La certezza dei pagamenti dovuti ai prestatori d’opera intellettuale

L’articolo 36, comma 1, della Costituzione italiana afferma che:

“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.”.[1]

La parola “lavoratore” dell’articolo 36, comma 1 ora citato non comprende solo gli operai, gli impiegati, i quadri e i dirigenti, ma anche i liberi professionisti, gli artigiani e i commercianti.[2]

 

Proposta

Al fine di dare attuazione all’articolo 36 comma 1 della Costituzione italiana nei pagamenti dovuti ai prestatori d’opera intellettuale, nella legge 21 aprile 2023 n. 49 “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali” è aggiunto l’articolo 12-bis con il seguente testo.

 

Articolo 12-bis La certezza dei pagamenti dovuti ai prestatori d’opera intellettuale

1 – Questo articolo si applica a tutti i rapporti professionali, senza alcuna eccezione, aventi a oggetto la prestazione d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 del codice civile.

2 – Il prestatore d’opera intellettuale può presentare in banca il documento di avvenuto conferimento dell’incarico da parte del suo cliente e la banca è tenuta a trasferire sul conto corrente del prestatore d’opera intellettuale una somma di denaro pari al parametro medio tra minimo e massimo previsto dalla tariffa professionale per l’incarico conferito.

3 – Nel caso in cui il conto corrente del cliente sia attivo presso una banca diversa dalla banca del prestatore d’opera intellettuale, la somma di denaro dovuta dal cliente va portata nella camera di compensazione delle operazioni tra banche.

4 – Se il cliente del prestatore d’opera intellettuale non ha un conto corrente oppure se il conto corrente del cliente è incapiente, il conferimento dell’incarico è titolo idoneo per iniziare l’esecuzione forzata mobiliare e/o immobiliare nei confronti del cliente.

5 – Il cliente può contestare la debenza o l’ammontare del pagamento entro il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione a lui inviata dalla sua banca. A tal fine la banca può utilizzare sms e/o e-mail.

6 – La contestazione del cliente importa l’automatico assoggettamento della somma – maggiorata del cinquanta per cento – al sequestro di cui all’articolo 687 “Casi speciali di sequestro” del codice di procedura civile presso la banca dove il conto del cliente è attivo.

7 – La violazione dell’obbligo di custodia della somma importa la responsabilità della banca per l’intero ammontare della somma sottoposta a sequestro.

8 – Al momento della definizione della controversia tra cliente e prestatore d’opera intellettuale, il sequestro decade automaticamente e la somma viene trasferita in base a quanto risulta nel provvedimento che definisce la controversia.

9 – Se il provvedimento che definisce la controversia non si pronuncia sulla debenza della somma per mancata attività delle parti secondo gli articoli 309 e 181 del codice di procedura civile e/o per altra causa, la somma viene automaticamente e interamente trasferita sul conto corrente del prestatore d’opera intellettuale.

10 – Salve le ulteriori sanzioni previste dalla legge, la frode commessa nella presentazione alla banca del documento di avvenuto conferimento dell’incarico di cui al comma 3 o la frode commessa nell’avvio dell’esecuzione forzata di cui al comma 4 comporta in ogni caso la sanzione disciplinare della radiazione dell’autore della frode e di tutti coloro che vi hanno consapevolmente concorso dall’albo professionale. Salve le ulteriori sanzioni previste dalla legge, i casi di frode di cui al periodo precedente possono essere segnalati al Prefetto da parte di qualsiasi interessato o conosciuti dal Prefetto d’ufficio e comportano la comminazione da parte del Prefetto della sanzione amministrativa non pecuniaria della interdizione perpetua dell’autore della frode e di tutti coloro che vi hanno consapevolmente concorso dalla professione oggetto dell’incarico.

11 – Considerato che questo articolo 12-bis è attuazione dell’articolo 36 comma 1 della Costituzione, considerato che l’articolo 36 della Costituzione è in vigore dal 1° gennaio 1948, considerato che nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale l’articolo 36 comma 1 della Costituzione non è facoltativo,

  • per gli incarichi di prestazione d’opera intellettuale di cui al testo dell’articolo 2 “Ambito di applicazione” della legge 21 aprile 2023 n. 49, questo articolo 12-bis si applica agli incarichi di prestazione d’opera intellettuale conferiti a partire dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana della legge che introduce l’articolo 12-bis nella legge 21 aprile 2023 n. 49;
  • per tutti gli incarichi di prestazione d’opera intellettuale diversi da quelli di cui all’alinea precedente, questo articolo 12-bis si applica a partire dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana della legge che introduce l’articolo 12-bis nella legge 21 aprile 2023 n. 49 agli incarichi di prestazione d’opera intellettuale entro il termine di prescrizione triennale di cui agli articoli 2956 e 2957 del codice civile.

