Modifiche al processo di esecuzione

[1]Ecco la mia proposta di modifiche da apportare al processo di esecuzione.[2]

L’obiettivo è quello di assicurare la certezza delle transazioni economiche di qualsiasi genere (del commercio, del lavoro, della finanza, et cetera) tramite una procedura amica dell’utente (user friendly).

 

 

L’esecuzione forzata inizia in forza di un titolo esecutivo.

Il titolo esecutivo è solo quello al quale la legge dello Stato attribuisce questa qualifica.

Chi aziona il titolo esecutivo sottopone a pignoramento i beni del debitore.

Il pignoramento impone un vincolo di indisponibilità sui beni da esso staggiti.

Il pignoramento viene eseguito dall’ufficiale giudiziario fino al raggiungimento del credito azionato aumentato della metà.

Dell’eseguito pignoramento viene data notizia al debitore e agli eventuali terzi nei cui confronti il debitore ha dei crediti o che sono in possesso di cose del debitore o che vantano diritti su uno o più dei beni pignorati tramite posta elettronica ordinaria e tramite sms ai recapiti che ogni soggetto, persona fisica o giuridica riconosciuta o meno, ha comunicato al database a tal fine tenuto dal Ministero della Giustizia.

La mancata comunicazione o la non correttezza di uno o di entrambi i recapiti di cui al periodo precedente non impedisce il prosieguo dell’esecuzione forzata.

La comunicazione dell’eseguito pignoramento contiene:

  • l’allegazione integrale del titolo esecutivo in copia autenticata dal difensore del creditore o da un pubblico ufficiale;
  • in alternativa all’allegazione integrale del titolo esecutivo, è possibile scrivere il collegamento internet al quale il titolo esecutivo è integralmente disponibile e scaricabile;
  • la descrizione dei beni e/o dei diritti sottoposti a pignoramento;
  • la possibilità offerta al debitore di indicare specificamente altri beni perché vengano sottoposti a pignoramento in sostituzione totale o parziale dei beni già staggiti;
  • la possibilità offerta al debitore di chiedere il sequestro ex art. 687 c.p.c. “Casi speciali di sequestro”[3] dei beni sottoposti a

Le possibilità di cui al periodo precedente vanno esercitate entro il termine perentorio di tre giorni dalla data dell’ultima comunicazione al debitore della notizia dell’eseguito pignoramento.

In caso di mancata comunicazione o di non correttezza di entrambi i recapiti per la comunicazione al debitore dell’eseguito pignoramento, i tre giorni di cui al periodo precedente decorrono dalla data in cui il pignoramento è stato eseguito.

Fino al passaggio in archivio del fascicolo del processo dell’esecuzione forzata, il creditore, direttamente o per interposta persona, non può acquistare diritti, obblighi, situazioni di fatto sui beni sottoposti a pignoramento. Qualsiasi atto compiuto in violazione di una o più delle disposizioni del periodo precedente è nullo – vale a dire privo di effetti fin dalla sua origine – in modo insanabile.

La scelta da parte del debitore di chiedere l’immediato sequestro ex art. 687 c.p.c. “Casi speciali di sequestro” dei beni sottoposti a pignoramento implica l’inizio dell’opposizione all’esecuzione. L’opposizione di cui al periodo precedente si svolge in via esclusiva secondo il rito ordinario di cognizione descritto nell’articolo “Un nuovo rito ordinario di cognizione”.[4]

Il rito ordinario di cognizione di cui al periodo precedente si applica in via esclusiva anche per l’opposizione a uno o più atti dell’esecuzione, per le opposizioni in materia di lavoro di previdenza e di assistenza, per le opposizioni di terzi.

Non è ammesso un rito diverso per l’opposizione all’esecuzione e per qualsiasi altra opposizione.

Ferma restando l’applicazione della normativa vigente, l’avere agito con dolo da parte di uno qualsiasi dei soggetti dell’esecuzione forzata implica l’automatica interdizione di ogni autore del fatto doloso da ogni professione, industria, arte, commercio, mestiere per la durata di tre anni e la nullità insanabile di qualsiasi obbligazione contratta dall’autore del fatto durante il medesimo arco di tempo.

Ai fini di efficienza e speditezza dell’azione amministrativa e di svolgimento del processo di esecuzione secondo il termine di durata ragionevole, un atto compiuto e/o depositato oltre il termine perentorio è inesistente.

L’istituto della spedizione in forma esecutiva è abrogato e sostituito dall’attestazione da parte del difensore del creditore di mancata impugnazione del titolo esecutivo.

L’istituto del precetto è abrogato.

Nel processo di esecuzione forzata, il domicilio legale del creditore, del debitore, dei creditori iscritti, dei creditori intervenuti, dell’opponente e di ogni altro soggetto della procedura è costituito dai recapiti che ogni soggetto, persona fisica o giuridica riconosciuta o meno, ha comunicato al database a tal fine tenuto dal Ministero della Giustizia.

Le parole “ad un sesto” di cui all’art. 495, c. 2, c.p.c. sono sostituite dalle parole “alla metà”.

Le parole “quarantotto mesi” di cui all’art. 495, c. 4, c.p.c. sono sostituite dalle parole “dodici mesi”.

L’istituto del termine dilatorio del pignoramento è abrogato.

All’art. 545 c.p.c. sono aggiunti altri tre commi con il seguente testo[5]:

  • I crediti verso i terzi a qualsiasi titolo vantati dalle imprese e dai liberi professionisti iscritti nei rispettivi albi professionali o comunque muniti di partita i.v.a. non possono essere sottoposti a vincolo di indisponibilità per una misura eccedente il quinto per il pagamento di qualsiasi tipo di tributi, imposte e tasse.
  • Il vincolo di indisponibilità eseguito sulle somme di cui al comma precedente in violazione del limite previsto dallo stesso è inefficace per l’importo eccedente il quinto. L’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio.
  • Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge.

