del 6 agosto 1966, I, 4: AAS 58 (1966), p. 760

(16) C.I.C, can. 255

(17) Cf Pio XI, Lettera del 5 luglio 1925; cf anche Rescritto ex Audientia SS.mi, 7 marzo 1930, per l’Italia

(18) CONC. VATIC. II, Decr. Christus Dominus, n. 21: AAS 58 (1966), p. 683”

 

 

 

[22] ASSOCIAZIONE DI CHIERICI

Codice di diritto canonico,

canone 278:

 

“Can. 278 – §1. È diritto dei chierici secolari associarsi con altri in vista di finalità confacenti allo stato clericale.

§2. I chierici secolari diano importanza soprattutto alle associazioni le quali, avendo gli statuti autorizzati dall’autorità competente, mediante una regola di vita adatta e convenientemente approvata e mediante l’aiuto fraterno, stimolano alla santità nell’esercizio del ministero e favoriscono l’unità dei chierici fra di loro e con il proprio Vescovo.

§3. I chierici si astengano dal fondare o partecipare ad associazioni il cui fine o la cui attività non sono compatibili con gli obblighi propri dello stato clericale, oppure possono ostacolare il diligente compimento dell’incarico loro affidato dalla competente autorità ecclesiastica.”

 

 

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canoni 357 e 391:

 

canone 357

Can. 357 – § 1. Quilibet clericus debet esse ut clericus ascriptus aut alicui eparchiae aut exarchiae aut instituto religioso aut societati vitae communis ad instar religiosorum aut instituto vel consociationi, quae ius clericos sibi ascribendi adepta sunt a Sede Apostolica vel intra fines territorii Ecclesiae, cui praeest, a Patriarcha de consensu Synodi permanentis.

§2. Quod de clericorum alicui eparchiae ascriptione et de dimissione ab ea statuitur, valet congrua. congruis referendo etiam de aliis supra dictis personis iuridicis necnon iure particulari ita ferente de ipsa Ecclesia patriarchali, nisi aliter iure expresse cautum est.”

 

canone 357 in italiano:

 

Can. 357 – § 1. Qualsiasi chierico deve essere ascritto come chierico a un’eparchia, o a un esarcato, o a un istituto religioso, o a una società di vita comune a guisa dei religiosi, oppure a un istituto o a un’associazione che abbia ottenuto dalla Sede Apostolica il diritto di ascriversi dei chierici oppure, entro i confini del territorio della Chiesa a cui presiede, dal Patriarca col consenso del Sinodo permanente.

§2. Ciò che è stabilito circa l’ascrizione dei chierici a un’eparchia e la dimissione da essa, vale anche, con i dovuti riferimenti, delle altre persone giuridiche sopra indicate, come pure, se così lo comporta il diritto particolare, della stessa Chiesa patriarcale, a meno che non sia stato espressamente disposto diversamente dal diritto.”

 

 

Canone 391:

 

Can. 391 – Integrum est clericis firmo can. 578, § 3 se cum aliis consociare ad fines consequendos statui clericali congruentes; competit autem Episcopo eparchiali de hac congruentia authentice iudicare.”

 

Canone 391 in italiano:

 

Can. 391 – E’ pieno diritto dei chierici, fermo restando il can. 578, § 3, di associarsi con altri per raggiungere dei fini convenienti allo stato clericale; giudicare autenticamente di questa convenienza, però, spetta al Vescovo eparchiale.”

 

 

 

[23] GLI ISTITUTI SECOLARI

Codice di diritto canonico,

canoni 710-730:

 

“Can. 710 – L’istituto secolare è un istituto di vita consacrata in cui i fedeli, vivendo nel mondo, tendono alla perfezione della carità e si impegnano per la santificazione del mondo, soprattutto operando all’interno di esso.

Can. 711 – Un membro di istituto secolare, in forza della consacrazione, non cambia la propria condizione canonica, clericale o laicale, che gli è propria nel popolo di Dio, salve le disposizioni del diritto che riguardano gli istituti di vita consacrata.

Can. 712 – Ferme restando le disposizioni dei cann. 598-601, le costituzioni stabiliscano i vincoli sacri con cui vengono assunti nell’istituto i consigli evangelici e definiscano gli obblighi che essi comportano, salva sempre però, nello stile di vita, la secolarità propria dell’istituto.

Can. 713 – §1. I membri di tali istituti esprimono e realizzano la propria consacrazione nell’attività apostolica e a modo di fermento si sforzano di permeare ogni realtà di spirito evangelico per consolidare e far crescere il Corpo di Cristo.

§2. I membri laici, nel mondo e dal’interno di esso, partecipano della funzione evangelizzatrice della Chiesa sia mediante la testimonianza di vita cristiana e di fedeltà alla propria consacrazione, sia attraverso l’aiuto che dànno perché le realtà temporali siano ordinate secondo Dio e il mondo sia vivificato dalla forza del Vangelo. Essi offrono inoltre la propria collaborazione per il servizio della comunità ecclesiale, secondo lo stile di vita secolare loro proprio.

§3. I membri chierici, attraverso la testimonianza della vita consacrata, soprattutto nel presbiterio, sono di aiuto ai confratelli con una peculiare carità apostolica e in mezzo al popolo di Dio realizzano la santificazione del mondo con il proprio ministero sacro.

Can. 714 – I membri degli istituti secolari conducano la propria vita nelle situazioni ordinarie del mondo, soli, o ciascuno nella propria famiglia, oppure in gruppi di vita fraterna a norma delle costituzioni.

Can. 715 – §1. I membri chierici incardinati in una diocesi dipendono dal Vescovo diocesano, salvo quanto riguarda la vita consacrata nel proprio istituto.

§2. Quelli invece che a norma del can. 266, §3vengono incardinati nell’istituto, se sono destinati alle opere proprie dell’istituto o a funzioni di governo all’interno di esso, dipendono dal Vescovo allo stesso modo dei religiosi.

Can. 716 – §1. Tutti i membri partecipino attivamente alla vita dell’istituto secondo il diritto proprio.

§2. I membri di uno stesso istituto conservino la comunione tra loro curando con sollecitudine l’unità dello spirito e una vera fraternità.

Can. 717 – §1. Le costituzioni definiscano la forma di governo propria dell’istituto, la durata in carica dei Moderatori e il modo della loro designazione.

§2. Nessuno sia designato come Moderatore supremo se non è stato incorporato nell’istituto in modo definitivo.

§3. Coloro che sono preposti al governo dell’istituto abbiano cura che sia conservata l’unità dello spirito e che sia promossa l’attiva partecipazione dei membri.

Can. 718 – L’amministrazione dei beni dell’istituto, che deve esprimere e favorire la povertà evangelica, è regolata dalle norme del Libro V, I beni temporali della Chiesa, nonché dal diritto proprio dell’istituto. Il diritto proprio deve parimenti definire gli obblighi, specialmente di carattere economico, dell’istituto verso i membri che ad esso prestano la propria attività.

Can. 719 – §1. Per rispondere fedelmente alla propria vocazione e perché la loro azione apostolica scaturisca dalla stessa unione con Cristo, i membri siano assidui all’orazione, attendano convenientemente alla lettura delle sacre Scritture, osservino i tempi di ritiro annuale e compiano le altre pratiche spirituali secondo il diritto proprio.

§2. La celebrazione dell’Eucaristia, in quanto possibile quotidiana, sia la sorgente e la forza di tutta la loro vita consacrata.

§3. Si accostino liberamente e con frequenza al sacramento della penitenza.

§4. Siano liberi di ricevere la necessaria direzione della coscienza e di richiedere consigli in materia, se lo desiderano, anche ai propri Moderatori.

Can. 720 – Il diritto di ammettere nell’istituto per il periodo di prova oppure per assumere i vincoli sacri, sia temporanei sia perpetui o definitivi, compete ai Moderatori maggiori con il loro consiglio, a norma delle costituzioni.

Can. 721 – §1. È ammesso invalidamente al periodo di prova iniziale:

1) chi non ha ancora raggiunto la maggiore età;

2) chi è legato attualmente con vincolo sacro ad un istituto di vita consacrata o è incorporato in una società di vita apostolica;

3) il coniuge durante il matrimonio.

§2. Le costituzioni possono stabilire altri impedimenti anche per la validità dell’ammissione, o porre condizioni.

§3. Per essere accettati si richiede inoltre la maturità necessaria a condurre in modo conveniente la vita propria dell’istituto.

Can. 722 – §1. La prova iniziale sia ordinata a far sì che i candidati prendano più chiara coscienza della loro vocazione divina e di quella specifica dell’istituto e ne sperimentino lo spirito e il genere di vita.

§2. I candidati siano debitamente formati a condurre una vita secondo i consigli evangelici e istruiti a trasformarla integralmente in apostolato, adottando quelle forme di evangelizzazione che meglio rispondano al fine, allo spirito e all’indole dell’istituto.

§3. Le costituzioni devono definire il metodo e la durata di tale prova, non inferiore a due anni, che precede il primo impegno con vincoli sacri nell’istituto.

Can. 723 – §1. Compiuto il tempo della prova iniziale il candidato che viene giudicato idoneo assuma i tre consigli evangelici, confermati dal vincolo sacro, oppure lasci l’istituto.

§2. Questa prima incorporazione, non inferiore a cinque anni, sia temporanea a norma delle costituzioni.

§3. Trascorso tale periodo di tempo, il membro giudicato idoneo sia ammesso all’incorporazione perpetua oppure a quella definitiva, cioè con vincoli temporanei da rinnovarsi sempre alla scadenza.

§4. L’incorporazione definitiva è equiparata a quella perpetua, in ordine a determinati effetti giuridici, che devono essere stabiliti nelle costituzioni.

Can. 724 – §1. Dopo il primo impegno con vincoli sacri, la formazione deve essere continuata costantemente a norma delle costituzioni.

§2. I membri devono essere preparati di pari passo tanto nelle scienze umane quanto in quelle divine; i Moderatori dell’istituto sentano seriamente la responsabilità della loro continua formazione spirituale.

Can. 725 – L’istituto può associare a sé, con qualche vincolo determinato dalle costituzioni, altri fedeli che si impegnino a tendere alla perfezione evangelica secondo lo spirito dell’istituto e a partecipare della sua stessa missione.

Can. 726 – §1. Trascorso il periodo dell’incorporazione temporanea il membro può liberamente lasciare l’istituto, o per giusta causa può essere escluso dalla rinnovazione dei vincoli sacri da parte del Moderatore maggiore, udito il suo consiglio.

§2. Il membro di incorporazione temporanea che lo richieda spontaneamente, per grave causa può ottenere dal Moderatore supremo, con il consenso del suo consiglio, l’indulto di lasciare l’istituto.

Can. 727 – §1. Se un membro incorporato con vincolo perpetuo vuole lasciare l’istituto, dopo avere seriamente ponderato la cosa davanti al Signore deve chiederne l’indulto, per mezzo del Moderatore supremo, alla Sede Apostolica se l’istituto è di diritto pontificio; altrimenti anche al Vescovo diocesano, secondo quanto è definito dalle costituzioni.

§2. Trattandosi di sacerdote incardinato nell’istituto si osservi il disposto del can. 693.

Can. 728 – Con la legittima concessione dell’indulto di lasciare l’istituto cessano tutti i vincoli, e insieme i diritti e gli obblighi derivanti dall’incorporazione.

Can. 729n – La dimissione di un membro dall’istituto avviene a norma dei cann. 694 § 1, 1 e 2 e 695. Le costituzioni definiscano anche altre cause di dimissione, purché siano proporzionatamente gravi, esterne, imputabili e comprovate giuridicamente, e si osservi inoltre la procedura stabilita nei cann. 697-700. Al membro dimesso si applica il disposto del can. 701.

Can. 730 – Per il passaggio di un membro di istituto secolare ad un altro istituto secolare si osservino le disposizioni dei cann. 684, §§124 e 685; invece per il passaggio invece ad un istituto religioso o ad una società di vita apostolica, o da questi ad un istituto secolare, si richiede la licenza della Sede Apostolica, alle cui disposizioni ci si deve attenere.

(n: Indica che il testo corrisponde alla nuova versione o a un nuovo paragrafo)

Cf: Lettera Apostolica in forma di “Motu proprio” Communis vita, con la quale vengono mutate alcune norme del codice di diritto canonico (19 marzo 2019)

 

 

 

[24] SOCIETA’ DI VITA APOSTOLICA

Codice di diritto canonico,

canoni 731-746:

 

“Can. 731 – §1. Agli istituti di vita consacrata si aggiungono le società di vita apostolica i cui membri, senza voti religiosi, perseguono il fine apostolico proprio della società e conducendo vita fraterna in comunità secondo un proprio stile, tendono alla perfezione della carità mediante l’osservanza delle costituzioni.

§2. Fra queste vi sono società i cui membri assumono i consigli evangelici con qualche vincolo definito dalle costituzioni.

Can. 732 – Quanto è stabilito nei cann. 578597 e 606 si applica anche alle società di vita apostolica, tuttavia nel rispetto della natura di ciascuna di esse; alle società di cui nel can. 731, §2, si applicano anche i cann. 598602.

Can. 733 – §1. Una casa viene eretta e una comunità locale viene costituita dall’autorità competente della società previo consenso scritto del Vescovo diocesano, il quale deve essere anche consultato quando si tratta della soppressione di queste.

§2. Il consenso per l’erezione di una casa comporta il diritto di avere almeno un oratorio, nel quale sia celebrata e custodita la santissima Eucaristia.

Can. 734 – Il governo della società è definito dalle costituzioni, osservati, secondo la natura delle singole società, i cann. 617633.

Can. 735 – §1. L’ammissione dei membri, il periodo di prova, l’incorporazione e la formazione vengono determinati dal diritto proprio di ogni società.

§2. Per l’ammissione nella società si osservino le condizioni stabilite nei cann. 642-645.

§3. Il diritto proprio deve determinare la ratioper la prova e per la formazione, in consonanza con gli scopi e l’indole della società, particolarmente in campo dottrinale, spirituale, apostolico, cosicché i membri, riconoscendo la vocazione divina, siano convenientemente preparati alla missione e alla vita della società.

Can. 736 – §1. Nelle società clericali i chierici sono incardinati nella società stessa, a meno che le costituzioni non dicano altrimenti.

§2. Per quanto riguarda il «piano degli studi» e la recezione degli ordini, si seguano le norme previste per i chierici secolari, fermo restando tuttavia il §1.

Can. 737 – L’incorporazione comporta da parte dei membri gli obblighi e i diritti definiti nelle costituzioni, da parte della società l’impegno di guidare i membri a realizzare la propria vocazione secondo le costituzioni.

Can. 738 – §1. Tutti i membri sono soggetti ai propri Moderatori a norma delle costituzioni in ciò che riguarda la vita interna e la disciplina della società.

§2. Sono soggetti inoltre al Vescovo diocesano in ciò che riguarda il culto pubblico, la cura delle anime e le altre attività apostoliche, attesi i cann. 679-683.

§3. Le relazioni tra il membro incardinato nella diocesi e il proprio Vescovo sono definite dalle costituzioni o da particolari convenzioni.

Can. 739 – I membri, oltre agli obblighi che secondo le costituzioni li toccano in quanto tali, sono tenuti agli obblighi comuni ai chierici, a meno che non risulti altrimenti dalla natura delle cose o dal contesto.

Can. 740 – I membri devono abitare nella casa o nella comunità legittimamente costituita e osservare la vita in comune a norma del diritto proprio; da questo sono pure regolate le assenze dalla casa o dalla comunità.

Can. 741 – §1. Le società e, se non è detto altrimenti nelle costituzioni, le loro parti e le case, sono persone giuridiche e in quanto tali hanno la capacità di acquistare, possedere, amministrare e alienare beni temporali a norma delle disposizioni del Libro V, I beni temporali della Chiesa, dei cann. 636638 e 639, nonché del diritto proprio.

§2. Anche i membri, a norma del diritto proprio, hanno la capacità di acquistare, possedere e amministrare beni temporali e di disporne, ma tutto ciò che loro proviene in considerazione della società è acquisito per la società.

Can. 742 – L’uscita e la dimissione di un membro non ancora incorporati in modo definitivo sono regolate dalle costituzioni di ciascuna società.

Can. 743 – Un membro incorporato definitivamente può ottenere dal Moderatore supremo, con il consenso del suo consiglio l’indulto di lasciare la società, con la cessazione dei diritti e degli obblighi derivanti dall’incorporazione, fermo restando il disposto del can. 693, a meno che tale concessione non sia a norma delle costituzioni riservata alla Santa Sede.

Can. 744 – §1. È parimenti riservato al Moderatore supremo, con il consenso del suo consiglio, di concedere a un membro incorporato definitivamente la licenza di passare ad un’altra società di vita apostolica, venendo frattanto sospesi i diritti e gli obblighi della propria società, fermo restando tuttavia il diritto di potervi ritornare prima dell’incorporazione definitiva nella nuova società.

§2. Per il passaggio ad un istituto di vita consacrata, o da questo ad una società di vita apostolica, si richiede la licenza della Santa Sede, alle cui disposizioni ci si deve attenere.