12 – A decorrere dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana della legge che introduce questo articolo 12-bis nella legge 21 aprile 2023 n. 49, gli articoli 1 e 2, dal 4 al 7 e gli articoli 10 e 11 della legge 21 aprile 2023 n. 49 sono abrogati.

13 – La legge che introduce questo articolo 12-bis nella legge 21 aprile 2023 n. 49 entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.

 

NOTE A PIE’ DI PAGINA

[1] Si veda https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:costituzione:1947-12-27~art36#:~:text=Art.,lavorativa%20e’%20stabilita%20dalla%20legge.

 

[2] Il “lavoro consiste nell’esplicazione di energie fisiche o intellettuali che una persona (prestatore di lavoro, lavoratore, locatore di opere) pone a servizio di un’altra persona (imprenditore o altro datore di lavoro, conduttore di opere). L’uno e l’altro lavoro, quello fisico e quello intellettuale, sono riguardati e tutelati dal diritto del lavoro.

In ogni caso il lavoro consiste in un’attività, non mai in una limitazione dell’attività della persona, come può sembrare nei casi in cui il lavoro consiste nella semplice attesa o nella custodia, poiché è sempre necessario un impiego di energie, che è in sé utile alla persona per cui viene compiuto (faciendi necessitas).”

 

Francesco Santoro-Passarelli, Nozioni di diritto del lavoro, trentacinquesima edizione, Napoli, 1995, paragrafo 29 Nozione del lavoro in senso stretto.

 

Le citazioni sono state verificate alla data di pubblicazione di questo articolo sul sito www.giorgiocannella.com

Democrazia sì, populismo no

 

Alcuni si chiedono se sia giusto ammettere dei non addetti ai lavori a esprimere il loro voto su questioni la cui soluzione richiede il possesso di specifiche competenze teoriche e/o tecniche.

Alcuni rispondono affermativamente affermando che in democrazia a ogni individuo corrisponde un voto.

Altri rispondono negativamente affermando che la democrazia non ha l’incompetenza tra le regole del suo funzionamento.

Chi ha ragione?

 

Iniziamo il cammino che ci porterà alla risposta tornando con il pensiero a una recente vicenda della storia politica italiana: il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.

In quella occasione, gli elettori furono chiamati a esprimere il loro voto su una proposta di modifica della Costituzione italiana.

Il dibattito precedente al voto divenne vivace quando il Capo del Governo italiano all’epoca in carica dichiarò che si sarebbe dimesso se il referendum avesse avuto esito negativo.

 

Riporto qui di seguito le scelte di voto manifestate in quella occasione da tre persone diverse.

Lo scopo che mi prefiggo non è quello di criticare chi espresse quelle opinioni, ma comprendere quale fu l’errore alla base del loro ragionamento.

Comprendere questi errori ci consentirà di avvicinarci alla risposta da dare alla domanda che è stata posta all’inizio di questo articolo.

 

Una persona disse che aveva votato negativamente al referendum perché era stata convinta da quanto aveva ascoltato da un uomo politico in televisione.

Questa persona non aveva fatto del diritto l’oggetto del suo studio e del suo lavoro.

Per tutta la sua vita, infatti, aveva con impegno e con fatica coltivato la terra e aveva a poco a poco edificato la sua casa.

L’errore che commise questa persona fu quello di esprimere un voto senza avere letto la proposta di modifica della Costituzione oggetto del referendum e senza avere verificato personalmente se quello che aveva ascoltato in televisione fosse vero o no.

 

Lo sbaglio commesso da questa persona è già stato messo in luce dal filosofo greco Aristotele.

Egli distinse le forme di governo buone da quelle cattive e affermò che il governo del popolo buono è la politìa, dalla parola greca politèia che significa Costituzione.

La politìa è il governo di molti a vantaggio di tutti.

Al contrario, il governo del popolo cattivo è la democrazia: il governo della plebe o dei poveri inteso come il dominio dei demagoghi.[1]

Non avere le competenze teoriche e/o tecniche necessarie per orientare il proprio voto e dare fiducia a quello che si ascolta senza averlo personalmente verificato, significa consegnare il proprio voto nelle mani dell’oratore più abile.

In questo modo, la democrazia diviene il governo dei demagoghi.

 

Un’altra persona disse che avrebbe votato negativamente al referendum perché desiderava le dimissioni del Capo del Governo italiano all’epoca in carica.

Questa seconda persona era un avvocato abilitato al patrocinio nelle giurisdizioni superiori.

Una terza persona disse che avrebbe votato negativamente al referendum a causa di errori presenti nel testo della proposta di modifica della Costituzione.

Questa persona svolgeva la docenza universitaria nella materia di diritto costituzionale italiano ed era interessata alla nomina a giudice della Corte costituzionale italiana.