L’istituto dell’istanza di vendita è abrogato.

Il deposito del pignoramento in Tribunale ha il valore di istanza di vendita dei beni pignorati rivolta al Giudice dell’esecuzione.

Le norme di legge e di regolamento configgenti con le disposizioni di questa legge sono abrogate.

Le disposizioni di questa legge si applicano ai procedimenti di esecuzione forzata incardinati a partire dalla data di entrata in vigore di questa legge.

Questa legge entra in vigore il quindicesimo giorno dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.

 

 

Vi ringrazio per il vostro tempo e per la vostra attenzione.

 

 

NOTE A PIE’ DI PAGINA

[1] Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista on-line Vaglio Magazine n. 5 del dicembre 2020. L’articolo è visionabile al seguente collegamento:

https://www.vagliomagazine.it/modifiche-al-processo-di-esecuzione/

L’articolo in formato .pdf è disponibile a questo indirizzo internet: 

https://vagliomagazine.it/pdf/vagliomagazine_05_cannella.pdf   

 

[2] Regio Decreto 28 ottobre 1940, numero 1443, “Codice di procedura civile” e successive modificazioni, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia, numero 253 del 28 ottobre 1940, da qui in poi c.p.c.

Libro III – Del processo di esecuzione

Articoli 474 -632 c.p.c.

 

[3] L’art. 687 c.p.c. afferma:

“Art. 687. (Casi speciali di sequestro).

Il giudice può ordinare il sequestro delle somme o delle cose che il debitore ha offerto o messo comunque a disposizione del creditore per la sua liberazione, quando è controverso l’obbligo o il modo del pagamento o della consegna, o l’idoneità della cosa offerta.”

 

[4] https://giorgiocannella.com/index.php/2018/12/09/nuovo-rito-ordinario-di-cognizione/

 

[5] https://giorgiocannella.com/index.php/2019/03/22/modifica-articolo-545-cpc/

 

Le note sono state verificate il 27 novembre 2020: data di invio di questo articolo alla redazione della rivista on-line Vaglio Magazine.

La media-conciliazione efficace

Gli organi di stampa danno notizia della proposta di ampliare il novero delle materie nelle quali l’esperimento della media-conciliazione è un requisito per la procedibilità della domanda in sede giudiziale civile.[1]

A oggi, la mancata partecipazione senza giustificato motivo al primo incontro della media-conciliazione è sanzionata con il fatto che il Giudice potrà trarne argomenti di prova nel successivo giudizio e con il pagamento di un importo di denaro pari a quello previsto per il contributo unificato.[2] [3]

Immaginate quale può essere l’efficacia deterrente di questa sanzione, ad esempio, nei confronti di una banca.

 

Un inasprimento della sanzione per la mancata partecipazione alla media-conciliazione obbligatoria non sarebbe utile per accrescerne il successo nella deflazione del numero delle cause civili pendenti.

Infatti, per vanificare il tutto sarebbe sufficiente che la parte meno diligente entrasse in mediazione per fare una proposta talmente abnorme da essere inaccettabile per la contro parte.

L’obbligo di riservatezza che la legge prevede per le dichiarazioni rese e per le informazioni acquisite in mediazione impedirebbe di dare qualsiasi rilievo giuridico a questo tipo di condotta.[4]

 

Dunque, come far sì che la media-conciliazione obbligatoria abbia un reale effetto deflattivo sul numero delle cause civili pendenti?

Penso che questo effetto possa ottenersi modificando l’articolo 5 del testo che disciplina la media-conciliazione obbligatoria[5] – il decreto legislativo 4 marzo 2010, numero 28 – secondo i seguenti punti:

  • 1° qualora la media-conciliazione obbligatoria abbia esito negativo, la controversia può essere devoluta unicamente a un arbitrato amministrato che si svolge in base a un regolamento nel quale siano previsti fin dall’inizio, tra l’altro, la sua durata massima, il suo costo complessivo e la mancata percezione del compenso da parte degli arbitri se non pronunceranno il lodo entro la durata massima prestabilita;
  • 2° possono essere arbitri nell’arbitrato di cui al 1° punto solamente dei professionisti del diritto che non siano dipendenti pubblici, a pena di nullità del lodo arbitrale e dei danni;
  • 3° il lodo pronunciato ai sensi del 1° punto ha l’efficacia della sentenza di primo grado esecutiva;
  • 4° l’appello contro il lodo pronunciato ai sensi del 1° punto è regolato dalle norme di cui al Libro IV, Titolo VIII, Capo V del codice di procedura civile (gli articoli 827-831) ed è devoluto al Tribunale ordinario in composizione monocratica;
  • 5° il provvedimento che definisce il giudizio di appello di cui al 4° punto può essere impugnato unicamente in Cassazione secondo le norme di cui al Libro II, Titolo III, Capo III del codice di procedura civile (gli articoli 360-394).

 

La modifica di legge corrispondente al 1° punto è necessaria per ottemperare all’articolo 25, comma 1, della Costituzione che afferma: “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”.

La modifica di legge corrispondente al 2° punto è necessaria per ottemperare all’articolo 98, comma 1, della Costituzione che recita: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”.

 

Le modifiche di legge contenute nei punti sopra elencati avranno un rilevante effetto deflattivo sul numero delle cause civili pendenti, perché incideranno sull’atteggiamento psicologico che la parte meno diligente ha nei confronti della media-conciliazione.

Oggi la parte meno diligente non ha un forte incentivo a trovare una soluzione alla lite in fase di media-conciliazione perché sa che l’esito negativo di quest’ultima porta alla instaurazione di un giudizio civile che giunge a una sentenza definitiva dopo molti anni.

Al contrario, con le modifiche di legge sopra elencate, la parte meno diligente avrà interesse a trovare una composizione della lite in sede di media-conciliazione perché saprà che l’esito negativo di quest’ultima porterà a un giudizio arbitrale che si concluderà in tempi brevi e con un lodo con il valore di una sentenza di primo grado esecutiva.