Can. 745 – Il Moderatore supremo con il consenso del proprio consiglio può concedere a un membro incorporato in modo definitivo l’indulto di vivere fuori della società, tuttavia non oltre tre anni, rimanendo sospesi i diritti e gli obblighi incompatibili con la sua nuova condizione; questi però rimane sotto la cura dei Moderatori. Se si tratta di un chierico, si richiede inoltre il consenso dell’Ordinario del luogo in cui deve dimorare, rimanendo anche sotto la sua cura e dipendenza.

Can. 746 – Per la dimissione di un membro definitivamente incorporato si osservino, con gli opportuni adattamenti, i cann. 694-704.”

 

 

 

[25] Codice di diritto canonico,

canone 210:

“Can. 210 – Tutti i fedeli, secondo la propria condizione, devono dedicare le proprie energie al fine di condurre una vita santa e di promuovere la crescita della Chiesa e la sua continua santificazione.”

 

 

 

[26] Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 13:

Can. 13 – Omnes christifideles secundum suam cuiusque condicionem ad sanctam vitam ducendam atque ad Ecclesiae incrementum eiusque iugem sanctificationem promovendam vires suas conferre debent.”

 

Canone 13 in italiano:

Can. 13 – Tutti i fedeli cristiani devono dedicare le proprie energie, ciascuno secondo la sua condizione, per condurre una vita santa e inoltre per promuovere la crescita della Chiesa e la sua continua santificazione.”

 

 

 

[27] Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 1-33.

 

Note presenti nel testo ora citato

 

“(104) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 25: AAS 57 (1965), p. 29 [pag. 191ss].

 

(105) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sul Ministero e la Vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis, n. 10, dove per rendere più facili le opere pastorali particolari per le diverse classi sociali si prevede la costituzione di Prelature personali, in quanto il corretto esercizio dell’apostolato lo avrà richiesto [pag. 801ss].”

 

 

 

capitolo 16, versetti 1-4:

 

“[1] Paolo si recò a Derbe e a Listra. C’era qui un discepolo chiamato Timòteo, figlio di una donna giudea credente e di padre greco;
[2] egli era assai stimato dai fratelli di Listra e di Icònio.
[3] Paolo volle che partisse con lui, lo prese e lo fece circoncidere per riguardo ai Giudei che si trovavano in quelle regioni; tutti infatti sapevano che suo padre era greco.
[4] Percorrendo le città, trasmettevano loro le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani di Gerusalemme, perché le osservassero.”

 

capitolo 21, versetti 17-19:

 

“[17] Arrivati a Gerusalemme, i fratelli ci accolsero festosamente.
[18] L’indomani Paolo fece visita a Giacomo insieme con noi: c’erano anche tutti gli anziani.
[19] Dopo aver rivolto loro il saluto, egli cominciò a esporre nei particolari quello che Dio aveva fatto tra i pagani per mezzo suo.”

 

 

 

[28] Codice di diritto canonico,

canoni 338, 339 e 443:

 

“Can. 338 – §1. Spetta unicamente al Romano Pontefice convocare il Concilio Ecumenico, presiederlo personalmente o mediante altri, come pure trasferire il Concilio stesso, sospenderlo o scioglierlo e approvarne i decreti.

§2. Spetta al Romano Pontefice determinare le questioni da trattare nel Concilio e stabilire il regolamento da osservare in esso; i Padri del Concilio, alle questioni proposte dal Romano Pontefice, possono aggiungerne altre, che devono essere approvate dallo stesso Romano Pontefice.

 

 

Can. 339 – §1. Tutti e soli i Vescovi che sono membri del Collegio dei Vescovi hanno il diritto e il dovere di partecipare al Concilio Ecumenico con voto deliberativo.

§2. Alcuni altri inoltre, che non sono insigniti della dignità episcopale, possono essere chiamati al Concilio Ecumenico dall’autorità suprema della Chiesa, alla quale spetta determinare il loro ruolo nel Concilio.

 

 

Can. 443 – §1. Devono essere convocati ai concili particolari e in essi hanno diritto al voto deliberativo:

1) i Vescovi diocesani;

2) i Vescovi coadiutori e ausiliari;

3) gli altri Vescovi titolari che esercitano nel territorio uno speciale incarico, loro affidato dalla Sede Apostolica o dalla Conferenza Episcopale.

 

§2. Possono essere chiamati ai concili particolari gli altri Vescovi titolari, anche emeriti, che si trovano nel territorio; essi poi hanno diritto al voto deliberativo.

 

§3. Ai concili particolari devono essere chiamati con voto solamente consultivo:

1) i Vicari generali e i Vicari episcopali di tutte le Chiese particolari del territorio;

2) i Superiori maggiori degli istituti e delle società di vita apostolica, in numero da determinare, sia per gli uomini sia per le donne, dalla Conferenza Episcopale o dai Vescovi della provincia, eletti rispettivamente da tutti i Superiori maggiori degli istituti e delle società che hanno sede nel territorio;

3) i rettori delle università ecclesiastiche e cattoliche, nonché i decani delle facoltà di teologia e di diritto canonico, che hanno sede nel territorio;

4) alcuni rettori dei seminari maggiori, in numero da determinarsi come al n. 2, eletti dai rettori dei seminari situati nel territorio.

 

§4. Ai concili particolari possono essere chiamati, con voto solamente consultivo, anche presbiteri e altri fedeli, in modo però che il loro numero non superi la metà di coloro di cui ai §§1-3.

 

§5. Ai concili provinciali siano invitati inoltre i capitoli cattedrali, come pure il consiglio presbiterale e il consiglio pastorale di ciascuna Chiesa particolare, in modo che ognuno di essi invii due suoi membri designati collegialmente; essi però hanno voto solamente consultivo.

 

§6. Ai concili particolari possono essere invitati come ospiti anche altri, se ciò risulta opportuno a giudizio della Conferenza Episcopale, per quanto riguarda il concilio plenario, o a giudizio del Metropolita insieme con i Vescovi suffraganei, per quanto riguarda il concilio provinciale.”

 

 

 

[29] Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 1-6.

 

 

 

[30] Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 7-33.

 

 

 

[31] Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 1-6.

 

 

 

[32] Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 7-33.

 

 

 

[33] Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 102:

 

Can. 102 – § 1. Ad Synodum Episcoporum Ecclesiae patriarchalis vocari debent omnes et soli Episcopi ordinati eiusdem Ecclesiae ubicumque constituti exclusis eis, de quibus in can. 953, § 1, vel eis, qui poenis canonicis, de quibus in cann. 1433 et 1434, puniti sunt.

§2. Quod attinet ad Episcopos eparchiales extra fines territorii Ecclesiae patriarchalis constitutos et ad Episcopos titulares, ius particulare eorum suffragium deliberativum coartare potest firmis vero canonibus de electione Patriarchae, Episcoporum et candidatorum ad offcia, de quibus in can. 149.

§3. Pro certis negotiis expediendis a Patriarcha ad normam iuris particularis vel de consensu Synodi permanentis alii invitari possunt praesertim Hierarchae non Episcopi ac periti ad suas opiniones Episcopis in Synodo congregatis manifestandas firmo can. 66, § 2.”

 

Il canone 102 in italiano:

 

Can. 102 – § 1. Al Sinodo dei Vescovi della Chiesa patriarcale devono essere convocati tutti e soli i Vescovi ordinati della stessa Chiesa ovunque costituiti, esclusi quelli di cui nel Tit. IV – Le Chiese patriarcali Tit. IV – Le Chiese patriarcali can. 953, § 1, o che sono puniti con pene canoniche di cui nei cann. 1433 e 1434.

§2. Per quanto riguarda i Vescovi eparchiali costituiti fuori dai confini del territorio della Chiesa patriarcale e i Vescovi titolari, il diritto particolare può limitare il loro voto deliberativo, fermi restando però i canoni sulla elezione del Patriarca, dei Vescovi e dei candidati agli uffici di cui nel can. 149.

§3. Per la trattazione di determinati affari possono essere invitate dal Patriarca, a norma del diritto particolare o col consenso del Sinodo permanente, altre persone, specialmente Gerarchi non Vescovi ed esperti, al fine di esprimere le loro opinioni ai Vescovi riuniti nel Sinodo, fermo restando il can. 66, § 2.”

 

 

 

[33] Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 108:

 

Can. 108 – § 1. Patriarchae est Synodum Episcoporum Ecclesiae patriarchalis aperire necnon de eiusdem Synodi consensu transferre, prorogare, suspendere et dissolvere.

§2. Patriarchae quoque est praeauditis Synodi Episcoporum Ecclesiae patriarchalis membris ordinem servandum in quaestionibus examinandis praeparare atque approbationi Synodi initio sessionum subicere.

§3. Synodo Episcoporum Ecclesiae patriarchalis durante singuli Episcopi propositis quaestionibus possunt alias addere, si saltem tertia pars membrorum, quae Synodo intersunt, consentit.”

 

Il canone 108 in italiano:

 

Can. 108 – § 1. E’ compito del Patriarca aprire il Sinodo dei Vescovi della Chiesa patriarcale, come pure col consenso dello stesso Sinodo trasferirlo, prorogarlo, sospenderlo o scioglierlo.

§2. E’ compito del Patriarca, dopo aver ascoltato i membri del Sinodo dei Vescovi della Chiesa patriarcale, anche preparare l’ordine del giorno da osservare nell’esame delle questioni e da sottoporre all’approvazione del Sinodo all’inizio delle sessioni.

§3. Durante il Sinodo dei Vescovi della Chiesa patriarcale i singoli Vescovi possono aggiungere altre questioni a quelle proposte, se lo consente almeno la terza parte dei membri che partecipano al Sinodo.”

 

 

 

 

[34] Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 1-6.

 

 

 

[35] Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 7-33.

 

 

 

[36] Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 1-6.

 

 

 

[37] Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 7-33.

 

 

 

[38] Codice di diritto canonico,

canone 368:

 

“Can. 368 – Le Chiese particolari, nelle quali e dalle quali sussiste la sola e unica Chiesa cattolica, sono innanzitutto le diocesi, alle quali, se non consta altro, vengono assimilate la prelatura territoriale e l’abbazia territoriale, il vicariato apostolico e la prefettura apostolica e altresì l’amministrazione apostolica eretta stabilmente.”

 

 

 

[39] Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 1-33.

 

 

 

[40] Gli anziani nella comunità ebraica

Vangelo secondo Marco, capitolo 8, versetto 31; capitolo 11, versetti 27-28; capitolo 14, versetti 43.53; capitolo 15, versetto 1.

Vangelo secondo Matteo, capitolo 21, versetto 23; capitolo 26, versetti 3-4.47-48; capitolo 27, versetto 1.

Vangelo di Luca, capitolo 9, versetto 22; capitolo 20, versetti 1-2; capitolo 22, versetti 52-54.66-69.

Atti degli apostoli, capitolo 4, versetti 1-8.23; capitolo 5, versetti 17-21; capitolo 6, versetti 8-12.

 

Gli anziani nelle comunità cristiane

Atti degli apostoli, capitolo 14, versetti 21-23; capitolo 16, versetti 16-17.

 

Gli anziani nella comunità cristiana di Gerusalemme

Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 2, 4, 6, 22, 23.

 

 

 

[41] Libro del levitico, capitolo 16, versetti 1 -10.

Libro dei numeri, capitolo 26, versetti 52 – 56.

Libro di Giosuè, capitolo 7, versetti 10 -26.

Primo libro di Samuele, capitolo 10, versetti 17 – 24.

Libro di Giona, capitolo 1, versetti 1 -7.

Atti degli apostoli, capitolo 1, versetti 15 – 26.

 

 

 

[42] Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 55:

 

Can. 55 – Secundum antiquissimam Ecclesiae traditionem iam a primis Conciliis Oecumenicis agnitam viget in Ecclesia institutio patriarchalis; quare singulari honore prosequendi sunt Ecclesiarum orientalium Patriarchae, qui suae quisque Ecclesiae patriarchali tamquam pater et caput praesunt.”

 

Il canone 55 in italiano:

 

Can. 55 – Secondo l’antichissima tradizione della Chiesa, riconosciuta già dai primi Concili Ecumenici, nella Chiesa vige l’istituzione patriarcale; perciò i Patriarchi delle Chiese orientali, che presiedono ciascuno la sua Chiesa patriarcale come padre e capo, devono essere trattati con singolare onore.”

 

 

 

[43] Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 1-33.

 

 

 

[44] Gli anziani nella comunità ebraica

Vangelo secondo Marco, capitolo 8, versetto 31; capitolo 11, versetti 27-28; capitolo 14, versetti 43.53; capitolo 15, versetto 1.

Vangelo secondo Matteo, capitolo 21, versetto 23; capitolo 26, versetti 3-4.47-48; capitolo 27, versetto 1.

Vangelo di Luca, capitolo 9, versetto 22; capitolo 20, versetti 1-2; capitolo 22, versetti 52-54.66-69.

Atti degli apostoli, capitolo 4, versetti 1-8.23; capitolo 5, versetti 17-21; capitolo 6, versetti 8-12.

 

Gli anziani nelle comunità cristiane

Atti degli apostoli, capitolo 14, versetti 21-23; capitolo 16, versetti 16-17.

 

Gli anziani nella comunità cristiana di Gerusalemme

Atti degli apostoli, capitolo 15, versetti 2, 4, 6, 22, 23.

 

 

 

[45] Libro del levitico, capitolo 16, versetti 1 -10.

Libro dei numeri, capitolo 26, versetti 52 – 56.

Libro di Giosuè, capitolo 7, versetti 10 -26.

Primo libro di Samuele, capitolo 10, versetti 17 – 24.

Libro di Giona, capitolo 1, versetti 1 -7.

Atti degli apostoli, capitolo 1, versetti 15 – 26.

 

 

 

[46] Si veda la nota numero 16.

 

 

 

[47] Codice di diritto canonico,

canoni 331-335:

 

“Can. 331 – Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l’ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi successori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente.

Can. 332 – §1. Il Romano Pontefice ottiene la potestà piena e suprema sulla Chiesa con l’elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione episcopale. Di conseguenza l’eletto al sommo pontificato che sia già insignito del carattere episcopale ottiene tale potestà dal momento dell’accettazione. Che se l’eletto fosse privo del carattere episcopale, sia immediatamente ordinato Vescovo.

§2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.

Can. 333 – §1. Il Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, ha potestà non solo sulla Chiesa universale, ma ottiene anche il primato della potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti; con tale primato viene contemporaneamente rafforzata e garantita la potestà propria, ordinaria e immediata che i Vescovi hanno sulle Chiese particolari affidate alla loro cura.

§2. Il Romano Pontefice, nell’adempimento dell’ufficio di supremo Pastore della Chiesa, è sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi e anzi con tutta la Chiesa; tuttavia egli ha il diritto di determinare, secondo le necessità della Chiesa, il modo, sia personale sia collegiale, di esercitare tale ufficio.

§3.  Contro la sentenza o il decreto del Romano Pontefice non si dà appello né ricorso.

Can. 334 – Nell’esercizio del suo ufficio il Romano Pontefice è assistito dai Vescovi, che possono cooperare con lui in diversi modi, uno dei quali è il sinodo dei Vescovi. Inoltre gli sono di aiuto i Padri Cardinali e altre persone, come pure diverse istituzioni, secondo le necessità dei tempi; tutte queste persone e istituzioni adempiono in suo nome e per sua autorità l’incarico loro affidato per il bene di tutte le Chiese, secondo le norme determinate dal diritto.

Can. 335 – Mentre la Sede romana è vacante o totalmente impedita, non si modifichi nulla nel governo della Chiesa universale; si osservino invece le leggi speciali emanate per tali circostanze.”

 

 

 

[48] Si vedano i passi biblici citati nella nota 41.

 

 

 

[49] Libro del levitico, capitolo 16, versetti 1 -10.

Libro dei numeri, capitolo 26, versetti 52 – 56.

Libro di Giosuè, capitolo 7, versetti 10 -26.

Primo libro di Samuele, capitolo 10, versetti 17 – 24.

Libro di Giona, capitolo 1, versetti 1 -7.

Atti degli apostoli, capitolo 1, versetti 15 – 26.

 

[50] Gli incarichi pastorali degli apostoli

Vangelo secondo Marco, capitolo 3, versetti 13-19.

Vangelo secondo Marco, capitolo 6, versetti 7-13.

Vangelo secondo Marco, capitolo 16, versetti 14-20.

Vangelo secondo Matteo, capitolo 10, versetti 1-8.

Vangelo secondo Matteo, capitolo 28, versetti 16-20.

Vangelo secondo Luca, capitolo 9, versetti 1-6.

Atti degli apostoli, capitolo 3, capitolo 1-16.

Atti degli apostoli, capitolo 5, versetti 12-16.

Atti degli apostoli, capitolo 8, versetti 5-8.

Atti degli apostoli, capitolo 8, versetti 34-40.

Atti degli apostoli, capitolo 9, versetti 32-35.

Atti degli apostoli, capitolo 9, versetti 36-42.

Vangelo secondo Giovanni, capitolo 20, versetti, 21-23.

 

 

 

[51] Codice di diritto canonico,

canoni 336-341:

 

“Can. 336 – Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane ininterrottamente il corpo apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo capo, è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale.