Sebbene fossero due addetti ai lavori, queste due persone commisero l’errore di non tenere separati il dato personale e il dato oggettivo.

Il quesito referendario, infatti, non chiedeva agli elettori di esprimersi sulla simpatia o sulla capacità politica del Capo del Governo italiano allora in carica.

Parimenti, orientare la propria scelta di voto in base a un auspicato futuro professionale non aveva alcuna attinenza con il quesito posto dal referendum.

 

L’errore commesso da queste due persone ci porta al cuore della domanda che abbiamo posto all’inizio di questo articolo.

Se persino gli addetti ai lavori permettono al loro dato personale di sovrapporsi al dato oggettivo e di orientare in modo errato il ragionamento che li conduce al voto, allora chi può votare?

Per rispondere a questa domanda è necessario trovare una conciliazione tra le due affermazioni esposte all’inizio: in democrazia a ogni individuo corrisponde un voto, la democrazia non ha l’incompetenza tra le regole del suo funzionamento.

La conciliazione in parola viene ottenuta facendo un uso ragionato della tecnologia disponibile.

 

Un algoritmo è “un procedimento o programma che risolve una classe di problemi attraverso un numero finito di istruzioni elementari, chiare e non ambigue.”.[2]

Un algoritmo al quale sono state impartite istruzioni sui limiti ai quali si deve attenere e sulla realtà di fatto e di diritto da prendere in considerazione, è in grado di offrire una soluzione anche al quesito oggetto del referendum costituzionale italiano del 4 dicembre 2016.

La chiarezza e la non ambiguità delle istruzioni impartite all’algoritmo faranno in modo che esso non cada negli errori fatti dalle tre persone delle quali abbiamo parlato poc’anzi.

 

L’obiezione per la quale in questo modo non è più necessario chiedere il voto agli elettori viene superata con la previsione che gli elettori non devono svolgere il compito che può svolgere un algoritmo, ma andare oltre e battere l’algoritmo.

L’algoritmo ha un compito: elaborare una gran quantità di dati e offrire una soluzione.

Gli elettori hanno due compiti:

  • esaminare il procedimento seguito dall’algoritmo per escludere la presenza di errori,
  • migliorare la soluzione offerta dall’algoritmo con il contributo di intuizione e di adattamento alla realtà che la mente umana può offrire.

Mi spiego con un esempio.

Nel servizio di posta cartacea, l’essere umano si occupa sia di scrivere la lettera, sia di recapitarla.

Nel servizio di posta elettronica, il compito dell’essere umano non è recapitare la posta elettronica, di quello si occupa l’algoritmo; il compito dell’essere umano è scrivere la lettera con il contenuto che un individuo senziente può esprimere.

 

In questo modo, la democrazia non sarà più populismo né ricerca del bene individuale a danno del bene comune, ma solo politìa: il governo di molti a vantaggio di tutti.

 

Vi ringrazio del vostro tempo e della vostra attenzione.

 

NOTE A PIE’ DI PAGINA

[1] Tra le molte fonti su questo argomento, qui mi limito a ricordare:

– Enrico Berti, Storia della filosofia. Antichità e Medioevo, Laterza, 1991,

    paragrafo Costituzioni e rivoluzioni, pagine 124-125;

– Enciclopedia Treccani, voce Democrazia, di Anna Lisa Schino – Enciclopedia dei ragazzi (2005),

    in: http://www.treccani.it/enciclopedia/democrazia_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/

 

[2] Cito da: https://it.wikipedia.org/wiki/Algoritmo

 

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Coronavirus e libertà di circolazione

Nell’attuale emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 Coronavirus, alcune persone si domandano quale norma prevede che l’auto-dichiarazione dei motivi dello spostamento debba essere consegnata o compilata.

 

Ecco qui di seguito le norme rilevanti.

 

 

1) Quale norma prevede che la legge possa porre dei limiti alla libertà di circolazione?

 

Risposta

L’articolo 16 della Costituzione italiana che afferma:

  • “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”.

 

 

2) Quali norme prevedono l’emanazione di atti che hanno forza di legge da parte del Governo?

 

Risposta

Gli articoli 76 e 77 della Costituzione italiana.

Articolo 76: decreto legislativo.[1]

Articolo 77: comma 1 decreto legislativo, commi 2 e 3 decreto legge.[2]

 

 

3) Quale decreto legge prevede la limitazione della libertà di circolazione?

 

Risposta

Il decreto legge 25 marzo 2020, numero 19, articolo 1, comma 1 e comma 2 lettera a.[3]

 

 

4) Quale disposizione di legge autorizza il Primo Ministro italiano a emanare misure di attuazione attraverso uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri?