 

In conclusione, l’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, numero 28, va modificato nel modo seguente (le modifiche sono in grassetto):

 

“1-bis. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero i procedimenti previsti dal decreto legislativo  8 ottobre 2007, n. 179, e dai rispettivi regolamenti di attuazione ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 187-ter del Codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, per le materie ivi regolate. Qualora la media-conciliazione obbligatoria abbia esito negativo, la controversia può essere devoluta unicamente a un arbitrato amministrato che si svolge in base a un regolamento nel quale siano previsti fin dall’inizio, tra l’altro, la sua durata massima, il suo costo complessivo e la mancata percezione del compenso da parte degli arbitri se non pronunceranno il lodo entro la durata massima prestabilita. Nell’arbitrato di cui al periodo precedente, possono essere arbitri solamente dei professionisti del diritto che non siano dipendenti pubblici, a pena di nullità del lodo arbitrale e dei danni. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda in sede arbitrale. A decorrere dall’anno 2018, il Ministro della giustizia riferisce annualmente alle Camere sugli effetti prodotti e sui risultati conseguiti dall’applicazione delle disposizioni del presente comma.  L’improcedibilità deve essere eccepita da una o più parti o rilevata d’ufficio da uno o più componenti del collegio arbitrale, a pena di decadenza, non oltre il giorno di inizio del procedimento arbitrale. Qualora venga rilevato che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, il collegio arbitrale fissa il prosieguo dell’arbitrato dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo il collegio arbitrale provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il periodo di tempo dal giorno in cui è stata rilevata l’improcedibilità per mancato esperimento della mediazione, o è stata rilevata la pendenza di quest’ultima, fino alla data fissata per il prosieguo dell’arbitrato non si conta nella durata massima del procedimento arbitrale. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.

 

  2. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il collegio arbitrale, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda in sede arbitrale. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima della chiusura della istruzione probatoria nel procedimento arbitrale. Il collegio arbitrale fissa la data del prosieguo dell’arbitrato dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il periodo di tempo dal giorno in cui è stato disposto l’esperimento del procedimento di mediazione fino alla data fissata per il prosieguo dell’arbitrato viene contato nella durata massima del procedimento arbitrale.

 

  2-bis. Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda in sede arbitrale, la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo o senza un rinvio per il prosieguo della mediazione.

 

  3. Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda in sede arbitrale. Il lodo pronunciato ai sensi del comma 1-bis ha l’efficacia della sentenza di primo grado esecutiva. L’appello contro il lodo pronunciato ai sensi del comma 1-bis è regolato dalle norme di cui al Libro IV, Titolo VIII, Capo V del codice di procedura civile ed è devoluto al Tribunale ordinario in composizione monocratica. Il provvedimento che definisce il giudizio di appello di cui al periodo precedente può essere impugnato unicamente in Cassazione secondo le norme di cui al Libro II, Titolo III, Capo III del codice di procedura civile.

 

  4. I commi 1-bis e 2 non si applicano:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;

c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile;

d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;

e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;

f) nei procedimenti in camera di consiglio;

g) nell’azione civile esercitata nel processo penale;

 

  5. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis, dal comma 2 e dal comma 3 e salvo quanto disposto dal comma 4, se il contratto, lo statuto ovvero l’atto costitutivo dell’ente prevedono una clausola di mediazione o conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il collegio arbitrale, su eccezione di una o più parti o d’ufficio, a pena di decadenza, non oltre il giorno di inizio del procedimento arbitrale assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa, la data per il prosieguo dell’arbitrato dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo il collegio arbitrale fissa la data per il prosieguo dell’arbitrato quando la mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi. Il periodo di tempo dal giorno in cui è stato rilevato il mancato esperimento della mediazione, o è stata rilevata la pendenza di quest’ultima, fino alla data fissata per il prosieguo dell’arbitrato non si conta nella durata massima del procedimento arbitrale. La domanda è presentata davanti all’organismo indicato dalla clausola, se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti ad un altro organismo iscritto, fermo il rispetto del criterio di cui all’articolo 4, comma 1. In ogni caso, le parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto o all’atto costitutivo, l’individuazione di un diverso organismo iscritto.

 

  6. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo.”

 

Vi ringrazio per il vostro tempo e per la vostra attenzione.

 

 

NOTE A PIE’ DI PAGINA

[1] Ermes Antonucci, Salvare la giustizia con le mediazioni. Appunti per Cartabia, Il Foglio, 17 marzo 2021, in:

https://www.ilfoglio.it/giustizia/2021/03/17/news/salvare-la-giustizia-con-le-mediazioni-appunti-per-cartabia-2038771/

“Occorre evitare il disastro, dunque, soprattutto se si considera che già da anni ormai l’Italia è fanalino di coda delle classifiche internazionali sull’efficienza della giustizia civile. I fondi previsti dal Recovery Plan rappresentano un’opportunità unica per rilanciare il settore e per Cartabia una delle priorità sarà costituita dal rafforzamento delle misure alternative di risoluzione delle controversie, come mediazione, negoziazione e conciliazione: “E’ un dato di esperienza consolidata che le forme alternative di risoluzione producano effetti virtuosi sull’amministrazione della giustizia. Tutt’altro che alternative, queste forme rivestono un ruolo di complementarietà e di coesistenza”, ha dichiarato Cartabia.”.

 

 

Liana Milella, Il piano della ministra Cartabia: “Accelerare i tempi della giustizia senza dividersi in Parlamento”, la Repubblica, 15 marzo 2021, in:

https://www.repubblica.it/politica/2021/03/15/news/cartabia_accelerare_i_tempi_della_giustizia_senza_dividersi_in_parlamento_-292388497/

“Per la giustizia civile Cartabia propone un ricorso più massiccio agli strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie, la mediazione, la negoziazione, la conciliazione che, come dimostra l’esempio di altri Paesi, “producono effetti virtuosi di alleggerimento dell’amministrazione della giustizia”. 