Can. 337 – §1. Il Collegio dei Vescovi esercita in modo solenne la potestà sulla Chiesa universale nel Concilio Ecumenico.

§2. Esercita la medesima potestà mediante l’azione congiunta dei Vescovi sparsi nel mondo, se essa come tale è indetta o liberamente recepita dal Romano Pontefice, così che si realizzi un vero atto collegiale.

§3. Spetta al Romano Pontefice, secondo le necessità della Chiesa, scegliere e promuovere i modi con cui il Collegio dei Vescovi può esercitare collegialmente il suo ufficio per la Chiesa universale.

Can. 338 – §1. Spetta unicamente al Romano Pontefice convocare il Concilio Ecumenico, presiederlo personalmente o mediante altri, come pure trasferire il Concilio stesso, sospenderlo o scioglierlo e approvarne i decreti.

§2. Spetta al Romano Pontefice determinare le questioni da trattare nel Concilio e stabilire il regolamento da osservare in esso; i Padri del Concilio, alle questioni proposte dal Romano Pontefice, possono aggiungerne altre, che devono essere approvate dallo stesso Romano Pontefice.

Can. 339 – §1. Tutti e soli i Vescovi che sono membri del Collegio dei Vescovi hanno il diritto e il dovere di partecipare al Concilio Ecumenico con voto deliberativo.

§2. Alcuni altri inoltre, che non sono insigniti della dignità episcopale, possono essere chiamati al Concilio Ecumenico dall’autorità suprema della Chiesa, alla quale spetta determinare il loro ruolo nel Concilio.

Can. 340 – Nel caso che la Sede Apostolica divenga vacante durante la celebrazione del Concilio, questo viene interrotto per il diritto stesso, finché il nuovo Sommo Pontefice non abbia ordinato di proseguirlo o non l’abbia sciolto.

Can. 341 – §1.  I decreti del Concilio Ecumenico non hanno forza obbligante se non siano stati approvati dal Romano Pontefice insieme con i Padri del Concilio, da lui confermati e per suo comando promulgati.

§2. Perché abbiano forza obbligante devono avere la stessa conferma e promulgazione i decreti che emana il Collegio dei Vescovi quando pone un’azione propriamente collegiale secondo una modalità diversa, indetta dal Romano Pontefice o da lui deliberatamente recepita.”

 

 

 

[52] Codice di diritto canonico,

canoni 342-348:

 

“Can. 342 – Il sinodo dei Vescovi è un’assemblea di Vescovi i quali, scelti dalle diverse regioni dell’orbe, si riuniscono in tempi determinati per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi stessi, e per prestare aiuto con i loro consigli al Romano Pontefice nella salvaguardia e nell’incremento della fede e dei costumi, nell’osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l’attività della Chiesa nel mondo.

Can. 343 – Spetta al sinodo dei Vescovi discutere sulle questioni da trattare ed esprimere propri voti, non però dirimerle ed emanare decreti su di esse, a meno che in casi determinati il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso ratificare le decisioni del sinodo, non gli abbia concesso potestà deliberativa.

Can. 344 – Il sinodo dei Vescovi è direttamente sottoposto all’autorità del Romano Pontefice, al quale spetta propriamente:

1) convocare il sinodo ogni qualvolta lo ritenga opportuno e designare il luogo in cui tenere le assemblee;

2) ratificare l’elezione dei membri che, a norma del diritto peculiare, devono essere eletti, e altresì designare e nominare gli altri membri;

3) stabilire in tempo opportuno, a norma del diritto peculiare, prima della celebrazione del sinodo, gli argomenti delle questioni da trattare;

4) definire l’ordine dei lavori;

5) presiedere il sinodo personalmente o per mezzo di altri;

6) concludere, trasferire, sospendere e sciogliere il sinodo.

Can. 345 – Il sinodo dei Vescovi può riunirsi in assemblea generale, in cui cioè vengono trattati argomenti che riguardano direttamente il bene della Chiesa universale: tale assemblea è ordinaria o straordinaria; oppure può anche riunirsi in assemblea speciale, in cui cioè vengono trattate questioni  che riguardano direttamente una o più regioni determinate.

Can. 346 – §1. Il sinodo dei Vescovi che si riunisce in assemblea generale ordinaria è composto di membri, la maggioranza dei quali Vescovi che vengono eletti per le singole assemblee delle Conferenze Episcopali, secondo le modalità determinate dal diritto peculiare del sinodo; altri vengono deputati in forza del medesimo diritto, altri sono nominati direttamente dal Romano Pontefice; ad essi si aggiungono alcuni membri di istituti religiosi clericali, eletti a norma del medesimo diritto peculiare.

  • 2. Il sinodo dei Vescovi, riunito in assemblea generale straordinaria per trattare affari che richiedono una soluzione sollecita, è composto di membri, la maggioranza dei quali Vescovi, deputati dal diritto peculiare del sinodo in ragione dell’ufficio svolto; altri poi nominati direttamente dal Romano Pontefice; ad essi si aggiungono alcuni membri di istituti religiosi clericali eletti a norma del medesimo diritto.
  • 3. Il sinodo dei Vescovi che si riunisce in assemblea speciale è composto di membri scelti soprattutto da quelle regioni per le quali il sinodo viene convocato, a norma del diritto peculiare da cui è retto il sinodo.

Can. 347 – §1. Quando l’assemblea del sinodo dei Vescovi viene conclusa dal Romano Pontefice, cessa l’incarico affidato nel sinodo stesso ai Vescovi e agli altri membri.

  • 2. Se la Sede Apostolica diviene vacante dopo la convocazione del sinodo o durante la sua celebrazione, per il diritto stesso è sospesa l’assemblea del sinodo, come pure l’incarico assegnato in esso ai membri, finché il nuovo Pontefice non abbia deciso o il suo scioglimento o la sua continuazione.

Can. 348 – §1. Il sinodo dei Vescovi ha una segreteria generale permanente presieduta dal Segretario generale, nominato dal Romano Pontefice, al quale è d’aiuto il consiglio di segreteria composto di Vescovi, alcuni dei quali vengono eletti, a norma del diritto peculiare, dallo stesso sinodo dei Vescovi, altri nominati dal Romano Pontefice; l’incarico di tutti costoro però cessa quando inizia la nuova assemblea generale.

  • 2. Vengono inoltre costituiti per ogni assemblea del sinodo dei Vescovi uno o più segretari speciali, nominati dal Romano Pontefice, i quali rimangono nell’ufficio loro affidato solo fino al termine dell’assemblea del sinodo.”

 

 

 

[53] Codice di diritto canonico,

canoni 349-359:

 

“Can. 349 – I Cardinali di Santa Romana Chiesa costituiscono un Collegio peculiare cui spetta provvedere all’elezione del Romano Pontefice, a norma del diritto peculiare; inoltre i Cardinali assistono il Romano Pontefice sia agendo collegialmente quando sono convocati insieme per trattare le questioni di maggiore importanza, sia come singoli, cioè nei diversi uffici ricoperti prestandogli la loro opera nella cura soprattutto quotidiana della Chiesa universale.

Can. 350 – §1. Il Collegio dei Cardinali è distinto in tre ordini: l’ordine episcopale, cui appartengono i Cardinali ai quali il Romano Pontefice assegna il titolo di una Chiesa suburbicaria e inoltre i Patriarchi Orientali che sono stati annoverati nel Collegio dei Cardinali; l’ordine presbiterale e l’ordine diaconale.

  • 2. A ciascun Cardinale dell’ordine presbiterale e diaconale viene assegnato dal Romano Pontefice un titolo o una diaconia nell’Urbe.
  • 3. I Patriarchi Orientali assunti nel Collegio dei Cardinali, hanno come titolo la propria sede patriarcale.
  • 4. Il Cardinale Decano ha come titolo la diocesi di Ostia insieme all’altra Chiesa che aveva come titolo precedente.
  • 5. Mediante opzione fatta nel Concistoro e approvata dal Sommo Pontefice i Cardinali dell’ordine presbiterale, nel rispetto della priorità di ordine e di promozione, possono passare ad un altro titolo e i Cardinali dell’ordine diaconale ad un’altra diaconia e, se sono rimasti per un intero decennio nell’ordine diaconale, possono passare anche all’ordine presbiterale.
  • 6. Il Cardinale che passa per opzione dall’ordine diaconale all’ordine presbiterale, ottiene la precedenza su tutti i Cardinali presbiteri che sono stati assunti al cardinalato dopo di lui.

Can. 351 – §1. Ad essere promossi Cardinali vengono scelti liberamente dal Romano Pontefice uomini che siano costituiti almeno nell’ordine del presbiterato, in modo eminente distinti per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari; coloro che già non siano Vescovi, devono ricevere la consacrazione episcopale.

  • 2. I Cardinali vengono creati con un decreto del Romano Pontefice, che viene reso pubblico davanti al Collegio dei Cardinali; dal momento della pubblicazione essi sono vincolati dai doveri e godono dei diritti definiti dalla legge.
  • 3. Colui che è promosso alla dignità cardinalizia, se il Romano Pontefice ne ha annunciato la creazione, riservandosi però il nome in pectore, durante questo tempo non è tenuto ad alcun dovere e non gode di alcun diritto proprio dei Cardinali; tuttavia dopo che il suo nome è stato reso pubblico dal Romano Pontefice, è tenuto a tali doveri e fruisce di tali diritti; ma gode del diritto di precedenza dal giorno della riserva in pectore.

Can. 352 – §1. Presiede il Collegio dei Cardinali il Decano e, se impedito, ne fa le veci il Sottodecano; il Decano, o il Sottodecano, non ha nessuna potestà di governo sugli altri Cardinali, ma è considerato primus inter pares.

  • 2. Quando l’ufficio di Decano diviene vacante, i Cardinali insigniti del titolo di una Chiesa suburbicaria, e solo essi, con la presidenza del Sottodecano, se è presente, oppure del più anziano tra di loro, eleggano al proprio interno chi debba diventare il Decano del Collegio; comunichino il suo nome al Romano Pontefice, al quale spetta approvare l’eletto.
  • 3. Nello stesso modo previsto al §2, sotto la presidenza del Decano, viene eletto il Sottodecano; spetta al Romano Pontefice approvare anche l’elezione del Sottodecano.
  • 4. Il Decano e il Sottodecano, se ancora non lo hanno, acquisiscano il domicilio nell’Urbe.

Can. 353 – §1. I Cardinali prestano principalmente aiuto con attività collegiale al Supremo Pastore della Chiesa nei Concistori, nei quali si riuniscono per ordine del Romano Pontefice e sotto la sua presidenza; i Concistori possono essere ordinari o straordinari.

  • 2. Nel Concistoro ordinario vengono convocati tutti i Cardinali, almeno quelli che si trovano nell’Urbe, per essere consultati su qualche questione grave, che tuttavia si verifica più comunemente, o per compiere determinati atti della massima solennità.
  • 3. Nel Concistoro straordinario, che si celebra quando lo suggeriscono peculiari necessità della Chiesa o la trattazione di questioni particolarmente gravi, vengono convocati tutti i Cardinali.
  • 4. Solo il Concistoro ordinario in cui si celebrino particolari solennità può essere pubblico, in cui cioè, oltre ai Cardinali, vengono ammessi i Prelati, i legati delle società civili ed altri che vi sono invitati.

Can. 354 – I Padri Cardinali preposti ai dicasteri e agli altri organismi permanenti della Curia Romana e della Città del Vaticano, che abbiano compiuto il settantacinquesimo anno di età, sono invitati a presentare al Romano Pontefice la rinuncia all’ufficio, ed egli provvederà, dopo aver valutato tutte le circostanze.

Can. 355 – §1. Spetta al Cardinale Decano ordinare Vescovo il Romano Pontefice eletto, qualora non fosse ordinato; se il Decano è impedito, tale diritto spetta al Sottodecano, e se anche quest’ultimo è impedito, al Cardinale più anziano dell’ordine episcopale.

  • 2. Il Cardinale Proto-diacono annuncia al popolo il nome del Sommo Pontefice neo-eletto; inoltre impone il pallio ai Metropoliti o lo consegna ai loro procuratori, in nome del Romano Pontefice.

Can. 356 – I Cardinali sono tenuti all’obbligo di collaborare assiduamente col Romano Pontefice; perciò i Cardinali che ricoprono qualsiasi ufficio nella Curia, se non sono Vescovi diocesani, sono tenuti all’obbligo di risiedere nell’Urbe; i Cardinali che hanno la cura di una diocesi come Vescovi diocesani, si rechino a Roma ogni volta che sono convocati dal Romano Pontefice.

Can. 357 – §1. I Cardinali ai quali è stata assegnata in titolo una Chiesa suburbicaria o una chiesa nell’Urbe, dopo che ne hanno preso possesso, promuovano il bene di tali diocesi e chiese mediante il consiglio e il patrocinio, pur senza avere su di esse alcuna potestà di governo, e per nessuna ragione interferiscano in ciò che riguarda l’amministrazione dei beni, la disciplina o il servizio delle chiese.

  • 2. I Cardinali che si trovano fuori dell’Urbe e fuori della propria diocesi, sono esenti dalla potestà di governo del Vescovo della diocesi in cui dimorano in tutto ciò che riguarda la propria persona.

Can. 358 – Al Cardinale al quale il Romano Pontefice dia l’incarico di rappresentano in qualche solenne celebrazione o in qualche assemblea di persone, come Legato a latere, cioè come suo alter ego, come pure al Cardinale al quale venga affidato di compiere un determinato incarico pastorale come suo inviato speciale, compete solo quanto gli è demandato dal Romano Pontefice.

Can. 359 – Mentre la Sede Apostolica è vacante, il sacro Collegio dei Cardinali ha nella Chiesa solamente quella potestà che gli è conferita nella legge peculiare.”

 

 

 

[54] Codice di diritto canonico,

canoni 360 e 361:

 

“Can. 360 – La Curia Romana, mediante la quale il Sommo Pontefice è solito trattare le questioni della Chiesa universale, e che in suo nome e con la sua autorità adempie alla propria funzione per il bene e a servizio delle Chiese, è composta dalla Segreteria di Stato o Papale, dal Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa, dalle Congregazioni, dai Tribunali, e da altri Organismi; la loro costituzione e competenza vengono definite da una legge peculiare.

 

Can. 361 – Col nome di Sede Apostolica o Santa Sede si intendono nel codice non solo il Romano Pontefice, ma anche, se non risulta diversamente dalla natura della questione o dal contesto, la Segreteria di Stato, il Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa e gli altri Organismi della Curia Romana.”

 

 

 

[55] Codice di diritto canonico,

canoni 362-367:

 

“Can. 362 – Il Romano Pontefice ha il diritto nativo e indipendente di nominare e inviare suoi Legati sia presso le Chiese particolari nelle diverse nazioni o regioni, sia presso gli Stati e le Autorità pubbliche, come pure di trasferirli e richiamarli, nel rispetto però delle norme del diritto internazionale per quanto riguarda l’invio e la revoca dei Legati accreditati presso i Governi.

Can. 363 – §1. Ai Legati del Romano Pontefice è affidato l’ufficio di rappresentare stabilmente lo stesso Romano Pontefice presso le Chiese particolari o anche presso gli Stati e le Autorità pubbliche cui sono stati inviati.

  • 2. Rappresentano la Sede Apostolica anche coloro che sono incaricati di una Missione pontificia come Delegati od Osservatori presso i Consigli internazionali o presso le Conferenze e i Congressi.

Can. 364 – Il compito principale del Legato pontificio è quello di rendere sempre più saldi ed efficaci i vincoli di unità che intercorrono tra la Sede Apostolica e le Chiese particolari. Spetta perciò al Legato pontificio nell’ambito della sua circoscrizione:

1) informare la Sede Apostolica sulle condizioni in cui versano le Chiese particolari, nonché su tutto ciò che tocca la vita stessa della Chiesa e il bene delle anime;

2) assistere i Vescovi con l’azione e il consiglio, senza pregiudizio per l’esercizio della loro potestà legittima;

3) favorire relazioni frequenti con la Conferenza Episcopale, fornendo ad essa tutto l’aiuto possibile;

4) per quanto riguarda la nomina dei Vescovi, comunicare o proporre i nomi dei candidati alla Sede Apostolica, nonché istruire il processo informativo sui promovendi, secondo le norme date dalla Sede Apostolica;

5) adoperarsi per promuovere tutto ciò che riguarda la pace, il progresso e la cooperazione tra i popoli;

6) cooperare con i Vescovi per favorire opportuni scambi fra la Chiesa cattolica e le altre Chiese o comunità ecclesiali, anzi anche con le religioni non cristiane;

7) in azione congiunta con i Vescovi, difendere di fronte ai governanti degli Stati tutto ciò che riguarda la missione della Chiesa e della Sede Apostolica;

8) esercitare inoltre le facoltà e adempiere gli altri mandati affidatigli dalla Sede Apostolica.

Can. 365 – §1. È inoltre compito peculiare del Legato pontificio che esercita contemporaneamente una legazione presso gli Stati secondo le norme del diritto internazionale:

1) promuovere e sostenere le relazioni fra la Sede Apostolica e le Autorità dello Stato;

2) affrontare le questioni che riguardano i rapporti fra Chiesa e Stato; trattare in modo particolare la stipulazione e l’attuazione dei concordati e delle altre convenzioni similari.