 

Risposta

Il decreto legge 25 marzo 2020, numero 19, articolo 2, comma 1.[4]

 

 

5) Quale norma prevede che l’auto-dichiarazione dei motivi della circolazione debba essere consegnata o compilata?

 

Risposta

Il decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, numero 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), articolo 47, comma 3, che afferma:

  • “Fatte salve le eccezioni espressamente previste dalla legge, nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i concessionari di pubblici servizi, tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell’articolo 46 sono comprovati dall’interessato attraverso la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà”.[5]

 

 

 

 

A questo punto alcuni si domandano perché le misure di attuazione della limitazione alla libertà di circolazione sono contenute in uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e non in un atto avente forza di legge.

 

Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri può contenere le misure di attuazione della limitazione alla libertà di circolazione non perché sia un atto avente forza di legge – non lo è, è un atto amministrativo a contenuto normativo -, ma perché c’è una norma di legge che prevede questo.

 

La norma di legge in parola è l’articolo 2, comma 1, del decreto legge 25 marzo 2020, numero 19 che abbiamo poc’anzi citato:

  • “Art. 2 Attuazione delle misure di contenimento
  1. Le misure di cui all’articolo 1 sono adottate con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri…”.

 

Infine, la legge può fare questa affermazione perché questo è previsto nell’articolo 16 della Costituzione dove, come abbiamo detto, si legge:

  • “…salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale…”.

 

 

Riassumendo, i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri emanano le disposizioni di attuazione di una limitazione – quella alla libertà di circolazione – che la legge, come afferma la Costituzione, sancisce in via generale.

 

 

Immaginiamo il podio per la premiazione degli atleti alle Olimpiadi.

Al primo posto c’è la Costituzione.

Al secondo posto c’è la legge che prevede in generale la limitazione alla libertà di circolazione.

Al terzo posto ci sono uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri che prevedono le misure di attuazione di questa limitazione.

 

 

Spero di essere stato chiaro.

Vi ringrazio per la vostra attenzione.

 

AGGIORNAMENTO

La Corte europea per i diritti dell’uomo ha dichiarato che il confinamento domiciliare durante lo stato di emergenza dichiarato per contestare la pandemia di covid-19 coronavirus non contrasta con la libertà di circolazione sancita dall’articolo 5, comma 1, della Convenzione europea per i diritti dell’uomo (Terheş contro Romania, richiesta numero 49933 del 2020, decisione del 13 aprile 2021).

Per maggiori informazioni si vedano:

la decisione in francese

https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22languageisocode%22:[%22FRE%22],%22appno%22:[%2249933/20%22],%22documentcollectionid2%22:[%22ADMISSIBILITY%22],%22itemid%22:[%22001-210026%22]}

il legal summary in francese

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il legal summary in inglese

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NOTE A PIE’ DI PAGINA

[1] Articolo 76 della Costituzione italiana:

 

“L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.”

 

 

[2] Articolo 77 della Costituzione italiana:

 

“Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.

Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.

I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.”

 

 

[3] Decreto legge 25 marzo 2020, numero 19 – convertito in legge con modificazioni dalla legge 22 maggio 2020, n. 35 – articolo 1, comma 1 e comma 2 lettera a:

 

“Misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19

  1. Per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate, secondo quanto previsto dal presente decreto, una o più misure tra quelle di cui al comma 2, per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020, termine dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e con possibilità di modularne l’applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del predetto virus.
  2. Ai sensi e per le finalità di cui al comma 1, possono essere adottate, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, una o più tra le seguenti misure:                a) limitazione della circolazione delle persone, anche prevedendo limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni;”

 

 

[4] Decreto legge 25 marzo 2020, numero 19 – convertito in legge con modificazioni dalla legge 22 maggio 2020, n. 35 – articolo 2, comma 1:

 

“1. Le misure di cui all’articolo 1 sono adottate con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, sentiti il Ministro dell’interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri ministri competenti per materia, nonché i presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l’intero territorio nazionale. I decreti di cui al presente comma possono essere altresì adottati su proposta dei presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l’intero territorio nazionale, sentiti il Ministro della salute, il Ministro dell’interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri ministri competenti per materia. Per i profili tecnico-scientifici e le valutazioni di adeguatezza e proporzionalità, i provvedimenti di cui al presente comma sono adottati sentito, di norma, il Comitato tecnico scientifico di cui all’ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630.”