 

 

Giuseppe Pipitone, Cartabia: “Non vanificare il lavoro svolto dal precedente governo. Ci sono lacune sulle attività di lobbying e sul conflitto d’interessi”, il Fatto Quotidiano, 15 marzo 2021, in:

 https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/15/cartabia-non-vanificare-il-lavoro-svolto-dal-precedente-governo-ci-sono-lacune-sulle-attivita-di-lobbying-e-il-conflitto-dinteressi/6127462/

“Il tema della durata dei procedimenti è fondamentale non solo sul fronte penale ma soprattutto su quello civile: in questo senso Cartabia ha lanciato una sorta di allarme. “Le soluzioni negoziali si renderanno tanto più necessarie nel contesto attuale in cui gli effetti economici della pandemia stanno determinando grandi squilibri: la giustizia preventiva e consensuale rappresenterà una strada necessaria per la possibile esplosione del contezioso, quando cesseranno gli effetti dei provvedimenti che bloccano sfratti e licenzimenti. Occorre prepararsi per tempo”, ha avvertito la ministra che si è detta favorevole a misure alternative di risoluzione delle controversie, come mediazione, negoziazione e conciliazione: “Strumenti dotati di un grande potezianale, in particolare nel nostro ordinamento. E’ un dato di esperienza consolidata che le forme alternative di risoluzione producano effetti virtuosi sull’ammstrazione della giustizia. Tutt’altro che alternative, queste forme rivestono un ruolo di complementarietà e di coesistenza”. Secondo Cartabia “è tempo di ripensare il rapporto tra processo davanti al giudice e strumenti di mediazione, offrendo anche la giudice la possibilità di incoraggiare misure alternative, attraverso musure premiali”.”

 

 

[2] “Il contributo unificato è un tributo che deve pagare colui che intraprende una causa civile, amministrativa o di lavoro, se non è in possesso dei requisiti che gli consentono di accedere al gratuito patrocinio.”. Cito da:

https://www.laleggepertutti.it/284936_contributo-unificato-cose#:~:text=Il%20contributo%20unificato%20%C3%A8%20un,di%20accedere%20al%20gratuito%20patrocinio.

 

 

[3] Decreto Legislativo 4 marzo 2010, numero 28, articolo 8 “Procedimento”, comma 4-bis:

“4-bis. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.”

 

 

[4] Decreto Legislativo 4 marzo 2010, numero 28, articolo 9 “Dovere di riservatezza”:

“1.  Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo.

  1. Rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti.”

 

 

[5] Il testo attualmente in vigore dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, numero 28, è il seguente (cito dal sito www.normattiva.it):

 

“Art. 5

       Condizione di procedibilita’ e rapporti con il processo

 

  1. Chi intende esercitare in giudizio un’azione  relativa  ad  una

controversia in materia  di  condominio,  diritti  reali,  divisione,

successioni  ereditarie,  patti  di  famiglia,  locazione,  comodato,

affitto  di  aziende,  risarcimento   del   danno   derivante   dalla

circolazione di veicoli e natanti, da  responsabilita’  medica  e  da

diffamazione  con  il  mezzo  della  stampa  o  con  altro  mezzo  di

pubblicita’, contratti assicurativi, bancari e finanziari, e’  tenuto

preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del

presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal

decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179,  ovvero  il  procedimento

istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo  unico  delle

leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto  legislativo

1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie

ivi  regolate.  L’esperimento  del  procedimento  di  mediazione   e’

condizione    di    procedibilita’    della    domanda    giudiziale.

L’improcedibilita’ deve essere eccepita  dal  convenuto,  a  pena  di

decadenza, o rilevata d’ufficio  dal  giudice,  non  oltre  la  prima

udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione e’ gia’ iniziata, ma

non si e’ conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza  del

termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo  provvede  quando  la

mediazione non e’ stata  esperita,  assegnando  contestualmente  alle

parti il termine  di  quindici  giorni  per  la  presentazione  della

domanda di mediazione. Il presente comma non si applica  alle  azioni

previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del  consumo  di

cui al decreto legislativo 6 settembre 2005,  n.  206,  e  successive

modificazioni. (3)

  1-bis. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a  una

controversia in materia  di  condominio,  diritti  reali,  divisione,

successioni  ereditarie,  patti  di  famiglia,  locazione,  comodato,

affitto   di   aziende,   risarcimento   del   danno   derivante   da

responsabilita’ medica e sanitaria e da  diffamazione  con  il  mezzo

della  stampa  o  con   altro   mezzo   di   pubblicita’,   contratti

assicurativi,   bancari   e   finanziari,   e’   tenuto,    assistito

dall’avvocato,  preliminarmente  a  esperire   il   procedimento   di

mediazione ai  sensi  del  presente  decreto  ovvero  i  procedimenti

previsti dal decreto legislativo  8  ottobre  2007,  n.  179,  e  dai

rispettivi regolamenti di attuazione ovvero il procedimento istituito

in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico  delle  leggi  in

materia bancaria e  creditizia  di  cui  al  decreto  legislativo  1°

settembre  1993,  n.  385,  e  successive  modificazioni,((ovvero  il

procedimento istituito in attuazione dell’articolo 187-ter del Codice

delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre

2005, n. 209,))  per  le  materie  ivi  regolate.  L’esperimento  del

procedimento di mediazione  e’  condizione  di  procedibilita’  della

domanda giudiziale. A decorrere dall’anno  2018,  il  Ministro  della

giustizia riferisce annualmente alle Camere sugli effetti prodotti  e

sui risultati conseguiti  dall’applicazione  delle  disposizioni  del

presente  comma.  L’improcedibilita’   deve   essere   eccepita   dal

convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non

oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che  la  mediazione  e’

gia’ iniziata, ma non si e’ conclusa,  fissa  la  successiva  udienza

dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso  modo

provvede quando la  mediazione  non  e’  stata  esperita,  assegnando

contestualmente alle parti il  termine  di  quindici  giorni  per  la

presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma  non  si

applica alle azioni previste dagli articoli 37,  140  e  140-bis  del

codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n.