  • 2. Nella trattazione delle questioni di cui al §1, a seconda che lo suggeriscano le circostanze, il Legato pontificio non ometta di richiedere il parere e il consiglio dei Vescovi della circoscrizione ecclesiastica e li informi sull’andamento dei lavori.

Can. 366 – Atteso il carattere peculiare dell’ufficio di Legato:

1) la sede della Legazione pontificia è esente dalla potestà di governo dell’Ordinario del luogo, a meno che non si tratti della celebrazione di matrimoni;

2) il Legato pontificio, avvertiti, per quanto è possibile, gli Ordinari del luogo, può compiere celebrazioni liturgiche, anche pontificali, in tutte le chiese della sua legazione.

Can. 367 – L’ufficio di Legato pontificio non cessa quando diviene vacante la Sede Apostolica, a meno che non venga stabilito diversamente nella lettera pontificia; cessa invece quando scade il mandato, con l’intimazione della revoca, con la rinuncia accettata dal Romano Pontefice.”

 

 

 

[56] Codice dei canoni delle chiese orientali,

canoni 42-48:

 

“TITULUS III DE SUPREMA ECCLESIAE AUCTORITATE

Can. 42 – Sicut statuente Domino sanctus Petrus et ceteri Apostoli unum Collegium constituunt, pari ratione Romanus Pontifex, successor Petri, et Episcopi, successores Apostolorum, inter se coniunguntur.

 

CAPUT I DE ROMANO PONTIFICE

Can. 43 – Ecclesiae Romanae Episcopus, in quo permanet munus a Domino singulariter Petro, primo Apostolorum, concessum et successoribus eius transmittendum, Collegii Episcoporum est caput, Vicarius Christi atque universae Ecclesiae his in terris Pastor, qui ideo vi muneris sui suprema, plena, immediata et universali in Ecclesia gaudet potestate ordinaria, quam semper libere exercere potest.
 
Can. 44 – § 1. Supremam et plenam in Ecclesia potestatem Romanus Pontifex obtinet legitima electione ab ipso acceptata una cum ordinatione episcopali; quare eandem potestatem obtinet a momento acceptationis electus ad summum pontificatum, qui episcopali charactere insignitus est; si vero charactere episcopali electus caret, statim ordinetur Episcopus.

  • 2. Si contingit, ut Romanus Pontifex muneri suo renuntiet, ad validitatem requiritur, ut renuntiatio libere fiat et rite manifestetur, non vero, ut a quopiam acceptetur.

    Can. 45 – § 1. Romanus Pontifex vi sui muneris non modo in universam Ecclesiam potestate gaudet, sed et super omnes eparchias earumque coetus potestatis ordinariae obtinet principatum, quo quidem simul roboratur atque vindicatur potestas propria, ordinaria et immediata, quam in eparchiam suae curae commissam Episcopi habent.

  • 2. Romanus Pontifex in munere supremi universae Ecclesiae Pastoris explendo communione cum ceteris Episcopis immo et universa Ecclesia semper est coniunctus; ipsi ius tamen est determinare secundum necessitates Ecclesiae modum sive personalem sive collegialem huius muneris exercendi.
  • 3. Contra sententiam vel decretum Romani Pontificis non datur appellatio neque recursus.

    Can. 46 – § 1. In eius munere exercendo Romano Pontifici praesto sunt Episcopi, qui eidem cooperatricem operam dare possunt variis rationibus, inter quas est Synodus Episcoporum; auxilio praeterea ei sunt Patres Cardinales, Curia Romana, Legati pontificii necnon aliae personae itemque varia secundum necessitates temporum instituta; quae personae omnes et instituta nomine et auctoritate eiusdem munus sibi commissum explent in bonum omnium Ecclesiarum secundum normas ab ipso Romano Pontifice statutas.

  • 2. Patriarcharum ceterorumque Hierarcharum, qui Ecclesiis sui iuris praesunt, participatio in Synodo Episcoporum regitur normis specialibus ab ipso Romano Pontifice statutis.

Can. 47 – Sede Romana vacante aut prorsus impedita nihil innovetur in universae Ecclesiae regimine; serventur autem leges speciales pro eisdem adiunctis latae.
 
Can. 48 – Nomine Sedis Apostolicae vel Sanctae Sedis in hoc Codice veniunt non solum Romanus Pontifex, sed etiam, nisi aliter iure cavetur vel ex natura rei constat, Dicasteria aliaque Curiae Romanae instituta.”

 

 

I canoni 42-48 in italiano:

 

“TITOLO III LA SUPREMA AUTORITÀ DELLA CHIESA

Can. 42 – Come, per volontà del Signore, san Pietro e tutti gli altri Apostoli costituiscono un solo Collegio, similmente il Romano Pontefice, successore di Pietro, e i Vescovi, successori degli Apostoli, sono tra di loro congiunti.

 

CAPITOLO I IL ROMANO PONTEFICE

Can. 43 – Il Vescovo della Chiesa di Roma, nel quale permane la funzione concessa dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e da trasmettere ai suoi successori, è il capo del Collegio dei Vescovi, il Vicario di Cristo e il Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò, in forza della sua funzione, ha la potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa, che può sempre esercitare liberamente.

 

Can. 44 – § 1. Il Romano Pontefice ottiene la suprema e piena potestà nella Chiesa con la legittima elezione da lui accettata, insieme con l’ordinazione episcopale; perciò l’eletto al sommo pontificato, che sia insignito del carattere episcopale, ottiene la stessa potestà dal momento dell’accettazione; se invece l’eletto è privo del carattere episcopale, sia immediatamente ordinato Vescovo.

  • 2. Se capita che il Romano Pontefice rinunci alla sua funzione, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e sia debitamente manifestata; non si richiede invece che sia accettata da qualcuno.

 

Can. 45 – § 1. Il Romano Pontefice, in forza della sua funzione, ha potestà non solo sulla Chiesa universale, ma possiede anche la principalità della potestà ordinaria su tutte le eparchie e i loro raggruppamenti; con essa però viene insieme rafforzata e garantita la potestà propria, ordinaria e immediata che i Vescovi hanno sull’eparchia affidata alle loro cure.

  • 2. Il Romano Pontefice, nell’adempiere la funzione di supremo Pastore della Chiesa universale, è sempre congiunto in comunione con tutti gli altri Vescovi e anzi con la Chiesa universale; tuttavia egli ha il diritto di determinare, secondo le necessità della Chiesa, il modo, sia personale sia collegiale, di esercitare questa funzione.
  • 3. Contro una sentenza o un decreto del Romano Pontefice non si dà né appello né ricorso.

 

Can. 46 – § 1. Nell’esercitare la sua funzione, il Romano Pontefice è assistito dai Vescovi che gli possono dare una collaborazione in varie maniere tra le quali vi è il Sinodo dei Vescovi; gli sono inoltre di aiuto i Padri Cardinali, la Curia Romana, i Legati pontifici, come pure altre persone e anche varie istituzioni secondo le necessità dei tempi; tutte queste persone e istituzioni adempiono l’incarico loro affidato in nome e con l’autorità dello stesso, per il bene di tutte le Chiese secondo le norme stabilite dal Romano Pontefice stesso.

  • 2. La partecipazione dei Patriarchi e di tutti gli altri Gerarchi, che presiedono le Chiese sui iuris, nel Sinodo dei Vescovi è regolata da norme speciali stabilite dallo stesso Romano Pontefice.

 

Can. 47 – Mentre la Sede Romana è vacante o totalmente impedita non si innovi nulla nel governo della Chiesa universale; si osservino invece le leggi speciali emanate per quelle circostanze.

 

Can. 48 – Con il nome di Sede Apostolica o di Santa Sede, in questo Codice, si intende non solo il Romano Pontefice, ma anche, se non è disposto diversamente dal diritto o non consta dalla natura delle cose, i Dicasteri e le altre istituzioni della Curia Romana.”

 

 

 

[57] Libro del levitico, capitolo 16, versetti 1 -10.

Libro dei numeri, capitolo 26, versetti 52 – 56.

Libro di Giosuè, capitolo 7, versetti 10 -26.

Primo libro di Samuele, capitolo 10, versetti 17 – 24.

Libro di Giona, capitolo 1, versetti 1 -7.

Atti degli apostoli, capitolo 1, versetti 15 – 26.

 

 

 

[58] Gli incarichi pastorali degli apostoli

Vangelo secondo Marco, capitolo 3, versetti 13-19.

Vangelo secondo Marco, capitolo 6, versetti 7-13.

Vangelo secondo Marco, capitolo 16, versetti 14-20.

Vangelo secondo Matteo, capitolo 10, versetti 1-8.

Vangelo secondo Matteo, capitolo 28, versetti 16-20.

Vangelo secondo Luca, capitolo 9, versetti 1-6.

Atti degli apostoli, capitolo 3, capitolo 1-16.

Atti degli apostoli, capitolo 5, versetti 12-16.

Atti degli apostoli, capitolo 8, versetti 5-8.

Atti degli apostoli, capitolo 8, versetti 34-40.

Atti degli apostoli, capitolo 9, versetti 32-35.

Atti degli apostoli, capitolo 9, versetti 36-42.

Vangelo secondo Giovanni, capitolo 20, versetti, 21-23.

 

 

 

[59] Codice dei canoni delle chiese orientali,

 

Can. 49 – Collegium Episcoporum, cuius caput est Romanus Pontifex cuiusque membra sunt Episcopi vi sacramentalis ordinationis et hierarchica communione cum Collegii capite et membris et in quo corpus apostolicum continuo perseverat, una cum capite suo et numquam sine hoc capite subiectum quoque supremae et plenae potestatis in universam Ecclesiam exsistit.
 
Can. 50 – § 1. Potestatem in universam Ecclesiam Collegium Episcoporum sollemni modo exercet in Concilio Oecumenico.

  • 2. Eandem potestatem Collegium Episcoporum exercet per unitam Episcoporum in mundo dispersorum actionem, quae ut talis a Romano Pontifice est indicta aut libere recepta ita, ut verus actus collegialis effciatur.
  • 3. Romani Pontificis est secundum necessitates Ecclesiae seligere et promovere modos, quibus Collegium Episcoporum munus suum in universam Ecclesiam collegialiter exercet.

    Can. 51 – § 1. Solius Romani Pontificis est Concilium Oecumenicum convocare, eidem per se vel per alios praeesse, item Concilium transferre, suspendere vel dissolvere eiusque decreta confirmare.

  • 2. Eiusdem Romani Pontificis est res in Concilio Oecumenico tractandas determinare atque ordinem in eodem Concilio servandum constituere; propositis a Romano Pontifice quaestionibus Patres Concilii Oecumenici alias addere possunt ab eodem Romano Pontifice approbandas.

Can. 52 – § 1. Ius et obligatio est omnibus et solis Episcopis, qui membra sunt Collegii Episcoporum, ut Concilio Oecumenico cum suffragio deliberativo intersint.

  • 2. Ad Concilium Oecumenicum insuper aliquot, qui episcopali dignitate non sunt insigniti, vocari possunt a suprema Ecclesiae auctoritate, cuius est eorum partes in Concilio determinare.

    Can. 53 – Si contingit, ut Sedes Apostolica durante Concilii Oecumenici celebratione vacet, ipso iure hoc intermittitur, donec novus Romanus Pontifex Concilium Oecumenicum continuari iusserit aut dissolverit.
     
    Can. 54 – § 1. Concilii Oecumenici decreta vim obligandi non habent, nisi una cum Concilii Patribus a Romano Pontifice approbata ab eodem sunt confirmata et eiusdem iussu promulgata.

  • 2. Hac confirmatione et promulgatione, vim obligandi ut habeant, etiam egent decreta, quae fert Collegium Episcoporum, cum actionem proprie collegialem ponit secundum alium a Romano Pontifice indictum vel libere receptum modum.”

 

 

I canoni 49-54 in italiano:

 

Can. 49 – Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Romano Pontefice e le cui membra sono i Vescovi, in forza dell’ordinazione sacramentale e per la comunione gerarchica con il capo del Collegio e con le membra, e nel quale il corpo apostolico persevera continuamente assieme al suo capo e mai senza questo capo, è pure soggetto della suprema e piena potestà sulla Chiesa universale.

Can. 50 – § 1. Il Collegio dei Vescovi esercita in modo solenne la potestà sulla Chiesa universale nel Concilio Ecumenico.

  • 2. Il Collegio dei Vescovi esercita la medesima potestà mediante l’azione unita dei Vescovi dispersi nel mondo, se essa è indetta come tale, oppure liberamente recepita dal Romano Pontefice, in modo da diventare un vero atto collegiale.
  • 3. Spetta al Romano Pontefice, secondo le necessità della Chiesa, scegliere e promuovere i modi con cui il Collegio dei Vescovi esercita collegialmente la sua funzione sulla Chiesa universale.

Can. 51 – § 1. Spetta solamente al Romano Pontefice convocare il Concilio Ecumenico, presiederlo personalmente o per mezzo di altri, come pure trasferire il Concilio, sospenderlo o scioglierlo e confermarne i decreti.

  • 2. Spetta allo stesso Romano Pontefice determinare le cose da trattare nel Concilio Ecumenico e stabilire il regolamento da osservare nello stesso Concilio; i Padri del Concilio Ecumenico possono aggiungere, alle questioni proposte dal Romano Pontefice, delle altre da approvare dallo stesso Romano Pontefice.

Can. 52 – § 1. Hanno diritto e dovere di partecipare con voto deliberativo al Concilio Ecumenico tutti e soli i Vescovi che sono membri del Collegio dei Vescovi.

  • 2. Anche altri che non sono insigniti della dignità episcopale possono inoltre essere chiamati al Concilio Ecumenico dalla suprema autorità della Chiesa, alla quale spetta determinarne il ruolo nel Concilio.

Can. 53 – Se capita che la Sede Apostolica diventi vacante durante la celebrazione del Concilio Ecumenico, questo viene sospeso dal diritto stesso, finché il nuovo Romano Pontefice non ordini di proseguirlo oppure lo sciolga.

Can. 54 – § 1. I decreti del Concilio Ecumenico non hanno forza obbligante se non sono stati approvati, assieme ai Padri del Concilio, dal Romano Pontefice, da lui confermati e per comando dello stesso promulgati.

  • 2. Hanno bisogno di questa conferma e promulgazione, per aver forza obbligante, anche i decreti che emana il Collegio dei Vescovi quando pone un’azione propriamente collegiale secondo un altro modo indetto o recepito liberamente dal Romano Pontefice.”

 

Le citazioni sono state verificate alla data di pubblicazione di questo articolo sul sito www.giorgiocannella.com

Riflessioni sul celibato

I passi del Nuovo Testamento nei quali si parla dei fedeli e di coloro che hanno il sacerdozio ministeriale ci permettono di migliorare le norme del diritto canonico che impongono il celibato.

Lo scopo di questo articolo è rendere le norme in parola conformi a quanto si legge nella Bibbia.

Come è noto, infatti, il diritto canonico si fonda sulla Scrittura della quale costituisce attuazione dettando regole per disciplinare la vita dei fedeli.

 

 

Fin da quando studiavo teologia, desideravo scrivere le mie riflessioni sul celibato.

Mi rendo conto che l’argomento è sentito da molti come difficile da trattare.

Per questo, accompagnerò il lettore con un’analisi della Scrittura chiara e comprensibile anche ai non addetti ai lavori.

 

 

Il celibato è sancito nel codice di diritto canonico per i sacri ministri, per tutti coloro che fanno vita consacrata, nella professione religiosa, per gli istituti secolari e infine per le società di vita apostolica.[1]

Il celibato è sancito altresì dal codice dei canoni delle chiese orientali: per i vescovi, per i religiosi, per i monaci, per gli ordini e per le congregazioni.

Rilevanti ai fini di questo articolo sono anche i canoni di quest’ultimo codice sui sacerdoti e sui diaconi.[2]

Di recente, il dibattito mai sopito su questo argomento è tornato a essere vibrante.[3]

Io non conosco passi del Nuovo Testamento nei quali viene affermata l’incompatibilità tra il sacerdozio ministeriale e il matrimonio.

Invito chiunque li conosca a citarli nello spazio per i commenti che si trova in fondo al testo di questo articolo e lo ringrazio fin da ora.

Al contrario – oltre al passo del vangelo secondo Marco che parla della suocera di Pietro, il quale dunque era sposato[4] – conosco tre passi del Nuovo Testamento nei quali si afferma che chi ha il sacerdozio ministeriale sia sposato una sola volta, abbia figli e sappia governare bene la sua famiglia:

  1. un passo della prima lettera a Timoteo dove si legge che “bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta” e aggiunge “Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? ”;[5]
  2. il passo in parola della prima lettera a Timoteo prosegue affermando che “I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie”;[6]
  3. un passo della lettera a Tito afferma che il candidato al presbiterato “deve essere irreprensibile, sposato una sola volta, con figli credenti”.[7]

 

Per i cristiani, la Bibbia è la parola di Dio.