 

 

[5] Per completezza di informazione, riporto qui di seguito anche il testo dell’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, numero 445:

 

“Dichiarazioni sostitutive di certificazioni

  1. Sono comprovati con dichiarazioni, anche contestuali all’istanza, sottoscritte dall’interessato e prodotte in sostituzione delle normali certificazioni i seguenti stati, qualità personali e fatti:

a) data e il luogo di nascita;                                       

b) residenza;

c) cittadinanza;

d) godimento dei diritti civili e politici;

e) stato di celibe, coniugato, vedovo o stato libero;

f) stato di famiglia;

g) esistenza in vita;

h) nascita del figlio, decesso del coniuge, dell’ascendente o discendente;

i) iscrizione in albi, in elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni;

l) appartenenza a ordini professionali;

m) titolo di studio, esami sostenuti;

n) qualifica professionale posseduta, titolo di specializzazione, di abilitazione, di formazione, di aggiornamento e di qualificazione tecnica;

o) situazione reddituale o economica anche ai fini della concessione dei benefici di qualsiasi tipo previsti da leggi speciali;

p) assolvimento di specifici obblighi contributivi con l’indicazione dell’ammontare corrisposto;

q) possesso e numero del codice fiscale, della partita IVA e di qualsiasi dato presente nell’archivio dell’anagrafe tributaria;

r) stato di disoccupazione;

s) qualità di pensionato e categoria di pensione;

t) qualità di studente;

u) qualità di legale rappresentante di persone fisiche o giuridiche, di tutore, di curatore e simili;

v) iscrizione presso associazioni o formazioni sociali di qualsiasi tipo;

z) tutte le situazioni relative all’adempimento degli obblighi militari, ivi comprese quelle attestate nel foglio matricolare dello stato di servizio;

aa) di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l’applicazione di misure di sicurezza e di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale ai sensi della vigente normativa;

bb) di non essere a conoscenza di essere sottoposto a procedimenti penali;

bb-bis) di non essere l’ente destinatario di provvedimenti giudiziari che applicano le sanzioni amministrative di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231;

cc) qualità di vivenza a carico;

dd) tutti i dati a diretta conoscenza dell’interessato contenuti nei registri dello stato civile;

ee) di non trovarsi in stato di liquidazione o di fallimento e di non aver presentato domanda di concordato.”

 

Le citazioni sono state verificate alla data di pubblicazione di questo articolo sul sito www.giorgiocannella.com

Le cattedre vacanti a scuola e il principio di uguaglianza

 

In questo articolo offro una soluzione al problema delle cattedre vacanti nelle scuole, in particolare in quelle del nord Italia[1].

Per fare questo, mi servirò di una corretta applicazione del principio di uguaglianza[2].

 

La Corte costituzionale ha affermato che il principio di uguaglianza non consiste nel trattare tutti allo stesso modo, nel porre tutti sullo stesso piano o allo stesso livello, ma nel trattare in modo uguale situazioni uguali e in modo diverso situazioni diverse[3].

 

La corretta applicazione del principio di uguaglianza al problema delle cattedre vacanti nella scuola non può prescindere dalla considerazione del diverso costo della vita in una città del nord Italia confrontato con quello di un piccolo paese del sud Italia.

 

Corrispondere lo stesso salario, per la medesima mansione, svolta da due docenti della scuola, il primo in una prospera realtà finanziaria del nord Italia e il secondo in un contesto rurale del sud Italia, significa non avere compreso il sopra citato insegnamento della Corte costituzionale, e di conseguenza, violare il principio di uguaglianza.

 

Inoltre, si avrà una violazione del principio costituzionale per il quale il lavoratore ha diritto a un salario “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”[4].

 

Infatti, il forte divario nel costo reale della vita farà in modo che il primo docente – quello nel nord Italia – si troverà a dover scegliere se impiegare il suo salario per pagare il canone di locazione e le utenze domestiche della sua abitazione oppure se spendere la somma per fare la spesa, il secondo docente – quello nel sud Italia – non solo non si troverà di fronte a questa alternativa, ma potrà anche scegliere tra risparmiare una parte del suo salario o spenderla per avere un tenore di vita più alto della media.

 

In una situazione come questa, la decisione di aumentare il salario si risolve in un aumento della disuguaglianza già esistente.

 

Infatti, poiché l’importo dello stipendio è uguale per tutti e due i docenti, aumentare la retribuzione in modo da permettere al docente della scuola nel nord Italia di poter affrontare con serenità gli esborsi prima descritti (locazione, utenze domestiche e spesa) significa dare al docente nel sud Italia un tenore di vita ancora più alto, inimmaginabile per il primo docente.

 

Per applicare correttamente il principio di uguaglianza alla vicenda che stiamo esaminando è necessario smettere di pensare all’importo del salario e focalizzare l’attenzione sul potere d’acquisto del salario.

 

Il potere d’acquisto è la quantità di beni e/o servizi che è possibile acquistare in un dato momento con una determinata somma di denaro[5].

 

I due docenti non dovranno più ricevere un salario identico, ma un diverso potere d’acquisto parametrato al costo reale della vita che si registra nella sede di effettivo espletamento del loro incarico.