206, e successive modificazioni.(4) (6) ((8))

  1. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo  quanto  disposto

dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di  giudizio  di  appello,

valutata la  natura  della  causa,  lo  stato  dell’istruzione  e  il

comportamento  delle   parti,   puo’   disporre   l’esperimento   del

procedimento  di  mediazione;  in   tal   caso,   l’esperimento   del

procedimento di mediazione  e’  condizione  di  procedibilita’  della

domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di  cui

al periodo precedente e’ adottato prima dell’udienza di  precisazione

delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non e’ prevista,  prima

della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza

dopo la scadenza del termine di  cui  all’articolo  6  e,  quando  la

mediazione non e’ gia’ stata avviata,  assegna  contestualmente  alle

parti il termine  di  quindici  giorni  per  la  presentazione  della

domanda di mediazione.(4)

  2-bis. Quando  l’esperimento  del  procedimento  di  mediazione  e’

condizione di procedibilita’ della domanda giudiziale  la  condizione

si considera avverata se il primo incontro dinanzi  al  mediatore  si

conclude senza l’accordo.(4)

  1. Lo svolgimento della mediazione non preclude in  ogni  caso  la

concessione  dei  provvedimenti   urgenti   e   cautelari,   ne’   la

trascrizione della domanda giudiziale.

  1. I commi 1-bis e 2 non si applicano:
  2. a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino

alla pronuncia sulle  istanze  di  concessione  e  sospensione  della

provvisoria esecuzione;

  1. b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino  al

mutamento del rito di cui all’articolo 667 del  codice  di  procedura

civile;

  1. c) nei procedimenti di consulenza  tecnica  preventiva  ai  fini

della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice

di procedura civile;

  1. d) nei  procedimenti  possessori,  fino   alla   pronuncia   dei

provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo  comma,  del  codice  di

procedura civile;

  1. e) nei procedimenti di opposizione o incidentali  di  cognizione

relativi all’esecuzione forzata;

  1. f) nei procedimenti in camera di consiglio;
  2. g) nell’azione civile esercitata nel processo penale; (4)
  3. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo  quanto  disposto

dai  commi  3  e  4,  se  il  contratto,  lo  statuto  ovvero  l’atto

costitutivo  dell’ente  prevedono  una  clausola  di   mediazione   o

conciliazione e il tentativo  non  risulta  esperito,  il  giudice  o

l’arbitro, su  eccezione  di  parte,  proposta  nella  prima  difesa,

assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione

della domanda di mediazione e fissa la  successiva  udienza  dopo  la

scadenza del termine di cui  all’articolo  6.  Allo  stesso  modo  il

giudice o l’arbitro fissa la successiva udienza quando la  mediazione

o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma  non  conclusi.  La

domanda e’ presentata davanti all’organismo indicato dalla  clausola,

se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti  ad  un  altro

organismo  iscritto,  fermo  il  rispetto   del   criterio   di   cui

all’articolo 4, comma 1. In ogni caso, le parti  possono  concordare,

successivamente al contratto o allo statuto o  all’atto  costitutivo,

l’individuazione di un diverso organismo iscritto.(4)

  1. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di

mediazione produce  sulla  prescrizione  gli  effetti  della  domanda

giudiziale. Dalla stessa data, la  domanda  di  mediazione  impedisce

altresi’ la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce

la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo  termine

di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo

11 presso la segreteria dell’organismo.

 

————-

AGGIORNAMENTO (3)

  La Corte Costituzionale, con sentenza 24 ottobre 2012 – 6  dicembre

2012, n. 272 (in G.U. 1a  s.s.  12/12/2012,  n.  49),  ha  dichiarato

“l’illegittimita’  costituzionale  dell’articolo  5,  comma  1,   del

decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo  60

della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,  in  materia  di  mediazione

finalizzata  alla   conciliazione   delle   controversie   civili   e

commerciali)”.

  Ha inoltre dichiarato “in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27

della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul

funzionamento   della   Corte    costituzionale),    l’illegittimita’

costituzionale: […] b) dell’art. 5, comma  2,  primo  periodo,  del

detto decreto legislativo, limitatamente alle  parole  «Fermo  quanto

previsto dal comma 1 e», c) dell’art. 5, comma 4, del  detto  decreto

legislativo, limitatamente alle parole «I commi 1 e»; d) dell’art. 5,

comma 5 del detto  decreto  legislativo,  limitatamente  alle  parole

«Fermo quanto previsto dal comma 1 e»”.

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AGGIORNAMENTO (4)

  Il D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con  modificazioni  dalla

  1. 9 agosto 2013, n. 98 ha disposto (con l’art. 84, comma 2) che ” Le

disposizioni di cui al comma 1 si  applicano  decorsi  trenta  giorni

dall’entrata in  vigore  della  legge  di  conversione  del  presente

decreto.”

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AGGIORNAMENTO (6)

  Il D.Lgs. 6 agosto 2015, n. 130 ha disposto (con l’art. 2, comma 1)

che “Le disposizioni del presente decreto,  concernenti  l’attuazione

del regolamento  (UE)  n.  524/2013  del  Parlamento  europeo  e  del

Consiglio, del  21  maggio  2013,  relativo  alla  risoluzione  delle

controversie online dei consumatori, si applicano a decorrere  dal  9

gennaio 2016″.