Come ho scritto in un altro articolo, Dio non è un teologo particolarmente versato al quale possono contrapporsi le affermazioni di altri teologi ugualmente capaci.

Se il Nuovo Testamento afferma più volte e inequivocabilmente che chi ha il sacerdozio ministeriale sia sposato una sola volta, abbia figli e sappia governare bene la sua famiglia e che il candidato al presbiterato sia sposato una sola volta con figli credenti, qualsiasi tesi contraria non può soppiantare il dato inequivocabile della Scrittura.

Nessuna affermazione umana, infatti, può stare alla pari, superare o contraddire la parola di Dio.

 

L’incompatibilità tra il sacerdozio ministeriale e il matrimonio è stata affermata secoli dopo la scrittura dei passi poc’anzi citati del Nuovo Testamento.

Lo scopo di questa affermazione era ottenere una presunta purità rituale di coloro che presiedono il culto eucaristico.

A parere di chi scrive, questa affermazione è per lo meno irriguardosa nei confronti di Dio.

Alla luce dei passi della Scrittura poc’anzi citati – nei quali si legge che vescovi, presbiteri e diaconi siano sposati una sola volta, abbiano figli e sappiano governare bene la loro famiglia – affermare che la purità rituale richiede che chi presiede il culto eucaristico non possa sposarsi, non possa avere figli e debba vivere il celibato significa dire che la parola di Dio invita all’impurità.

Sinceramente, non mi risulta che la parola di Dio consigli l’impurità!

 

La contrarietà alla parola di Dio è un vizio che affligge anche tutte le affermazioni che, nei secoli, hanno continuato a sostenere l’incompatibilità tra il sacerdozio ministeriale e il matrimonio.

Dispiace constatare che, tra queste affermazioni, alcune sono state pronunciate durante dei concilii.

Alcune fonti affermano che il primo di essi sarebbe il concilio di Elvira, tenutosi nei primi anni del quarto secolo dopo Cristo, il cui canone 33 avrebbe ordinato ai chierici di astenersi dal matrimonio e dal generare figli, pena la deposizione dallo stato clericale.[8]

Altre fonti riportano il testo del canone 33 del citato concilio di Elvira e affermano che esso in realtà avrebbe detto l’esatto contrario, ovvero che sarebbero stati dimessi dallo stato clericale coloro che si fossero astenuti dalle loro mogli e non avessero generato figli.[9]

Queste ultime fonti affermano che il celibato sarebbe stato imposto per la prima volta nel concilio lateranense dell’anno 1139.

 

Qualunque sia stato il concilio che per primo abbia sancito l’incompatibilità tra il sacerdozio ministeriale e il matrimonio, in ecclesiologia e in storia della chiesa si studia che, affinché un concilio faccia un’affermazione dogmatica, sono necessari tutti e tre i seguenti requisiti: soggetto, oggetto, atto.

Il soggetto è il collegio dei vescovi che devono essere presenti nel concilio per poter discutere e votare.

L’oggetto è la materia, vale a dire la rivelazione.

L’atto è l’intenzione di definire una questione.

Questa intenzione deve essere chiaramente presente negli atti emanati dal concilio: ad esempio, quando viene usata la formula “Noi definiamo”.

Se l’intenzione in parola non è presente, non va cercata.

 

 

Il requisito del soggetto

Il diritto canonico insegna che il collegio dei vescovi è composto dal sommo pontefice che ne è il capo e dai vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del collegio.[10]

Le affermazioni sul divieto, per chi ha il sacerdozio ministeriale, di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere il celibato sono state rese da concilii nei quali:

  • non c’era il collegio dei vescovi, ma solo alcuni vescovi di una o alcune province dell’allora impero romano o di territori corrispondenti a una o alcune delle odierne Nazioni;
  • quasi sempre non c’era il sommo pontefice. Egli infatti non partecipò a molti dei concilii che hanno reso le affermazioni in parola e, in quelli nei quali partecipò, non era presente il collegio dei vescovi.

 

Di conseguenza, il requisito del soggetto non può dirsi presente nei concilii che hanno fatto le affermazioni in parola.

 

 

Il requisito dell’oggetto

Le affermazioni rese dai concilii sul divieto, per chi ha il sacerdozio ministeriale, di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere il celibato sono sicuramente non conformi alla rivelazione.

Questo perché – come abbiamo detto – i passi citati poc’anzi del vangelo di Marco, della prima lettera a Timoteo e della lettera a Tito affermano chiaramente che:

  1. Pietro aveva una suocera (vangelo secondo Marco), dunque era sposato;
  2. “bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta” e inoltre “Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?” (prima lettera a Timoteo);
  3. “I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie” (prima lettera a Timoteo);
  4. il candidato al presbiterato “deve essere irreprensibile, sposato una sola volta, con figli credenti” (lettera a Tito).

 

Pertanto, il requisito dell’oggetto non può dirsi presente nelle affermazioni sul divieto, per chi ha il sacerdozio ministeriale, di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere il celibato.

Poiché anche i singoli credenti non possono andare contro la rivelazione, le affermazioni dello stesso tenore di quelle ora in esame rese da parte di individui (papa, vescovo, teologo, etc.) non sono conformi alla rivelazione.

 

 

Il requisito dell’atto

Negli atti dei concilii contenenti il divieto, per chi ha il sacerdozio ministeriale, di sposarsi e di avere figli e l’obbligo per i medesimi soggetti di vivere il celibato non ho trovato la formula “Noi definiamo” o altre espressioni che indichino la chiara intenzione di definire una questione.

Pertanto, le affermazioni in parola non hanno il requisito dell’atto.

Anche qualora ve ne siano alcune che abbiano il requisito dell’atto, la mancanza dei requisiti del soggetto e dell’oggetto non consente di dire che esse sono dogmatiche.

 

In conclusione, la mancanza dei tre requisiti del soggetto, dell’oggetto e dell’atto fa sì che tutte le affermazioni che i concilii hanno reso sul divieto, per chi ha il sacerdozio ministeriale, di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere il celibato non sono dogmatiche.

Esse sono affermazioni disciplinari, non dogmatiche, viziate dal contrasto con la rivelazione.

Di conseguenza, vanno considerate tutte quante come se non ci fossero (“tamquam non essent”).[11]

Identica sorte spetta alle dichiarazioni più recenti che hanno confermato il divieto e l’obbligo in parola.

Mi riferisco al numero 16 del decreto del concilio Vaticano II Presbyterorum ordinis[12] e al numero 1580 del Catechismo della chiesa cattolica.[13]

Nei numeri ora citati, c’è la presa di coscienza del fatto che “La perfetta e perpetua continenza per il Regno dei cieli…non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio” e si citano anche due dei quattro passi del Nuovo Testamento che abbiamo poc’anzi ricordato (1 Tm 3,2-5; Tt 1,6), tuttavia si conferma la normativa sul celibato per chi ha il sacerdozio ministeriale.

Chi scrive non riesce a comprendere come si possano citare due passi della parola di Dio che dicono “A” e al contempo confermare una normativa della Chiesa che impone il contrario di “A”.

Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – sul divieto per chi ha il sacerdozio ministeriale di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere il celibato vanno considerate tutte quante come se non ci fossero (“tamquam non essent”).[14]

 

 

 

LE ALTRE CATEGORIE DI FEDELI

Ora ci chiediamo se il celibato sia imposto dalla Scrittura ai fedeli che non hanno il sacerdozio ministeriale.

Nella prima lettera ai corinzi, il capitolo 7 è interamente dedicato alla vita relazionale di queste persone.[15]

Agli sposi il versetto 5 dice: “Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione.”.

A coloro che conducono vita laicale consacrata i versetti 17, 20 e 24 dicono: “Fuori di questi casi, ciascuno continui a vivere secondo la condizione che gli ha assegnato il Signore, così come Dio lo ha chiamato; così dispongo in tutte le chiese. …Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. …Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato.”.[16]

 

Come possiamo leggere, il capitolo 7 della prima lettera ai corinzi non prevede alcun obbligo di castità, celibato, nubilato, verginità consacrata per i fedeli che non hanno il sacerdozio ministeriale.

 

Alla luce di ciò, chiediamoci come deve essere disciplinata la vita laicale consacrata.

Per dare una risposta, riflettiamo su quanto abbiamo appena letto nella parola di Dio.

Come è noto, la vita laicale consacrata consiste nella scelta di vivere il vangelo secondo la regola dettata dal fondatore o dalla fondatrice.

Il capitolo 7 della prima lettera ai corinzi lascia la condizione relazionale di ogni persona chiamata alla vita laicale consacrata alla scelta che Dio fa di chiamarla prima o dopo che questa si sia sposata e abbia avuto dei figli.

Di conseguenza, non è possibile imporre l’obbligo della castità, del celibato, del nubilato, della verginità a coloro che fanno vita laicale consacrata.

Questo non solo perché un obbligo in tal senso andrebbe contro la parola di Dio, ma altresì perché Dio è la perfezione assoluta e dunque non dimentica di dire qualcosa!

Se Dio avesse voluto affermare l’obbligo della castità, del celibato, del nubilato, della verginità per coloro che fanno vita laicale consacrata lo avrebbe sancito nella sua Parola.

Se Dio riserva a se stesso la scelta di chiamare una persona alla vita laicale consacrata prima o dopo che questa si sia sposata e abbia avuto figli, chi può permettersi di imporre a chi vuole fare vita laicale consacrata l’obbligo della castità, del celibato, del nubilato, della verginità impedendo a Dio di fare la sua scelta?

 

Tutto ciò considerato, la conclusione è una sola.

Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – sul divieto per i fedeli che non hanno il sacerdozio ministeriale di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere la castità, il celibato, il nubilato, la verginità consacrata non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).[17]

 

Inoltre, la condizione relazionale di ogni persona chiamata alla vita laicale consacrata è un dato che compete alla scelta che Dio fa di chiamarla prima o dopo che questa si sia sposata e abbia avuto dei figli.

 

Piaccia o meno tutto quanto è stato detto fin ora, questo è quanto la Scrittura afferma e un cristiano non se può discostare.

 

 

LE MODIFICHE DA APPORTARE

I passi biblici citati e le motivazioni esposte in questo articolo rendono necessario apportare le seguenti modifiche al fine di rendere la normativa vigente nella Chiesa conforme alla Scrittura.

 

Oltre a quanto abbiamo detto, bisogna considerare che la professione monastica non ha alcun senso fuori del monastero.

Non ha alcun senso prevedere l’esistenza di ordini nei quali i membri, fuori dal monastero e senza essere monaci, “emettono una professione che è equiparata alla professione monastica” (canone 504, paragrafo 1, del codice dei canoni delle chiese orientali).

Dunque, nel codice dei canoni delle chiese orientali la disciplina degli ordini va modificata in modo da fare riferimento a quella degli istituti secolari presente nel codice di diritto canonico.

Di conseguenza, nel codice dei canoni delle chiese orientali va modificata anche la disciplina delle congregazioni in modo da fare riferimento a quella delle società di vita apostolica presente nel codice di diritto canonico.

 

 

I SACRI MINISTRI

Codice di diritto canonico

I canoni 194, 247, 277, 291, 1037 e 1087 vanno modificati nel modo seguente:

 

Can. 194 – §1. È rimosso dall’ufficio ecclesiastico per il diritto stesso: 1) chi ha perso lo stato clericale; 2) chi si è separato pubblicamente dalla fede cattolica o dalla comunione della Chiesa [; 3) numero abrogato].

§2. La rimozione, di cui al numero 2, può essere sollecitata soltanto se della medesima consti da una dichiarazione dell’autorità competente.

 

Can. 247 – §1. [Paragrafo abrogato].

§2. Gli alunni siano resi debitamente consapevoli dei doveri e degli oneri che sono propri dei ministri della Chiesa, senza alcuna reticenza sulle difficoltà della vita sacerdotale.

 

Can. 277 – §1. [Paragrafo abrogato]

§2. I chierici si comportino con la dovuta prudenza nei rapporti con persone la cui familiarità può [parole abrogate] suscitare lo scandalo dei fedeli.

§3. Spetta al vescovo diocesano stabilire norme più precise su questa materia e giudicare sull’osservanza di questo obbligo nei casi particolari.

 

Can. 291 – [Canone abrogato].

 

Can. 1037 – §1. Bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo. È necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo.

§2. Il candidato al presbiterato deve essere irreprensibile, sposato una sola volta, con figli credenti e che non possano essere accusati di dissolutezza o siano insubordinati.

§3. I diaconi siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio. I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie.

§4. Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – contrarie a questo canone non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).

 

Can. 1087 – [Canone abrogato]

 

 

 

LA VITA CONSACRATA

L’abolizione dell’obbligo della castità, del celibato, del nubilato, della verginità consacrata e la riforma della vita consacrata

Codice di diritto canonico, canone 598.

Il canone 598 del codice di diritto canonico va modificato nel modo seguente:

 

Norme comuni a tutti gli istituti di vita consacrata (Cann. 573-607)

Can. 598 – §1. Ogni istituto, attese l’indole e le finalità proprie, deve stabilire nelle costituzioni il modo in cui, secondo la propria forma di vita, si devono osservare i consigli evangelici [parole abrogate] di cui parla il nuovo testo del canone 211 di questo codice.

§2. Tutti i membri poi devono non solo osservare integralmente e con fedeltà i consigli evangelici, ma anche vivere secondo il diritto proprio dell’istituto, e in tal modo tendere alla perfezione del proprio stato.

§3. Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – sul divieto per i fedeli che non hanno il sacerdozio ministeriale di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere la castità, il celibato, il nubilato, la verginità consacrata non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).

§4. La condizione relazionale di ogni persona chiamata a un istituto di vita monastica, di vita religiosa, di vita consacrata è un dato che compete alla scelta che Dio fa di chiamarla prima o dopo che questa si sia sposata e abbia avuto dei figli. Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – contrarie a questo paragrafo non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).

 

 

Il matrimonio – Impedimenti dirimenti in specie (cannoni 1083-1094)

 

Can. 1088 – [Canone abrogato]

 

 

 

GLI ISTITUTI SECOLARI

Codice di diritto canonico

I canoni 712 e 721 vanno modificati nel modo seguente:

 

Can. 712 – §1. [Parole abrogate] Le costituzioni stabiliscano i vincoli [parola abrogata] con cui vengono assunti nell’istituto i consigli evangelici di cui parla il nuovo testo del canone 211 di questo codice e definiscano gli obblighi che essi comportano, salva sempre però, nello stile di vita, la secolarità propria dell’istituto.

 

Can. 721 – §1. È ammesso invalidamente al periodo di prova iniziale: 1) chi non ha ancora raggiunto la maggiore età; 2) chi è legato attualmente con vincolo sacro ad un istituto di vita consacrata o è stato incorporato in una società di vita apostolica [; 3) parole abrogate].

§2. Le costituzioni possono stabilire altri impedimenti anche per la validità dell’ammissione, o porre condizioni.

§3. Per essere accettati si richiede inoltre la maturità necessaria a condurre in modo conveniente la vita propria dell’istituto.

 

 

 

LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA

Codice di diritto canonico

I canoni 731 e 732 vanno modificati nel modo seguente:

 

Can. 731 – §1. [Parole abrogate] Le società di vita apostolica sono quelle i cui membri, senza voti religiosi, perseguono il fine apostolico proprio della società e, conducendo vita fraterna in comunità secondo un proprio stile, tendono alla perfezione della carità mediante l’osservanza delle costituzioni.

§2. [Paragrafo abrogato]

 

Can. 732 – Quanto è stabilito nei canoni dal numero 578 – a esclusione delle parole “e anche l’oggetto proprio dei sacri vincoli” contenute nel canone 587, paragrafo 1 – fino al numero 597 e nel canone 606 si applica anche alle società di vita apostolica nel rispetto della natura di ciascuna società [; parole abrogate].

 

 

I VESCOVI

Codice dei canoni delle chiese orientali

Il canone 180 va modificato nel modo seguente:

 

Can. 180- §1. Perché qualcuno sia ritenuto idoneo all’episcopato si richiede che sia:

1° [numero abrogato];

2° [numero abrogato];

3° [numero abrogato];

4° almeno di trentacinque anni d’età;

5° costituito nell’ordine del presbiterato almeno da cinque anni;

6° dottore o licenziato o almeno esperto in qualche scienza sacra.

§2. Bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo. È necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo.

§3. Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – contrarie al paragrafo 2 di questo canone non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).

 

 

 

I SACERDOTI E I DIACONI

Codice dei canoni delle chiese orientali

Il canone 762 va modificato nel modo seguente:

 

Can. 762 – §1. È impedito dal ricevere gli ordini sacri:

1° chi è colpito da qualche forma di demenza o da altra infermità psichica, a motivo della quale è giudicato, dopo aver consultato i periti, inabile a svolgere correttamente il ministero;

2° chi ha commesso il delitto di apostasia, di eresia oppure di scisma;

3° [numero abrogato]

4° chi ha commesso omicidio volontario oppure ha procurato un aborto conseguendone l’effetto e tutti coloro che vi hanno cooperato positivamente;

5° chi ha mutilato gravemente e dolosamente se stesso o un altro o che ha tentato di togliersi la vita;

6° chi ha posto un atto di ordine riservato a chi è costituito nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato, o essendone privo o avendo la proibizione di esercitarlo per qualche pena canonica.