Un potere d’acquisto tale da permettere a entrambi di “assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”[6].

 

Tutto questo va attuato tenendo conto delle seguenti precisazioni.

 

In primo luogo, il costo della vita da prendere in considerazione non è quello calcolato su base nazionale, ma quello calcolato nella macro area[7] nella quale si trova la sede di effettivo espletamento dell’incarico da parte di ciascuno dei due docenti.

Se infatti venisse preso come riferimento il costo della vita su base nazionale, si continuerebbe ad avere la disuguaglianza della quale abbiamo parlato fin’ora.

Quest’ultima, infatti, è causata dall’attribuzione di un identico salario a entrambi i docenti a fronte del fatto che il costo della vita non è lo stesso su tutto il territorio nazionale.

 

La dimensione delle macro aree deve essere tale da comprendere più Regioni.

Se venissero prese in esame delle aree troppo piccole – come singoli paesi, quartieri o città – si avrebbe una miriade di diversi indici del costo della vita: uno per ciascuna di esse.

In questo modo, oltre alla rilevante complessità amministrativa necessaria per calcolare tutti questi indici diversi, non verrebbe risolto il problema delle cattedre vacanti nelle scuole.

Facciamo un esempio.

Se nei piccoli paesi A e B il costo reale della vita fosse pari a 100, mentre nel vicino e altrettanto piccolo paese C esso fosse pari a 97, tutti avrebbero la convenienza economica a recarsi a insegnare nelle scuole dei paesi A e B per avere un salario maggiore e poter poi fare la spesa nel vicino paese C dove i prezzi sono più bassi.

In questa situazione, nessuno vorrebbe recarsi a insegnare nelle scuole del paese C dove le cattedre nelle scuole rimarrebbero vacanti.

Dopo un po’ di tempo, i prezzi nel paese C aumenterebbero a causa della forte domanda di beni e servizi originata da tutti coloro che si recano lì per fare acquisti, mentre i prezzi diminuirebbero nei paesi A e B dove pochi farebbero la spesa.

L’aumento del costo della vita nel paese C invertirebbe la situazione di partenza.

Vi sarebbe un gran numero di domande di trasferimento di docenti che dai paesi A e B vogliono recarsi a insegnare nel paese C.

Questo per continuare ad avere un salario alto e fare la spesa nei paesi A e B che ora hanno dei prezzi più bassi.

Di conseguenza, nessuno vorrebbe più insegnare nei paesi A e B dove le cattedre nelle scuole rimarrebbero vacanti.

Se pensiamo che in Italia ci sono circa otto mila Comuni[8], capiamo bene che, ai fini che qui interessano, istituire delle aree economiche troppo piccole comporterebbe un’immensa complessità amministrativa per calcolare ogni anno il costo della vita in ciascuna di loro e non verrebbe risolto il problema delle cattedre vacanti nelle scuole.

 

Al contrario, l’istituzione di aree economiche di grandi dimensioni ridurrebbe, sia la complessità amministrativa – poiché gli indici del costo della vita da calcolare non sarebbero più migliaia –, sia il trasferimento dei docenti per motivi economici della quale abbiamo detto poc’anzi.

Per esempio, se pensiamo a una macro area grande come l’Italia nord-occidentale, è difficile che un docente che insegna a Torino possa recarsi ogni giorno a fare la spesa ad Ancona !

Con la corresponsione di un potere d’acquisto parametrato al costo reale della vita in ogni macro area, gli spostamenti dei docenti della scuola per motivi economici sarebbero limitati alla linea di demarcazione tra una macro area e quella vicina.

Una situazione analoga a quella che oggi si può verificare, ad esempio, se si pensa di fare il pieno di benzina alla propria automobile oltre il confine nazionale, dove le imposte sul carburante per i veicoli possono essere più basse.

Inoltre, questi spostamenti sarebbero ulteriormente limitati dal fatto che, di solito, due macro aree confinanti non hanno un costo della vita fortemente diverso come quello che, al contrario, si registra tra due luoghi che si trovano molto distanti fra loro sul territorio nazionale.

Un piccolo divario tra i costi della vita – e quindi tra i prezzi dei beni – che si registrano da una parte e dall’altra della linea di demarcazione tra due macro aree, ridurrebbe la convenienza economica a spostarsi da una parte all’altra.

 

In secondo luogo, il salario di ciascuno dei due docenti va adeguato ogni anno ai tre quarti dell’aumento dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati[9].

 

L’adeguamento nella misura di tre quarti piuttosto che al cento per cento dell’indice citato ha il fine di contenere l’aumento dei prezzi e quindi l’inflazione.