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AGGIORNAMENTO (8)

  Il D.Lgs. 21 maggio 2018, n. 68 ha disposto (con l’art. 4, comma 7)

che “Le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 del presente  decreto

legislativo trovano applicazione dal 1° ottobre 2018, conformemente a

quanto previsto dalla direttiva (UE) 2018/411 del Parlamento  europeo

e del Consiglio, che modifica la direttiva (UE)  2016/97  per  quanto

riguarda la data di applicazione delle misure  di  recepimento  degli

Stati membri”.”

 

Le citazioni sono state verificate alla data di pubblicazione di questo articolo sul sito https://giorgiocannella.com/

 

Modifica dell’articolo 3 del Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150

Un’ordinanza del Tribunale di Torino del 21 gennaio 2015 afferma che il ricorso ex art. 702-bis c.p.c. va dichiarato inammissibile tutte le volte in cui il cliente-resistente contesti l’an della pretesa creditoria vantata dall’avvocato-ricorrente.

 

L’art. 34, c. 16, del D. Lgs. 150/2011 ha abrogato gli articoli 29 e 30 della legge 794/1942 e ha sostituito l’art. 28 della stessa legge come segue:

  • Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, se non intende seguire il procedimento di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150.”.

 

L’art. 14 del D. Lgs. 150/2011 recita:

  • Le controversie previste dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e l’opposizione proposta a norma dell’articolo 645 del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo.
  • È competente l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera. Il tribunale decide in composizione collegiale.
  • Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente.
  • L’ordinanza che definisce il giudizio non e’ appellabile.”.

 

In base alla normativa vigente, questo conduce a un caso di denegata giustizia.

Spiego questa affermazione con due esempi.

 

PRIMA SITUAZIONE: DECRETO INGIUNTIVO

Un avvocato chiede e ottiene un decreto ingiuntivo per il pagamento della propria prestazione professionale nei confronti del suo cliente.

Il cliente vuole contestare l’an della pretesa creditoria dell’avvocato sostenendo, ad esempio, che quest’ultimo ha già percepito alcuni compensi dal cliente dei quali non ha tenuto conto, oppure che l’avvocato ha agito in giudizio senza produrre adeguata documentazione a sostegno della domanda e per questo motivo il cliente è stato condannato alle spese processuali.

In quale rito giudiziale il cliente potrà svolgere la propria contestazione ora descritta ?

 

Non nell’opposizione al decreto ingiuntivo ex art. 645 c.p.c., perché, in questo caso, essa è regolata dal rito sommario di cognizione ex art. 14, c. 1, del D. Lgs. 150/2011 e l’ordinanza del Tribunale di Torino del 21 gennaio 2015 giustamente afferma che il rito sommario di cognizione non è compatibile con l’indagine di merito sull’an della pretesa creditoria.

 

Non a seguito della conversione del rito sommario – in cui viene trattata questa opposizione al decreto ingiuntivo in base all’art. 14 citato – in rito ordinario, perché la conversione in parola è proibita dall’art. 3, c. 1, del D. Lgs.150/2011 che recita:

  • Nelle controversie disciplinate dal Capo III, non si applicano i commi secondo e terzo dell’articolo 702-ter del codice di procedura civile.

 

Non nell’ambito di un’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., perché essa verrebbe necessariamente incardinata dopo che il decreto ingiuntivo è divenuto non impugnabile ed esecutivo e, dunque, non potrebbe intaccare la pretesa creditoria in esso contenuta.

 

Infine, l’ipotesi di un autonomo giudizio di accertamento della non debenza della somma non è praticabile perché, come è noto, la mancata opposizione al decreto ingiuntivo nelle forme e nei modi previsti dalla legge lo rende non più impugnabile e apre la strada all’apposizione sullo stesso della formula esecutiva.

 

CONCLUSIONE: DENEGATA GIUSTIZIA

Il cliente, quindi, si troverebbe di fronte all’impossibilità di far valere la sua contestazione dell’an della pretesa creditoria azionata dall’avvocato con un decreto ingiuntivo.

Questo rappresenterebbe un caso di denegata giustizia rilevante, sia per l’art. 111 della Costituzione della Repubblica italiana, sia per l’articolo 6 “Diritto a un equo processo” della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali.

 

SECONDA SITUAZIONE: ART. 702-BIS C.P.C.

Un identico problema di denegata giustizia si verificherebbe nel caso in cui l’avvocato proponga un ricorso ex art. 702-bis c.p.c. per la liquidazione della propria prestazione professionale.

Infatti, in base all’ordinanza del Tribunale di Torino già citata, la costituzione in giudizio del cliente che contesti l’an della pretesa creditoria dell’avvocato conduce alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Di conseguenza, visto l’art. 28 della legge 794/1942, all’avvocato non resterebbe che chiedere e ottenere un decreto ingiuntivo contro il suo cliente.

Le conseguenze e l’esito finale sarebbero quelle che abbiamo illustrato nella prima situazione.

 

FORZATURA DEL DATO NORMATIVO

La proposta di modifica che trovate in fondo al testo si rivela ancor più urgente se consideriamo le recenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione nelle quali, con una evidente forzatura del procedimento sommario di cognizione come delineato dal legislatore, si afferma che:

  • Le controversie per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti dell’avvocato nei confronti del proprio cliente previste dall’articolo 28 della l. n. 794 del 1942 – come risultante all’esito delle modifiche apportategli dall’art. 34 del d.lgs. n. 150 del 2011 e dell’abrogazione degli artt. 29 e 30 della medesima legge – devono essere trattate con la procedura prevista dall’art. 14 del menzionato d.lgs. n. 150, anche ove la domanda riguardi l’”an” della pretesa, senza possibilità, per il giudice adito, di trasformare il rito sommario in ordinario, ovvero di dichiarare l’inammissibilità della domanda.” (Cass., sez. VI civile, sent. 08.03.2017, n. 5843, che cita al suo interno il precedente costituito da Cass., sez. VI civile, 29.02.2016, n. 4002; conforme Cass., sez. II civile, 17.05.2017, n. 12411; il sottolineato è mio).