7° chi esercita un ufficio o l’amministrazione vietata ai chierici di cui deve rendere conto finché, abbandonato l’ufficio e l’amministrazione e fatto inoltre il rendiconto, sia diventato libero;

8° il neofita, a meno che, a giudizio del Gerarca, sia sufficientemente sperimentato.

§2. Gli atti dai quali possono provenire gli impedimenti di cui nel §1, nn. 2-6, non producono impedimenti se non sono stati peccati gravi ed esterni commessi dopo il battesimo.

 

 

Codice dei canoni delle chiese orientali

Il canone 769 va modificato nel modo seguente:

 

Can. 769 – §1. L’autorità che ammette un candidato alla sacra ordinazione, deve ottenere:

1° la dichiarazione di cui nel can. 761, come pure il certificato dell’ultima sacra ordinazione oppure, se si tratta della prima sacra ordinazione, anche il certificato di battesimo e della crismazione del santo myron;

2° [parole abrogate] il certificato di matrimonio e il consenso dato per iscritto dalla moglie;

3° il certificato degli studi compiuti;

4° le lettere testimoniali del rettore del seminario o del Superiore di un istituto di vita consacrata, oppure del presbitero al quale è stato affidato il candidato fuori del seminario, sui buoni costumi dello stesso candidato;

5° le lettere testimoniali di cui nel can. 771, §3;

6° le lettere testimoniali, se lo giudica opportuno, degli altri Vescovi eparchiali o dei Superiori di istituti di vita consacrata dove il candidato ha dimorato per qualche tempo, sulle qualità del candidato e sulla sua libertà da ogni impedimento canonico.

§2. Questi documenti siano conservati nell’archivio della stessa autorità.

§3. Il candidato al presbiterato deve essere irreprensibile, sposato una sola volta, con figli credenti e che non possano essere accusati di dissolutezza o siano insubordinati.

§4. I diaconi siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio. I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie.

§5. Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – contrarie ai paragrafi 3 e 4 di questo canone non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).

 

 

 

I RELIGIOSI

L’abolizione dell’obbligo della castità, del celibato, del nubilato, della verginità consacrata e la riforma della vita consacrata

Il canone 410 del codice dei canoni delle chiese orientali va modificato nel modo seguente:

 

Can. 410 – §1. Ogni istituto, attese l’indole e le finalità proprie, deve stabilire nelle costituzioni il modo in cui, secondo la propria forma di vita, si devono osservare i consigli evangelici di cui parla il nuovo testo del canone 14 di questo codice.

§2. Tutti i membri poi devono non solo osservare integralmente e con fedeltà i consigli evangelici, ma anche vivere secondo il diritto proprio dell’istituto, e in tal modo tendere alla perfezione del proprio stato.

§3. Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – sul divieto per i fedeli che non hanno il sacerdozio ministeriale di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere la castità, il celibato, il nubilato, la verginità consacrata non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).

§4. La condizione relazionale di ogni persona chiamata a un istituto di vita monastica, di vita religiosa, di vita consacrata è un dato che compete alla scelta che Dio fa di chiamarla prima o dopo che questa si sia sposata e abbia avuto dei figli. Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – contrarie a questo paragrafo non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).

 

 

 

GLI ORDINI E LE CONGREGAZIONI

 

Codice dei canoni delle chiese orientali

Il canone 504 va modificato nel modo seguente:

 

Can. 504 – §1. L’ordine è una società regolata dai canoni del codice di diritto canonico che disciplinano gli istituti secolari.

§2. La congregazione è una società regolata dai canoni del codice di diritto canonico che disciplinano le società di vita apostolica.

§3. Ogni norma contraria a questo canone è abrogata.

 

Codice dei canoni delle chiese orientali

Il canone 517 va modificato nel modo seguente:

 

Can. 517 – [Canone abrogato]

 

 

Vi ringrazio per il vostro tempo e per la vostra attenzione.

 

 

NOTE A PIE’ DI PAGINA

[1] Tutti i passi dei testi citati in questo articolo sono presi dalle pagine internet indicate.

 

Se non altrimenti specificato, il sottolineato è mio.

 

Tutte le citazioni della Bibbia in questo articolo sono prese da “La Sacra Bibbia” edizione Conferenza episcopale italiana, in: http://www.vatican.va/archive/ITA0001/_INDEX.HTM

 

Tutte le citazioni del codice di diritto canonico in questo articolo sono prese da “Codex iuris canonici” in: http://www.vatican.va/archive/ITA0276/_INDEX.HTM

 

Tutte le citazioni del codice dei canoni delle chiese orientali presenti in questo articolo sono prese da “Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium” in latino in:

http://www.vatican.va/archive/cdc/index_it.htm

e in italiano in:

https://www.iuscangreg.it/cceo_multilingue.php

 

Tutte le citazioni del Catechismo della chiesa cattolica presenti in questo articolo sono prese da:

http://www.vatican.va/archive/ccc/index_it.htm

 

 

IL CELIBATO PER I SACRI MINISTRI

Codice di diritto canonico,

canoni 194, 247, 277, 291, 1037 e 1087:

 

“Can. 194 – §1. E rimosso dall’ufficio ecclesiastico per il diritto stesso: 1) chi ha perso lo stato clericale; 2) chi si è separato pubblicamente dalla fede cattolica o dalla comunione della Chiesa; 3) il chierico che ha attentato al matrimonio anche soltanto civile.

§2. La rimozione, di cui ai nn. 2 e 3, può essere sollecitata soltanto se della medesima consti da una dichiarazione dell’autorità competente.

 

Can. 247 – §1. Siano preparati mediante un’adeguata educazione a vivere lo stato del celibato e imparino ad apprezzarlo come dono peculiare di Dio.

§2. Gli alunni siano resi debitamente consapevoli dei doveri e degli oneri che sono propri dei ministri della Chiesa, senza alcuna reticenza sulle difficoltà della vita sacerdotale.

 

Can. 277 – §1. I chierici sono tenuti all’obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini.

§2. I chierici si comportino con la dovuta prudenza nei rapporti con persone la cui familiarità può mettere in pericolo l’obbligo della continenza oppure suscitare lo scandalo dei fedeli.

§3. Spetta al Vescovo diocesano stabilire norme più precise su questa materia e giudicare sull’osservanza di questo obbligo nei casi particolari.

 

Can. 291 – Oltre ai casi di cui al  can. 290, n. 1, la perdita dello stato clericale non comporta la dispensa dall’obbligo del celibato: questa viene concessa unicamente dal Romano Pontefice.

 

Can. 1037 – Il promovendo al diaconato permanente, che non sia sposato, e così pure il promovendo al presbiterato, non siano ammessi all’ordine del diaconato, se non hanno assunto, mediante il rito prescritto, pubblicamente, davanti a Dio e alla Chiesa, l’obbligo del celibato oppure non hanno emesso i voti perpetui in un istituto religioso.

 

Can. 1087 – Attentano invalidamente al matrimonio coloro che sono costituiti nei sacri ordini.”

 

 

 

IL CELIBATO PER LA VITA CONSACRATA

Codice di diritto canonico,

canoni 598, 599, 654, 694, 1088:

 

Norme comuni a tutti gli istituti di vita consacrata (Cann. 573-607), canoni 598 e 599:

 

“Can. 598 – §1. Ogni istituto, attese l’indole e le finalità proprie, deve stabilire nelle costituzioni il modo in cui, secondo il suo programma di vita, sono da osservarsi i consigli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza.

 

Can. 599 – Il consiglio evangelico di castità assunto per il Regno dei cieli, che è segno della vita futura e fonte di una più ricca fecondità nel cuore indiviso, comporta l’obbligo della perfetta continenza nel celibato.”

 

 

La professione religiosa (Cann. 654-658), canone 654:

 

“Can. 654 – Con la professione religiosa i membri assumono con voto pubblico l’obbligo di osservare i tre consigli evangelici, sono consacrati a Dio mediante il ministero della Chiesa e vengono incorporati all’istituto con i diritti e i doveri definiti giuridicamente.”

 

 

Dismissione dei religiosi (Cann. 694-704), canone 694:

 

“Can. 694 – §1. Si deve ritenere dimesso dall’istituto, per il fatto stesso, il religioso che: 1) abbia in modo notorio abbandonato la fede cattolica; 2) abbia contratto matrimonio o ad esso abbia attentato, anche solo civilmente.

§2. In tali casi il Superiore maggiore col suo consiglio deve senza indugio, raccolte le prove, emettere la dichiarazione del fatto perché la dimissione consti giuridicamente.”

 

 

Il matrimonio – Impedimenti dirimenti in specie (Cann. 1083-1094), canone 1088:

 

“Can. 1088 – Attentano invalidamente il matrimonio coloro che sono vincolati dal voto pubblico perpetuo di castità emesso in un istituto religioso.”

 

 

 

IL CELIBATO NEGLI ISTITUTI SECOLARI

Codice di diritto canonico,

canoni 712 e 721:

 

“Can. 712 – Ferme restando le disposizioni dei cann.  598-601, le costituzioni stabiliscano i vincoli sacri con cui vengono assunti nell’istituto i consigli evangelici e definiscano gli obblighi che essi comportano, salva sempre però, nello stile di vita, la secolarità propria dell’istituto.

 

Can. 721 – §1. È ammesso invalidamente al periodo di prova iniziale: 1) chi non ha ancora raggiunto la maggiore età; 2) chi è legato attualmente con un vincolo sacro ad un istituto di vita consacrata o è stato incorporato in una società di vita apostolica; 3) chi è sposato, durante il matrimonio.”

 

 

 

IL CELIBATO NELLE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA

Codice di diritto canonico,

canoni 731 e 732:

 

“Can. 731 – §1. Agli istituti di vita consacrata sono assimilate le società di vita apostolica i cui membri, senza voti religiosi, perseguono il fine apostolico proprio della società e, conducendo vita fraterna in comunità secondo un proprio stile, tendono alla perfezione della carità mediante l’osservanza delle costituzioni.

§2. Fra queste vi sono società i cui membri assumono i consigli evangelici con qualche vincolo definito dalle costituzioni.

 

Can. 732 – Quanto è stabilito nei cann.  578-597 e  606 si applica anche alle società di vita apostolica, tuttavia nel rispetto della natura di ciascuna società; alle società di cui al  can. 731, §2, si applicano anche i cann.  598-602.”

 

 

[2] I VESCOVI

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 180:

 

Can. 180 – Ut quis idoneus ad episcopatum habeatur, requiritur, ut sit:

1° firma fide, bonis moribus, pietate, animarum zelo et prudentia praestans;
2° bona existimatione gaudens;
3° vinculo matrimonii non ligatus;
4° annos natus saltem triginta quinque;
5° a quinquennio saltem in ordine presbyteratus constitutus;
6° in aliqua scientia sacra doctor vel licentiatus vel saltem peritus.”

 

 

Il canone 180 in italiano:

 

Can. 180 – Perché qualcuno sia ritenuto idoneo all’episcopato si richiede che sia:

1° distinto per fede salda, buoni costumi, pietà, zelo delle anime e prudenza;

2° di buona reputazione;

non legato da vincolo matrimoniale;

4° almeno di trentacinque anni d’età;

5° costituito nell’ordine del presbiterato almeno da cinque anni;

6° dottore o licenziato o almeno esperto in qualche scienza sacra.”

 

 

 

SACERDOTI E DIACONI

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canoni 762 e 769:

 

Can. 762 – § 1. A suscipiendis ordinibus sacris est impeditus:

1° qui aliqua forma laborat amentiae aliusve infirmitatis psychicae, qua consultis peritis inhabilis iudicatur ad ministerium rite implendum;

2° qui delictum apostasiae, haereseos aut schismatis commisit;

3° qui matrimonium, etiam civile tantum, attentavit, sive ipse vinculo matrimoniali aut ordine sacro aut voto publico perpetuo castitatis a matrimonio celebrando impeditus, sive cum muliere matrimonio valido coniuncta aut eodem voto litigata;

4° qui voluntarium homicidium perpetravit aut abortum procuravit effecto secuto omnesque positive cooperantes;

5° qui se ipsum vel alium graviter et dolose mutilavit vel sibi vitam adimere tentavit;

6° qui actum ordinis posuit in ordine episcopatus vel presbyteratus constitutis reservatum vel eodem carens vel ab eiusdem exercitio aliqua poena canonica prohibitus;

7° qui officiam vel administrationem gerit clericis vetitam, cuius rationem reddere debet, donec deposito officio et administratione atque rationibus redditis liber factus erit;

8° neophytus, nisi iudicio Hierarchae sufficienter probatus est.

§2. Actus, ex quibus impedimenta, de quibus in § 1, nn. 2 – 6 oriri possunt, illa non pariunt, nisi fuerunt peccata gravia et externa post baptismum perpetrata.”

 

Il canone 762 in italiano:

 

Can. 762 – § 1. E’ impedito dal ricevere gli ordini sacri:

1° chi è colpito da qualche forma di demenza o da altra infermità psichica, a motivo della quale è giudicato, dopo aver consultato i periti, inabile a svolgere correttamente il ministero;

2° chi ha commesso il delitto di apostasia, di eresia oppure di scisma;

chi ha attentato il matrimonio, anche solo civile, sia che egli fosse impedito dal celebrare il matrimonio dal vincolo matrimoniale o dall’ordine sacro oppure dal voto pubblico perpetuo di castità, sia con una donna unita da un matrimonio valido oppure legata dallo stesso voto;

4° chi ha commesso omicidio volontario oppure ha procurato un aborto conseguendone l’effetto e tutti coloro che vi hanno cooperato positivamente;

5° chi ha mutilato gravemente e dolosamente se stesso o un altro o che ha tentato di togliersi la vita;

6° chi ha posto un atto di ordine riservato a chi è costituito nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato, o essendone privo o avendo la proibizione di esercitarlo per qualche pena canonica.

7° chi esercita un ufficio o l’amministrazione vietata ai chierici di cui deve rendere conto finché, abbandonato l’ufficio e l’amministrazione e fatto inoltre il rendiconto, sia diventato libero;

8° il neofita, a meno che, a giudizio del Gerarca, sia sufficientemente sperimentato.

§2. Gli atti dai quali possono provenire gli impedimenti di cui nel § 1, nn. 2-6, non producono impedimenti se non sono stati peccati gravi ed esterni commessi dopo il battesimo.”

 

 

 

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 769:

 

Can. 769 – § 1. Auctoritas, quae candidatum ad sacram ordinationem admittit, obtineat:

1° declarationem, de qua in can. 761, necnon testimonium ultimae sacrae ordinationis aut, si de prima sacra ordinatione agitur, etiam testimonium baptismi et chrismationis sancti myri;

2° si candidatus est matrimonio iunctus, testimonium matrimonii et consensum uxoris scripto datum;

3° testimonium de peractis studiis;

4° testimoniales litteras rectoris seminarii vel Superioris instituti vitae consecratae aut presbyteri, cui candidatus extra seminarium commendatus est, de bonis moribus eiusdem candidati;

5° testimoniales litteras, de quibus in can. 771, § 3;

6° testimoniales litteras, si id expedire iudicat, aliorum Episcoporum eparchialium vel Superiorum institutorum vitae consecratae, ubi candidatus per aliquod tempus commoratus est, de candidati qualitatibus deque eius libertate ab omni impedimento canonico.

§2. Haec documenta asserventur in archivo eiusdem auctoritatis.”

 

Il canone 769 in italiano:

 

Can. 769 – § 1. L’autorità che ammette un candidato alla sacra ordinazione, deve ottenere:

1° la dichiarazione di cui nel can. 761, come pure il certificato dell’ultima sacra ordinazione oppure, se si tratta della prima sacra ordinazione, anche il certificato di battesimo e della crismazione del santo myron;

 2° se il candidato è unito in matrimonio, il certificato di matrimonio e il consenso dato per iscritto della moglie;

3° il certificato degli studi compiuti;

4° le lettere testimoniali del rettore del seminario o del Superiore di un istituto di vita consacrata, oppure del presbitero al quale è stato affidato il candidato fuori del seminario, sui buoni costumi dello stesso candidato;

5° le lettere testimoniali di cui nel can. 771, § 3;

6° le lettere testimoniali, se lo giudica opportuno, degli altri Vescovi eparchiali o dei Superiori di istituti di vita consacrata dove il candidato ha dimorato per qualche tempo, sulle qualità del candidato e sulla sua libertà da ogni impedimento canonico.

§2. Questi documenti siano conservati nell’archivio della stessa autorità.”

 

 

 

I RELIGIOSI

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 410:

 

Can. 410 – Status religiosus est stabilis in communi vivendi modus in aliquo instituto ab Ecclesia approbato, quo christifideles Christum, Magistrum et Exemplum Sanctitatis, sub actione Spiritus Sancti pressius sequentes novo ac speciali titulo consecrantur per vota publica oboedientiae, castitatis et paupertatis sub legitimo Superiore ad normam statutorum servanda, saeculo renuntiant ac totaliter se devovent caritatis perfectioni assequendae in servitium Regni Dei pro Ecclesiae aedificatione et mundi salute utpote signa coelestem gloriam praenuntiantia.”