 

In conclusione, una corretta applicazione del principio di uguaglianza previsto nella nostra Costituzione porta ad attribuire a ogni docente non più un identico salario, ma un diverso potere d’acquisto parametrato al costo della vita realmente presente nella macro area in cui insegna in via ordinaria e continuativa.

La conseguenza sarebbe la forte riduzione del numero di cattedre vacanti nella scuola, perché non ci sarebbe più la convenienza economica a insegnare solo nelle zone d’Italia dove il costo della vita è più basso.

 

Vi ringrazio per il vostro tempo e per la vostra attenzione.

 

AGGIORNAMENTO

 

Il 28 maggio 2022 sul Corriere della Sera è comparso un articolo nel quale si denuncia il fatto che uno stipendio di identico ammontare su base nazionale è la prima causa del fatto che vi sono poche domande di partecipazione ai concorsi per impieghi pubblici, in particolare per posti di lavoro nel nord Italia dove diversi posti di lavoro nella Pubblica Amministrazione rimangono vacanti.

Il medesimo articolo suggerisce che la disparità del costo della vita tra una città del nord Italia e una città del sud Italia debba essere presa in considerazione per la corresponsione dello stipendio al pari di quanto già avviene negli Stati Uniti d’America.[10]

 

 

NOTE A PIE’ DI PAGINA

[1] Articolo: “Cattedre scuola 2017/2018: 4 mila posti vacanti, ecco a chi andranno”

“La mancanza di cattedre è stata registrata soprattutto nella scuola secondaria di primo grado, cioè alle medie.

In particolare sono più di 3.800 i posti rimasti liberi dopo i trasferimenti, soprattutto nelle regioni del Nord.

Più di un terzo di queste cattedre vuote sono nella Lombardia, che ha 1.072 posti per docenti.

Tra l’altro nemmeno le prossime immissioni in ruolo serviranno ad arginare questa situazione.

Difatti è stato accertato che i vincitori del Concorso docenti 2016 non sono sufficienti per colmare questo vuoto.

Inoltre le graduatorie ad esaurimento (Gae) per la classe di matematica e scienze nella scuola secondaria di primo grado sono esaurite già da da tempo.

Dunque si prevede che questi posti saranno assegnati tramite supplenze annuali, da reperire tramite le graduatorie di istituto della provincia interessata o tramite messa a disposizione.”.

Pubblicato il 23 luglio 2017 in:

http://it.blastingnews.com/lavoro/2017/07/cattedre-scuola-20172018-4mila-posti-vacanti-ecco-a-chi-andranno-001871195.html

 

Articolo: “Mobilità scuola 2017/2018: docenti, i posti liberi dopo i trasferimenti della scuola secondaria di II grado”

“Complessivamente, per la scuola secondaria di secondo grado i posti liberi sono 16.543 di cui 15.254 posti comuni e 1.289 posti di sostegno: la tabella analitica per classe di concorso/tipo di posto, provincia e regione.”.

Pubblicato il 21 luglio 2017 in:

http://www.flcgil.it/scuola/precari/mobilita-scuola-2017-2018-docenti-i-posti-liberi-dopo-i-trasferimenti-della-scuola-secondaria-di-ii-grado.flc

 

Articolo: “Mobilità scuola 2017: migliaia di trasferimenti al Sud, cattedre vacanti al Nord”

“L’ondata di trasferimenti verso il Sud comporterà, nella scuola primaria, una conseguente carenza di insegnanti al Nord. I sindacati stimano che, nel prossimo anno, serviranno circa 100 mila supplenti.

Le regioni maggiormente coinvolte da carenza di personale docente, e quindi con una maggiore percentuale di cattedre vacanti, sono Lombardia, Piemonte e Veneto.”.

Pubblicato il 22 giugno 2017 in:

http://it.blastingnews.com/lavoro/2017/06/mobilita-scuola-2017-migliaia-di-trasferimenti-al-sud-cattedre-vacanti-al-nord-001793565.html

 

[2] Costituzione della Repubblica italiana, articolo 3, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, n. 298 del 27 dicembre 1947:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”.

Cito da: http://www.cortecostituzionale.it/documenti/download/pdf/Costituzione_della_Repubblica_italiana.pdf

 

[3] “Né detto divieto è in contrasto con l’altro principio della “eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge”, enunciato nello stesso art. 3 della Costituzione.

Questo principio non va inteso nel senso, che il legislatore non possa dettare norme diverse per regolare situazioni che esso ritiene diverse, adeguando così la disciplina giuridica agli svariati aspetti della vita sociale. Ma lo stesso principio deve assicurare ad ognuno eguaglianza di trattamento, quando eguali siano le condizioni soggettive ed oggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscono per la loro applicazione. La valutazione della rilevanza delle diversità di situazioni in cui si trovano i soggetti dei rapporti da regolare non può non essere riservata alla discrezionalità del legislatore, salva l’osservanza dei limiti stabiliti nel primo comma del citato art. 3.”