L’ordinanza del Tribunale di Torino del 21 gennaio 2015 menzionata all’inizio e che allego in fondo al testo cita le sentenze della stessa Cassazione e della Corte Costituzionale che ostano a questa forzatura del dato normativo.

 

PROPOSTA

Per questi motivi, propongo di modificare il comma 1 dell’articolo 3 del Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150, aggiungendo le seguenti parole:

“Questa norma non si applica alle controversie previste dall’articolo 14 di questo decreto.”.

 

Vi ringrazio per il vostro tempo e per la vostra attenzione.

 

Trib. Torino – ord. 21.01.2015

Cass. sent. n. 5843 del 2017

 

Le citazioni sono state verificate alla data di pubblicazione di questo articolo sul sito www.giorgiocannella.com

Modifica dell’articolo 545 c.p.c.

Nella procedura di espropriazione presso terzi, l’articolo 545 c.p.c.[1] “Crediti impignorabili”, nei suoi commi 7, 8 e 9, prevede il limite del quinto per la pignorabilità degli stipendi e delle pensioni.

I commi in parola sono stati aggiunti nel 2015[2].

La norma prevede anche la parziale inefficacia del pignoramento eventualmente eseguito oltre i limiti previsti.

 

I commi 7, 8 e 9 dell’articolo 545 c.p.c. bilanciano due interessi contrapposti:

  • l’interesse del creditore a essere pagato
  • e l’interesse dello stipendiato o del pensionato ad avere una somma di denaro sufficiente al sostentamento proprio e delle persone eventualmente a suo carico.

 

In un periodo di crisi economica come quello attuale, questo discorso si arricchisce di ulteriori considerazioni in tema di tutela delle fasce sociali più deboli.

 

Tuttavia, un identico bilanciamento di interessi non è ancora previsto per le imprese e i liberi professionisti.

Questo vuoto normativo comporta due problemi.

 

1° PROBLEMA

Innanzitutto, l’assenza del limite del quinto – nel pignoramento dei crediti che le imprese e liberi professionisti vantano verso i terzi – implica che l’agente delegato alla riscossione dei tributi possa pignorare anche il 100% dei crediti in parola.

La conseguenza è che l’impresa o il libero professionista si trovano a non avere più la liquidità necessaria per pagare le loro utenze (luce, gas, telefono) e gli stipendi dei lavoratori che con essi collaborano.

L’esito finale è la cessazione dell’attività commerciale e professionale con la conseguente creazione di nuovi disoccupati.

Sono certo che questo non è nell’interesse del nostro Paese, ancor più in un momento di crisi economica come questo !

 

Inoltre, sono frequenti i casi nei quali il denaro e i beni dell’impresa fallita non sono sufficienti a soddisfare l’intero credito vantato dall’agente delegato alla riscossione dei tributi, men che meno i crediti vantati dai creditori chirografari.

Al contrario, il limite del quinto nella pignorabilità dei crediti verso i terzi consentirebbe alle imprese e ai liberi professionisti di evitare il fallimento per “asfissia creditizia” e di proseguire la loro attività.

 

In questo modo, la Pubblica Amministrazione:

  • eviterebbe i costi economici e sociali conseguenza della creazione di nuovi disoccupati,
  • potrebbe anche contare su un ulteriore gettito fiscale
  • e su una maggiore probabilità di vedere soddisfatti i suoi crediti fiscali.

 

Il prosieguo dell’attività economica, infatti, consentirebbe alle imprese e ai liberi professionisti di generare altro fatturato.

Da esso deriverebbero un nuovo gettito fiscale e dei nuovi crediti verso i terzi che l’agente delegato alla riscossione dei tributi potrebbe pignorare.

 

2° PROBLEMA

In secondo luogo, l’assenza del limite del quinto – nella pignorabilità dei crediti che le imprese e i liberi professionisti vantano verso i terzi – comporta la diffusione di una cultura di autentica avversione nei confronti della legge e delle istituzioni.

 

Agli occhi di imprenditori, lavoratori e liberi professionisti, infatti, la legge, l’Agenzia delle Entrate e l’agente delegato alla riscossione dei tributi sono dei nemici che cercano di condurre l’impresa o lo studio professionale alla chiusura.

Nulla di meglio per accrescere la cultura dell’evasione fiscale intesa come rimedio legittimo contro una Pubblica Amministrazione vista come una nemica !

Le ristrettezze che contraddistinguono l’attuale crisi economica, poi, fanno il resto.

 

Sono convinto che le tasse non siano facoltative e che la legge non sia un consiglio amichevole.

Tuttavia, non penso che la cultura della legalità e della giustizia fiscale nel nostro Paese possano essere incrementate – mi si passi il termine un po’ forte – “strangolando” il contribuente.

 

PROPOSTA

In conclusione, sulla scia della modifica intervenuta nel 2015, è necessario aggiungere all’art. 545 c.p.c. altri tre commi con il seguente contenuto:

 

“I crediti verso i terzi a qualsiasi titolo vantati dalle imprese e dai liberi professionisti iscritti nei rispettivi albi professionali o comunque muniti di partita i.v.a. non possono essere pignorati per una misura eccedente il quinto per il pagamento di qualsiasi tipo di tributi, imposte e tasse.

Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al comma precedente in violazione del limite previsto dallo stesso è inefficace per l’importo eccedente il quinto. L’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio.

Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge.”.

 

Vi ringrazio per il vostro tempo e per la vostra attenzione.

 

NOTE A PIE’ DI PAGINA

[1] Codice di procedura civile della Repubblica italiana Regio Decreto 28 ottobre 1940, numero 1443.

[2] Dall’articolo 13 del decreto legge 27 giugno 2015, numero 83, convertito in legge con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, numero 132.