 

Il canone 410 in italiano:

 

Can. 410 – Lo stato religioso è un modo stabile di vivere in comune in un istituto approvato dalla Chiesa, nel quale i fedeli cristiani, seguendo più da vicino Cristo, Maestro ed Esempio di Santità, sotto l’azione dello Spirito Santo, con nuovo e speciale titolo sono consacrati per mezzo dei voti pubblici di obbedienza, castità e povertà da osservare sotto un legittimo Superiore a norma degli statuti, rinunciano al secolo e si dedicano totalmente a conseguire la perfezione della carità al servizio del Regno di Dio per l’edificazione della Chiesa e la salvezza del mondo, come segni che preannunciano la gloria celeste.”

 

 

 

I MONACI

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canoni 450 e 497:

 

“De admissione in monasterium sui iuris et de novitiatu

Can. 450 – Firmis praescriptis typici, quae potiora exigunt, ad novitiatum valide admitti non possunt:

1° acatholici;

2° qui poena canonica puniti sunt exceptis poenis, de quibus in can. 1426, § 1;

3° ii, quibus imminet gravis poena ob delictum, de quo legitime accusati sunt;

4° qui duodevicesimum aetatis annum nondum expleverunt, nisi agitur de monasterio, in quo habetur professio temporaria, quo in casu sufficit aetas septemdecim annorum;

5° qui monasterium ingrediuntur vi, metu gravi aut dolo inducti vel ii, quos Superior eodem modo inductus recipit;

6° coniuges durante matrimonio;

7° qui ligantur vinculo professionis religiosae vel alio sacro vinculo in instituto vitae consecratae, nisi de legitimo transitu agitur.”

 

Il canone 450 in italiano:

 

“L’ammissione nel monastero sui iuris e il noviziato

Can. 450Ferme restando le prescrizioni del tipico che esigano di più, non possono essere ammessi validamente al noviziato:

1° gli acattolici;

2° coloro che sono puniti da pena canonica eccetto le pene di cui nel can. 1426, § 1;

3° coloro su cui pende una grave pena per un delitto del quale sono legittimamente accusati;

4° coloro che non hanno ancora compiuto il diciottesimo anno di età, a meno che non si tratti di un monastero nel quale vi sia la professione temporanea, nel qual caso è sufficiente l’età di diciassette anni;

5° coloro che entrano nel monastero indotti da violenza, da timore grave oppure da dolo, o coloro che il Superiore riceve indotto allo stesso modo;

i coniugi mentre dura il matrimonio;

7° coloro che sono legati dal vincolo della professione religiosa o da altro vincolo sacro in un istituto di vita consacrata, a meno che non si tratti di un passaggio legittimo.”

 

 

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 497:

 

“De dimissione monachorum

Can. 497 – § 1. Ipso iure dimissus a monasterio habendus est sodalis qui:

1° fidem catholicam publice abiecit;

2° matrimonium celebravit vel etiam civiliter tantum attentavit.

§2. His in casibus Superior monasterii sui iuris consulto suo consilio sine mora collectis probationibus declarationem facti emittat, ut iuridice constet de dimissione, atque quam primum de re auctoritatem, cui monasterium immediate subiectum est, certiorem faciat.”

 

Il canone 497 in italiano:

 

“La dimissione dei monaci

Can. 497 – § 1. E’ da ritenere dimesso dal monastero per il diritto stesso il membro che:

1° ha pubblicamente abbandonato la fede cattolica;

ha celebrato o anche solo civilmente attentato il matrimonio.

§2. In questi casi il Superiore del monastero sui iuris, dopo aver consultato il suo consiglio, senza alcun ritardo, raccolte le prove, emetta la dichiarazione del fatto, affinché consti giuridicamente della dimissione, e informi al più presto della cosa l’autorità a cui il monastero è immediatamente soggetto.”

 

 

 

GLI ORDINI E LE CONGREGAZIONI

 

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canoni 504 e 517:

 

“Can. 504 – § 1. Ordo est societas ab auctoritate competenti ecclesiastica erecta, in qua sodales, etsi non sunt monachi, professionem emittunt, quae professioni monasticae aequiparatur.

§2. Congregatio est societas ab auctoritate competenti ecclesiastica erecta, in qua sodales professionem emittunt cum tribus votis publicis oboedientiae, castitatis et paupertatis, quae tamen professioni monasticae non aequiparatur, sed propriam vim habet ad normam iuris.”

 

Il canone 504 in italiano:

 

Can. 504 – § 1. L’ordine è una società eretta dalla competente autorità ecclesiastica, nella quale i membri, pur non essendo monaci, emettono una professione che è equiparata alla professione monastica.

§2. La congregazione è una società eretta dalla competente autorità ecclesiastica, nella quale i membri emettono la professione con i tre voti pubblici di obbedienza, castità e povertà, la quale però non è equiparata alla professione monastica, ma ha una forza propria a norma del diritto.”

 

 

Codice dei canoni delle chiese orientali,

canone 517:

 

“Can. 517 – § 1. Aetas ad validam admissionem in novitiatum ordinis vel congregationis requisita est decimus septimus annus expletus; circa cetera requisita ad admissionem in novitiatum serventur cann. 448, 450, 452 et 454.

§2. Ad novitiatum instituti religiosi alterius Ecclesiae sui iuris nemo licite admitti potest sine licentia Sedis Apostolicae, nisi de candidato agitur, qui destinatus est provinciae vel domui, de qua in can. 432, propriae Ecclesiae.”

 

Il canone 517 in italiano:

 

“Can. 517 – § 1. L’età richiesta per la valida ammissione al noviziato di un ordine o congregazione è il diciasettesimo anno compiuto; a riguardo di tutti gli altri requisiti per l’ammissione al noviziato, si osservino i cann. 448, 450, 452 e 454.

§2. Nessuno può essere ammesso lecitamente al noviziato di un istituto religioso di un’altra Chiesa sui iuris senza la licenza della Sede Apostolica, a meno che non si tratti di un candidato che è destinato a una provincia o casa, di cui nel can. 432, della propria Chiesa.”

 

 

 

[3] Francesco Antonio Grana, 26 ottobre 2019, Sinodo sull’Amazzonia, arriva il sì ai preti sposati. Resta il no alle donne diacono. “Ma il celibato rimane dono di Dio, in: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/26/sinodo-sullamazzonia-arriva-il-si-ai-preti-sposati-no-alle-donne-diacono-ma-il-celibato-resta-dono-di-dio/5534909/

 

Marco Politi, 10 febbraio 2020, Preti sposati, Papa Francesco è nella morsa degli oppositori. E la svolta potrebbe non arrivare, in: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/02/10/preti-sposati-papa-francesco-e-nella-morsa-degli-oppositori-e-la-svolta-potrebbe-non-arrivare/5701604/

 

Redazione, 17 febbraio 2020, Sarà sui migranti il Sinodo del 2022? Mentre il dibattito sui preti sposati non è chiuso, in: http://www.farodiroma.it/sara-sui-migranti-il-sinodo-del-2022-mentre-il-dibattito-sui-preti-sposati-non-e-chiuso/

 

Don Arturo Cattaneo, 1 marzo 2020, Un’opinione sul dibattito sui preti sposati e su un eventuale discussione riguardo all’ordinazione delle donne al presbiterato, in: https://www.catt.ch/newsi/unopinione-sul-dibattito-sui-preti-sposati-e-su-un-eventuale-discussione-riguardo-allordinazione-delle-donne-al-presbiterato/

 

 

 

[4] Vangelo secondo Marco, capitolo 1, versetti 29-31:

 

“[29] E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni.

[30] La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei.

[31] Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli.”

 

 

 

[5] Prima lettera a Timoteo, capitolo 3, versetti 1-7:

 

“[1] È degno di fede quanto vi dico: se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro.

[2] Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare,

[3] non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro.

[4] Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità,

[5] perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?

[6] Inoltre non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo.

[7] È necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo.”

 

 

 

[6] Prima lettera a Timoteo, capitolo 3, versetti 8-13:

 

“[8] Allo stesso modo i diaconi siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto,

[9] e conservino il mistero della fede in una coscienza pura.

[10] Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio.

[11] Allo stesso modo le donne siano dignitose, non pettegole, sobrie, fedeli in tutto.

[12] I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie.

[13] Coloro infatti che avranno ben servito, si acquisteranno un grado onorifico e una grande sicurezza nella fede in Cristo Gesù.”

 

 

 

[7] Lettera a Tito, capitolo 1, versetti 1-6:

 

“[1] Paolo, servo di Dio, apostolo di Gesù Cristo per chiamare alla fede gli eletti di Dio e per far conoscere la verità che conduce alla pietà

[2] ed è fondata sulla speranza della vita eterna, promessa fin dai secoli eterni da quel Dio che non mentisce,

[3] e manifestata poi con la sua parola mediante la predicazione che è stata a me affidata per ordine di Dio, nostro salvatore,

[4] a Tito, mio vero figlio nella fede comune: grazia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù, nostro salvatore.

[5] Per questo ti ho lasciato a Creta perché regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato:

[6] il candidato deve essere irreprensibile, sposato una sola volta, con figli credenti e che non possano essere accusati di dissolutezza o siano insubordinati.”

 

 

 

[8] Enciclopedia Treccani on-line,

voce “celibato” in:

http://www.treccani.it/enciclopedia/celibato/

 

“Nell’antichità l’influsso del concetto religioso secondo il quale il culto dei defunti era necessario alla loro pace ultramondana, donde la necessità di lasciare dietro di sé dei discendenti che perpetuassero questo culto, ispirò al diritto dello Stato, erede del diritto sacro, una politica legislativa in favore del matrimonio e ostile al celibato. A Roma l’avversione al c. è documentata in antico, ma la legislazione rimase sostanzialmente blanda: quella augustea sancì privilegi per i coniugati e per i padri, ma trovò forte ostacolo a essere approvata, e per quanto rimanesse in vigore fino a Costantino non fu mai rigorosamente osservata.

Diversa valenza il c. assume in ambito religioso, quando la castità assoluta è imposta, per ideale ascetico o per motivi rituali, a persone che si trovano in particolare contatto col sacro. Nel cristianesimo primitivo, che presenta l’unione dell’uomo e della donna nel matrimonio come veicolo di grazia e segno mistico dell’unione di Cristo con la sua Chiesa, il c. è proposto come ideale ma non come obbligo per il clero/”>clero, a parte l’esclusione delle seconde nozze (il vescovo, secondo s. Paolo, dev’essere «marito di una sola moglie»).

Il c. ecclesiastico si affermò nei primi anni del 4° sec., quando il Concilio di Elvira (Iliberri, odierna Granada) ordinò a tutti i chierici di astenersi dal matrimonio e dal generare figli, pena la deposizione. La norma fu ratificata, in Occidente, dal papa Siricio nel Concilio romano del 386, quindi da Innocenzo I e da vari Concili (Toledo, 390 e 400, Cartagine e Torino, 401). In Oriente, invece (Concili di Ancira, 314; Nicea, 325; Gangra, circa 350), si ritenne opportuno autorizzare chi non si sentisse di praticare il c. a usare dei diritti coniugali. Altri testi si ispiravano a maggiore severità, per cui, dopo la legislazione giustinianea, la regola del 2° Concilio Trullano (o Sinodo quinisexto, 692) stabilì che ai coniugati non si poteva negare l’ordinazione a suddiacono, diacono o prete, ma vietò il matrimonio dopo l’ordinazione e impose il c. assoluto per i vescovi (generalmente scelti tra i monaci; se sposati, la moglie doveva ritirarsi in un monastero): regola tuttora in vigore nella Chiesa orientale, salvo che fra i copti e gli etiopici, che permettono ai vescovi di tenere le loro mogli.

In Occidente un vero e proprio ripudio del c. ecclesiastico si ebbe soltanto con Lutero, seguito in ciò dagli altri riformatori. In opposizione a tale tendenza, il Concilio di Trento, confermando e chiarendo un decreto di Callisto II (1123), sancì l’invalidità del matrimonio contratto da religiosi di voti solenni e da chierici negli ordini maggiori. Dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa latina ha ribadito l’obbligo del c. per i presbiteri (dal momento dell’ordinazione diaconale) e per i diaconi permanenti, anche di età matura, ma non sposati. La dispensa dal c. sacerdotale, riservata personalmente al papa, è stata regolata dapprima da alcune norme emanate dalla Congregazione per la dottrina della fede (1971) e, in seguito alla loro revisione e verifica, da nuovi criteri fissati da Giovanni Paolo II (1980).”

 

 

 

[9] Alfredo Saccardo, Il concilio di Elvira del 305, in:

http://www.smseurope.org/SCIENZEFEDI/SeF_ALFREDO/elvira305.htm

 

“II concilio spagnolo di Elvira, città dell’Andalusia nei pressi di Granada, ha una straordinaria importanza. È uno dei primi concili della Chiesa. Contiene canoni disciplinari e si svolge quando non c’è ancora libertà di professare pubblicamente la fede.

Ha un numero così elevato di canoni (81) da superare qualsiasi altro concilio del IV secolo, compreso quello ecumenico di Nicea del 325.

Non è un concilio che vuole risolvere problemi dogmatici, ma solo disciplinari.

Questo concilio ci permette di conoscere l’estensione del cristianesimo in Spagna e la severità di una disciplina che susciterà vivaci polemiche.

Certamente all’inizio del IV secolo il cristianesimo è già fiorente in Spagna, tanto che tutte le sei province hanno le loro chiese, anche se non tutte sono presenti ad Elvira.

È assente la chiesa della Mauritania Tingitana.

Sono presenti 19 vescovi: il più famoso è Osio di Cordova perché, consigliere dell’imperatore Costantino, parteciperà al concilio ecumenico di Nicea e a quello di Sardica. Osio rappresenta insomma un valido collegamento fra la chiesa d’occidente e quella d’oriente.

Il concilio di Elvira è così importante che alcuni suoi canoni saranno riportati e ripresi nei concili di Arles del 314, di Nicea del 315, di Sardica del 343.

I canoni disciplinari del concilio di Elvira, espressi con semplicità e chiarezza, sono severissimi.

Certi peccati, elencati in alcuni canoni (1, 2, 8, 10, 12, 17, 19, 71, 75), escludono perfino la comunione finale (nec in fine dandam esse communionem).

Non ci soffermiamo sul significato di simili terribili condanne: all’inizio del IV secolo è in atto una tremenda persecuzione nell’impero romano per cui molti cristiani vacillano, altri abiurano… si affermano le prime eresie che minano l’autentica dottrina di Cristo: forse per questo i vescovi presenti ad Elvira sono così severi.

Anche il can. 33 propugna una pena severa per chi trasgredisce ciò che il canone proibisce“Placuit in totum prohiberi episcopis, presbyteris et diaconibus, vel omnibus clericis positis in ministerio, abstinere se a coniugibus suis, et non generare fìlios: quicumque vero fecerit ab honore clericatus exterminetur” (Mansi II, 11). “Noi decidiamo di proibire ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi e a tutti coloro che sono impegnati nel ministero, di astenersi del tutto dalle proprie mogli e di non generare figli: chiunque lo farà, sarà eliminato dal clero”.

Il senso ed il contenuto del canone sono precisi e chiari: SI PROIBISCE LA TOTALE ASTENSIONE DALLE SPOSE E DI NON GENERARE FIGLI!

Ma dopo parecchi secoli, storici e teologi tradurranno il canone capovolgendone il senso, affermando che ad Elvira si è ORDINATA l’astensione dalle mogli proibendo i rapporti coniugali ai chierici.

Con questa arbitraria affermazione si è calpestato il significato letterale del canone che presenta una straordinaria difesa dei diritti naturali dei vescovi, dei preti, dei diaconi, diritti che si trasformeranno, nei secoli, in doveri di astensione per motivi più o meno inconsci di purità rituale e sacrale, assenti del tutto nell’insegnamento di Cristo e degli Apostoli e di inequivocabile provenienza giudaico-pagana.