Corte costituzionale della Repubblica italiana, sentenza 16 gennaio 1957, n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 27 del 30 gennaio 1957.

Cito da: www.cortecostituzionale.it (Giurisprudenza → Decisioni → Ricerca sulle pronunce → inserire anno e numero → cliccare su 3/1957).

 

[4] Costituzione della Repubblica italiana, articolo 36:

“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.

Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”

Per i riferimenti della citazione, si veda la nota n. 2.

 

[5] “Quantità di merci che, dati certi prezzi vigenti sul mercato (v.), è possibile acquistare in un dato momento con una determinata quantità di moneta (v.) a disposizione. 
La definizione può essere sintetizzata nella formula Pa = 1/P dove Pa è il potere d’acquisto della moneta e P il prezzo della merce. In questa equazione Pa e P sono espressioni reciproche in quanto aumentando i prezzi diminuisce il valore della moneta e viceversa.”.

Cito da: https://www.simone.it/newdiz/newdiz.php?dizionario=6&id=2436

 

[6] Si veda la nota n. 4.

 

[7] Ai fini che qui interessano, una macro area è una porzione del territorio nazionale caratterizzata da caratteristiche economiche simili come la situazione economica, il potenziale di sviluppo, le condizioni di vita medie della popolazione.

 

[8] Al 5 maggio 2017, i Comuni in Italia sono 7.978.

Si veda: http://www.istat.it/it/files/2011/01/Novita-per-il-2017.pdf?title=Codici+delle+unit%C3%A0+amministrative+-+14%2Fset%2F2017+-+Novit%C3%A0+per+il+2017.pdf

 

[9] “Per adeguare periodicamente i valori monetari, ad esempio il canone di affitto o l’assegno dovuti al coniuge separato, si utilizza l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI) al netto dei tabacchi. Tale indice si pubblica sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n. 392.”.

Cito da: http://www.istat.it/it/archivio/30440m

 

“L’indice nazionale dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati (sigla FOI) è un indice dei prezzi al consumo, calcolato dall’Istat a partire dal 1961, basato su un paniere di beni e servizi che rappresenta i consumi di una famiglia la cui persona di riferimento è un lavoratore dipendente (ad esclusione di quelli facenti parte del settore agricolo). È quindi più specifico dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), il cui paniere rappresenta i consumi di una famiglia italiana media (comprendendo, quindi, anche quelle la cui persona di riferimento sia ad esempio un libero professionista od un pensionato).”

Cito da: https://it.wikipedia.org/wiki/Indice_nazionale_dei_prezzi_al_consumo_per_le_famiglie_di_operai_e_impiegati

 

[10] “Stipendi troppo bassi

Insomma, gli italiani non sono più così disposti a spostarsi per lavoro troppo lontano da casa. E così, se da una parte abbiamo ancora frotte di giovani che emigrano in altri Paesi Ue o in altri Continenti alla ricerca di un’attività lavorativa degna delle loro capacità, dall’altra abbiamo un numero crescente di italiani che non se la sentono – per un modesto lavoro impiegatizio – di cambiare neppure regione. Le motivazioni alla base di questo rifiuto sono varie. La prima è di natura economica: le retribuzioni non sono ritenute allettanti, soprattutto considerando il costo della vita che al Nord è decisamente superiore rispetto a quello delle regioni meridionali. Per avere un’idea, secondo un’indagine del Codacons, nel 2021 Milano era la città più cara d’Italia: per mangiare sotto la Madonnina, infatti, bisogna spendere in media il 47% in più rispetto a Napoli. In Italia, infatti, a differenza di quello che accade ad esempio negli Stati Uniti, gli stipendi (del pubblico come del privato) non sono tarati sui costi della vita della città in cui si lavora. E così, la domanda che si fanno gli aspiranti concorsisti è legittima: se 35 mila euro a Milano equivalgono a poco più di 20 mila a Palermo, perché lo stipendio di un dipendente della motorizzazione del capoluogo lombardo deve essere uguale a quello siciliano? Da qui i tanti rifiuti a una scelta di emigrazione interna.”

(il sottolineato è mio)

 

Cito da Massimiliano Jattoni Dall’Asén, Posto fisso addio, concorsi flop e dimissioni tra i dipendenti pubblici: cosa succede?, 28 maggio 2022, in:

https://www.corriere.it/economia/lavoro/22_maggio_28/posto-fisso-addio-concorsi-flop-dimissioni-dipendenti-pubblici-cosa-succede-3e2b64b0-dd92-11ec-9d2a-935eb68a8d83.shtml

 

Le citazioni sono state verificate alla data di pubblicazione di questo articolo sul sito www.giorgiocannella.com