 

Le citazioni sono state verificate alla data della pubblicazione di questo articolo sul sito www.giorgiocannella.com

Un nuovo rito ordinario di cognizione

Ecco la mia proposta di legge per riformare il rito ordinario di cognizione di primo e di secondo grado del codice di procedura civile italiano[1].

 

Gli avvocati delle parti comunicano tra loro per iscritto per rappresentare le ragioni dei loro clienti, scambiarsi documenti e richieste, tentare di giungere a una transazione.

Il dialogo per iscritto termina quando uno degli avvocati delle parti decide di incardinare il giudizio depositando il proprio atto introduttivo.

Entro il termine perentorio di 5 giorni dal deposito dell’atto introduttivo, esso va notificato alle altre parti assieme alla prova del suo avvenuto deposito.

Entro il termine perentorio di 30 giorni dalla scadenza del termine per notificare l’atto introduttivo, le contro-parti depositano la propria comparsa di costituzione e risposta.

Entro il termine perentorio di 5 giorni dalla scadenza del termine per depositare la comparsa di costituzione e risposta, ognuna di esse è notificata alle altre parti.

Entro il termine perentorio di 10 giorni dalla scadenza del termine per depositare la comparsa di costituzione e risposta, il giudice concede un termine perentorio per lo svolgimento dell’attività istruttoria chiesta dalle parti negli atti che hanno già depositato.

All’infuori del caso in cui il giudice decida di avvalersi della consulenza tecnica d’ufficio, l’attività istruttoria è svolta dalle parti nel modo seguente.

Durante il termine assegnato per lo svolgimento dell’attività istruttoria, ogni parte deposita le proprie prove e replica a quelle depositate dalle altre parti.

Le eventuali prove orali sono assunte secondo l’articolo 257-bis c.p.c. “Testimonianza scritta”[2], sia per la deposizione, sia per le domande delle controparti.

Allo scadere del termine concesso per lo svolgimento dell’attività istruttoria, ogni parte ha un termine perentorio di 30 giorni per depositare la propria comparsa conclusionale e un ulteriore termine perentorio di 30 giorni dalla scadenza del termine per il deposito della comparsa conclusionale per depositare la propria memoria di replica.

Allo scadere del termine per il deposito delle memorie di replica, il giudice ha un termine perentorio di 30 giorni per depositare la sentenza.

Ai fini di efficienza e speditezza dell’azione amministrativa e di svolgimento del processo secondo il termine di durata ragionevole, un atto di parte o un provvedimento del giudice compiuto e/o depositato oltre il termine perentorio è inesistente.

Il compimento e/o il deposito di un atto oltre il termine perentorio è fonte di responsabilità civile per gli eventuali danni a chiunque causati, è fonte di responsabilità disciplinare per l’avvocato, è inserito nella scheda di valutazione della professionalità dei magistrati.

Al fine di garantire lo svolgimento del processo, il deposito e/o il compimento di un atto da parte del giudice oltre il termine perentorio comporta la sostituzione del giudice secondo l’articolo 79 delle Disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile “Sostituzione del giudice istruttore”[3].

Per il giudice nominato nei modi di cui al comma precedente, il termine perentorio per depositare l’atto non adottato dal precedente giudice entro il termine previsto decorre dal giorno di comunicazione del provvedimento di nomina. 

Lo stesso rito ora descritto si applica anche in grado di appello.

Le norme di legge e di regolamento configgenti con le disposizioni di questa legge sono abrogate.

Le disposizioni di questa legge si applicano ai procedimenti incardinati a partire dalla data di entrata in vigore di questa legge.

Questa legge entra in vigore il quindicesimo giorno dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.

 

Vi ringrazio per il vostro tempo e per la vostra attenzione.

 

NOTE A PIE’ DI PAGINA

[1] Regio Decreto 28 ottobre 1940, numero 1443, “Codice di procedura civile” e successive modificazioni.

Da qui in poi, c.p.c.

 

[2] L’articolo 257-bis c.p.c. afferma:

“Il giudice, su accordo delle parti, tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, può disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone, anche nelle ipotesi di cui all’articolo 203, di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato.

Il giudice, con il provvedimento di cui al primo comma, dispone che la parte che ha richiesto l’assunzione predisponga il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi e lo faccia notificare al testimone.

Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione.

Il testimone sottoscrive la deposizione apponendo la propria firma autenticata su ciascuna delle facciate del foglio di testimonianza, che spedisce in busta chiusa con plico raccomandato o consegna alla cancelleria del giudice.

Quando il testimone si avvale della facoltà d’astensione di cui all’articolo 249, ha l’obbligo di compilare il modello di testimonianza, indicando le complete generalità e i motivi di astensione.

Quando il testimone non spedisce o non consegna le risposte scritte nel termine stabilito, il giudice può condannarlo alla pena pecuniaria di cui all’articolo 255, primo comma.

Quando la testimonianza ha ad oggetto documenti di spesa già depositati dalle parti, essa può essere resa mediante dichiarazione sottoscritta dal testimone e trasmessa al difensore della parte nel cui interesse la prova è stata ammessa, senza il ricorso al modello di cui al secondo comma.

Il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato.”.

 

[3] Regio Decreto 18 dicembre 1941, numero 1368, “Disposizioni per l’attuazione del Codice di procedura civile e disposizioni transitorie” e successive modificazioni.

Da qui in poi, disp. att. c.p.c.

L’art. 79 disp. att. c.p.c. afferma:

“La sostituzione del giudice istruttore nei casi previsti nell’articolo 174 del codice è disposta d’ufficio o su istanza di parte.

L’istanza è proposta con ricorso al presidente del tribunale, il quale provvede con decreto designando altro giudice della stessa sezione.

L’istanza e il decreto sono inseriti nel fascicolo d’ufficio.”.

 

Le citazioni sono state verificate alla data di pubblicazione di questo articolo sul sito www.giorgiocannella.com