  1. Tutti i concili della prima metà del IV secolo (compreso quello ecumenico di Nicea) non accennano ad obblighi di continenza sacrale e rituale per il clero. Anzi! Sia a Nicea con Pafnuzio, sia a Gangra si afferma il rispetto per il clero coniugato e convivente con le spose. A Nicea nel 325 e a Sardica nel 343 è presente il vescovo spagnolo Osio, uno dei protagonisti del concilio di Elvira.
  2. Data la presenza nella chiesa, fin dai primi secoli, di eresie manichee, gnostiche e altre minori, tutte contrarie in qualche modo all’attività sessuale anche nel matrimonio, è più che logico che un concilio importante come quello di Elvira si pronunci con forza e durezza contro quelle idee che stavano infiltrandosi anche nella chiesa spagnola e che incriminavano il sacrosanto diritto naturale dell’attività matrimoniale dei fedeli e soprattutto dei ministri della chiesa.
  3. Imerio, vescovo spagnolo di Tetragona, nella seconda metà del IV secolo, chiede lumi a Roma riguardo a varie questioni disciplinari della chiesa spagnola, fra le quali la continenza e la vita coniugale del clero. Ciò dimostra che i ministri della chiesa vivevano regolarmente con le mogli. Ma proprio in quegli anni si diffondevano in Spagna le idee priscilliane di stampo manicheo e nemiche dichiarate dell’attività sessuale matrimoniale del clero.
  4. Ciò spiega l’interrogazione pressante fatta in proposito al papa, domanda che sarebbe stata superflua se il concilio di Elvira avesse perentoriamente stabilito la continenza del clero alcuni decenni prima.
  5. La risposta di papa Siricio ad Imerio nel 385 (Mansi III, 655-662), contraria all’attività sessuale (ma non al matrimonio) del clero, è forse suggerita da S. Girolamo, consigliere del papa e assertore della continenza assoluta dei ministri ecclesiastici. Il responso pontifìcio non accenna minimamente al can. 33 di Elvira, che poteva avallare le tesi puriste di Siricio, se avesse proibito i rapporti del clero spagnolo con le mogli.
  6. I Padri della chiesa, propugnatori della continenza sacrale dei ministri, non citano assolutamente il can. 33 di Elvira che, per la sua antichità e severità, avrebbe potuto rappresentare un argomento solido a favore della continenza del clero, se avesse espresso ordini di stampo purista.
  7. Nei secoli XI e XII, in cui si lotta per riformare il clero corrotto e concubino, si citano parecchi concili di epoche precedenti per sostenere la necessità della continenza del clero, ma quello di Elvira mai. Per la sua forza e per essere stato il primo concilio occidentale con canoni disciplinari, sarebbe stato citato ben volentieri se avesse ordinato la continenza del clero.
  8. La celebre ”Storia dei concili”di Hefele-Leclercq, che commenta il can. 33 di Elvira in chiave purista, aggiunge che la stesura del canone è “difettosa”, quindi non attendibile. Questo probabilmente perché il canone non dice quello che si vorrebbe dicesse.
  9. Se il can. 33 del concilio di Elvira avesse voluto stabilire l’obbligo dell’astensione dei ministri sacri dalle loro mogli, sarebbe stato redatto come il can. 61 dello stesso concilio che dice: “…placuit abstinere a…”.Il can. 33 invece dice: “…placuit prohiberi abstinere se a… Insomma nel can. 61 si ordina di astenersi da…, mentre nel can. 33 si proibisce di astenersi da…
  10. Secondo i puristi, il can. 33 proibirebbe i rapporti con le spose anche ai chierici di grado inferiore (omnibus clericis positisin ministerio)Ma la continenza ai suddiaconi viene imposta per la prima volta da papa Leone Magno nel V secolo, per cui è assurdo che ad Elvira, 150 anni prima, fossero obbligati alla continenza i semplici chierici, inferiori ai suddiaconi.
  11. La storica medioevale G. Rossetti, in uno studio sul matrimonio del clero nell’Alto Medioevo (Il Matrimonio nella società A. Medioevale, XXIV1 Spoleto, 1977)è del parere che il can. 33 di Elvira dica quello che letteralmente afferma: la difesa dei diritti coniugali del clero.
  12. Lo storico di Lovanio M. Meigne, sostenendo la tesi che probabilmente il can. 33 di Elvira farebbe parte di una collezione di canoni del IV secolo (per la somiglianza con canoni del concilio di Gangra e con alcuni canoni degli Apostoli della II metà del IV secolo), non fa altro che affermare, con dovizia di argomenti storici comparati, l’interpretazione letterale del can. 33 di Elvira.
  13. Ecco le testuali parole del Meigne: “Il senso del canone che si ricava dal contesto storico, è esattamente contrario a quello purista abitualmente attribuitogli. Gli autori del can. 33 non si proponevano di consigliare, incoraggiare, ordinare l’astinenza coniugale ai chierici, ma prendevano la difesa del diritto coniugale e del diritto naturale (rifiutato dagli eretici) di generare figli, contro la novità di un falso ascetismo“(M. Meigne in Révue d’Histoire Ecclesiastique 70, Lovain, 1975, p. 361-387).
  14. Pio XI nell’enciclica “Ad catholici sacerdotii” del 1935 e l’Enciclopedia Cattolica vol. 5 pag. 267, sembrano copiarsi a vicenda: “La prima traccia scritta della legge del celibato si riscontra nel can. 33 del concilio di Elvira…”(anche Paolo VI nella “Sacerdotalis coelibatus” dice le stesse cose). Ma ad Elvira si afferma tutto il contrario: né continenza, né celibato, il quale verrà imposto come legge nella chiesa latina solo con il concilio Lateranense del 1139.
  15. Sono così numerosi gli storici, i teologi, i giuristi, i testi enciclopedici italiani ed europei che considerano ancora oggi il can. 33 come inizio della legge del celibato ecclesiastico, da rimanere allibiti.
  16. Oltre a Pio XI e Paolo VI, anche il Denzinger con il celebre “Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum”è convinto che “proibire di astenersi dalle spose…  significa “ordinare di astenersi dalle spose…con buona pace della lingua latina e dei vescovi spagnoli del IV secolo, che non meritavano certo di venire banalmente fraintesi su un argomento così importante.”

 

 

 

[10] Codice di diritto canonico,

canone 336:

 

“Can. 336 – Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane ininterrottamente il corpo apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo capo, è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale.”

 

 

 

 

[11] Il testo di questo articolo pubblicato il 1° giugno 2020 conteneva le parole: “Di conseguenza, devono essere tutte abrogate”.

Il 15 settembre 2021 ho corretto questa frase nel modo seguente: “Di conseguenza, vanno considerate tutte quante come se non ci fossero (“tamquam non essent”).”

La contrarietà di qualsiasi affermazione alla parola di Dio, infatti, non necessita di un atto di abrogazione, ma rende l’affermazione stessa inesistente.

Questo perché – lo ripeto ancora una volta – Dio non è un teologo particolarmente versato al quale possono contrapporsi le affermazioni di altri teologi ugualmente capaci.

Se il Nuovo Testamento afferma più volte e inequivocabilmente che chi ha il sacerdozio ministeriale sia sposato una sola volta, abbia figli e sappia governare bene la sua famiglia, qualsiasi tesi contraria non può soppiantare il dato inequivocabile della Scrittura.

Nessuna affermazione umana, infatti, può stare alla pari, superare o contraddire la parola di Dio.

 

 

 

[12] Decreto del concilio Vaticano II Presbyterorum ordinis,

numero 16, in:

http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19651207_presbyterorum-ordinis_it.html

 

Il celibato

  1. La perfetta e perpetua continenza per il regno dei cieli, raccomandata da Cristo Signore (124) nel corso dei secoli e anche ai nostri giorni gioiosamente abbracciata e lodevolmente osservata da non pochi fedeli, è sempre stata considerata dalla Chiesa come particolarmente confacente alla vita sacerdotale. Essa è infatti segno e allo stesso tempo stimolo della carità pastorale, nonché fonte speciale di fecondità spirituale nel mondo (125). Essa non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente se si pensa alla prassi della Chiesa primitiva (126) e alla tradizione delle Chiese orientali, nelle quali, oltre a coloro che assieme a tutti i vescovi scelgono con l’aiuto della grazia il celibato, vi sono anche degli eccellenti presbiteri coniugati: per questo il nostro sacro Sinodo, nel raccomandare il celibato ecclesiastico, non intende tuttavia mutare quella disciplina diversa che è legittimamente in vigore nelle Chiese orientali, anzi esorta amorevolmente tutti coloro che hanno ricevuto il presbiterato quando erano nello stato matrimoniale a perseverare nella santa vocazione, continuando a dedicare pienamente e con generosità la propria vita per il gregge loro affidato (127).

Il celibato, comunque, ha per molte ragioni un rapporto di convenienza con il sacerdozio. Infatti la missione sacerdotale è tutta dedicata al servizio della nuova umanità che Cristo, vincitore della morte suscita nel mondo con il suo Spirito, e che deriva la propria origine « non dal sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma da Dio» (Gv 1,13). Ora, con la verginità o il celibato osservato per il regno dei cieli (128), i presbiteri si consacrano a Dio con un nuovo ed eccelso titolo, aderiscono più facilmente a lui con un cuore non diviso (129) si dedicano più liberamente in lui e per lui al servizio di Dio e degli uomini, servono con maggiore efficacia il suo regno e la sua opera di rigenerazione soprannaturale, e in tal modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo.

In questo modo, pertanto, essi proclamano di fronte agli uomini di volersi dedicare esclusivamente alla missione di fidanzare i cristiani con lo sposo unico e di presentarli a Cristo come vergine casta (130) evocando così quell’arcano sposalizio istituito da Dio, e che si manifesterà pienamente nel futuro per il quale la Chiesa ha come suo unico sposo Cristo (131). Essi inoltre diventano segno vivente di quel mondo futuro, presente già attraverso la fede e la carità, nel quale i figli della risurrezione non si uniscono in matrimonio (132).

Per questi motivi – fondati sul mistero di Cristo e della sua missione – il celibato, che prima veniva raccomandato ai sacerdoti, in seguito è stato imposto per legge nella Chiesa latina a tutti coloro che si avviano a ricevere gli ordini sacri. Questo sacro Sinodo torna ad approvare e confermare tale legislazione per quanto riguarda coloro che sono destinati al presbiterato, avendo piena certezza nello Spirito che il dono del celibato, così confacente al sacerdozio della nuova legge, viene concesso in grande misura dal Padre, a condizione che tutti coloro che partecipano del sacerdozio di Cristo con il sacramento dell’ordine, anzi la Chiesa intera, lo richiedano con umiltà e insistenza. Il sacro Sinodo esorta inoltre tutti i presbiteri, i quali hanno liberamente abbracciato il sacro celibato seguendo l’esempio di Cristo e confidando nella grazia di Dio, ad aderirvi generosamente e cordialmente e a perseverare fedelmente in questo stato, sapendo apprezzare il dono meraviglioso che il Padre ha loro concesso e che il Signore ha così esplicitamente esaltato (133) e avendo anche presenti i grandi misteri che in esso sono rappresentati e realizzati. E al mondo di oggi, quanto più la perfetta continenza viene considerata impossibile da tante persone, con tanta maggiore umiltà e perseveranza debbono i presbiteri implorare assieme alla Chiesa la grazia della fedeltà che mai è negata a chi la chiede. Ricorrano allo stesso tempo ai mezzi soprannaturali e naturali che sono a disposizione di tutti. E soprattutto non trascurino quelle norme ascetiche che sono garantite dalla esperienza della Chiesa e che nelle circostanze odierne non sono meno necessarie.

Questo sacro Sinodo prega perciò i sacerdoti –  e non solo essi, ma anche tutti i fedeli – di avere a cuore il dono prezioso del celibato sacerdotale, e di supplicare tutti Iddio affinché lo conceda sempre abbondantemente alla sua Chiesa.”

 

Note presenti nel testo ora citato

 

“(124) Cf. Mt 19,12.

 

(125) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 42: AAS 57 (1965), pp. 47-49 [pag. 219ss].

 

(126) Cf. 1 Tm 3,2-5; Tt 1,6.

 

(127) Cf. PIO XI, Encicl. Ad catholici sacerdotii, 20 dic. 1935: AAS 28 (1936), p. 28.

 

(128) Cf. Mt 19,12.

 

(129) Cf. 1 Cor 7,32-34.

 

(130) Cf. 2 Cor 11,2.

 

(131) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 42 e 44: AAS 57 (1965), pp. 47-49 e 50-51 [pag. 219ss e 227ss]; Decr. sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis, n. 12 [pag. 423ss].

 

(132) Cf. Lc 20,35-36; PIO XI, Encicl. Ad catholici sacerdotii, 20 dic. 1935: AAS 28 (1936), pp. 24-28; PIO XII, Encicl. Sacra Virginitas, 25 marzo 1954: AAS 46 (1954), pp. 169-172.

 

(133) Cf. Mt 19,11.”

 

 

 

[13] Catechismo della chiesa cattolica,

numero 1580:

 

“1580 Nelle Chiese Orientali, da secoli, è in vigore una disciplina diversa: mentre i vescovi sono scelti unicamente fra coloro che vivono nel celibato, uomini sposati possono essere ordinati diaconi e presbiteri. Tale prassi è da molto tempo considerata come legittima; questi presbiteri esercitano un ministero fruttuoso in seno alle loro comunità [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 16]. D’altro canto il celibato dei presbiteri è in grande onore nelle Chiese Orientali, e numerosi sono i presbiteri che l’hanno scelto liberamente, per il Regno di Dio. In Oriente come in Occidente, chi ha ricevuto il sacramento dell’Ordine non può più sposarsi.”

 

 

 

[14] Il testo di questo articolo pubblicato il 1° giugno 2020 conteneva le parole: “devono essere tutte abrogate”.

Il 15 settembre 2021 ho corretto questa frase nel modo seguente: “vanno considerate tutte quante come se non ci fossero (“tamquam non essent”)”.”

Per la motivazione di questa correzione, si veda la nota numero 11.

 

 

 

[15] Prima lettera ai corinzi, capitolo 7, versetti 1-40:

 

“[1] Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna;

[2] tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito.

[3] Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito.

[4] La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie.

[5] Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione.

[6] Questo però vi dico per concessione, non per comando.

[7] Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro.

[8] Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io;

[9] ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere.

[10] Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito –

[11] e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito – e il marito non ripudi la moglie.

[12] Agli altri dico io, non il Signore: se un nostro fratello ha la moglie non credente e questa consente a rimanere con lui, non la ripudi;

[13] e una donna che abbia il marito non credente, se questi consente a rimanere con lei, non lo ripudi:

[14] perché il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi.

[15] Ma se il non credente vuol separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a servitù; Dio vi ha chiamati alla pace!

[16] E che sai tu, donna, se salverai il marito? O che ne sai tu, uomo, se salverai la moglie?

[17] Fuori di questi casi, ciascuno continui a vivere secondo la condizione che gli ha assegnato il Signore, così come Dio lo ha chiamato; così dispongo in tutte le chiese.

[18] Qualcuno è stato chiamato quando era circonciso? Non lo nasconda! È stato chiamato quando non era ancora circonciso? Non si faccia circoncidere!

[19] La circoncisione non conta nulla, e la non circoncisione non conta nulla; conta invece l’osservanza dei comandamenti di Dio.

[20] Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato.

[21] Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; ma anche se puoi diventare libero, profitta piuttosto della tua condizione!

[22] Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore, è un liberto affrancato del Signore! Similmente chi è stato chiamato da libero, è schiavo di Cristo.

[23] Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini!

[24] Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato.

[25] Quanto alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia.

[26] Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa della presente necessità, di rimanere così.

[27] Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna? Non andare a cercarla.

[28] Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele.

[29] Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero;

[30] coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero;

[31] quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!

[32] Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore;

[33] chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie,

[34] e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito.

[35] Questo poi lo dico per il vostro bene, non per gettarvi un laccio, ma per indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti al Signore senza distrazioni.

[36] Se però qualcuno ritiene di non regolarsi convenientemente nei riguardi della sua vergine, qualora essa sia oltre il fiore dell’età, e conviene che accada così, faccia ciò che vuole: non pecca. Si sposino pure!

[37] Chi invece è fermamente deciso in cuor suo, non avendo nessuna necessità, ma è arbitro della propria volontà, ed ha deliberato in cuor suo di conservare la sua vergine, fa bene.

[38] In conclusione, colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio.

[39] La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché ciò avvenga nel Signore.

[40] Ma se rimane così, a mio parere è meglio; credo infatti di avere anch’io lo Spirito di Dio.”

 

 

 

[16] Il fatto che i versetti 17, 20 e 24 del capitolo 7 della prima lettera ai corinzi si riferiscano alle persone che conducono vita laicale consacrata è dimostrato dalle parole “Fuori di questi casi” all’inizio del versetto 17 con le quali si fa riferimento ai casi trattati dall’inizio del capitolo 7, vale a dire le vicende che riguardano marito e moglie.

 

 

 

[17] Il testo di questo articolo pubblicato il 1° giugno 2020 conteneva le parole: “e vanno modificate.”.

Il 15 settembre 2021 ho corretto questa frase nel modo seguente: “e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).”.

La contrarietà di qualsiasi affermazione alla parola di Dio, infatti, non necessita di un atto di abrogazione, ma rende l’affermazione stessa inesistente.

Questo perché – lo ripeto ancora una volta – Dio non è un teologo particolarmente versato al quale possono contrapporsi le affermazioni di altri teologi ugualmente capaci.

Se il Nuovo Testamento non prevede alcun obbligo di castità, celibato, nubilato, verginità consacrata per i fedeli che non hanno il sacerdozio ministeriale e lascia la condizione relazionale di ogni persona chiamata alla vita laicale consacrata alla scelta che Dio fa di chiamarla prima o dopo che questa si sia sposata e abbia avuto dei figli, qualsiasi tesi contraria non può soppiantare il dato inequivocabile della Scrittura.

Nessuna affermazione umana, infatti, può stare alla pari, superare o contraddire la parola di Dio.

 

 

Le citazioni sono state verificate alla data di pubblicazione di questo articolo sul sito www.giorgiocannella.com