ECOSOC High Level Segment 2019

I attended a course on advocacy and human rights.

Here under I publish my final work: a statement to be submitted to the High-Level Segment of the Economic and Social Council of the United Nations on July 19th, 2019.

 

ECOSOC High-Level Segment 2019

 

Ho frequentato un corso sull’advocacy e i diritti umani.

Qui sotto pubblico il mio elaborato finale: una dichiarazione da sottoporre al Segmento di alto livello del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite il 19 Luglio 2019.

 

ECOSOC Segmento di alto livello 2019

 

Le citazioni contenute negli elaborati sono state verificate alla data di pubblicazione di questo articolo sul sito www.giorgiocannella.com

Cooperazione internazionale e geo-politica

In questo articolo vi offro una possibile conciliazione tra gli obiettivi della cooperazione internazionale e gli scopi della geo-politica.

A tal fine, riporto qui di seguito una conversazione che ho avuto anni fa con una persona a proposito della cooperazione internazionale, dei suoi interventi e dei risultati che ottiene.

Alla conversazione in parola farà seguito la mia proposta di conciliazione.

 

IL PROBLEMA

TIZIO – La cooperazione internazionale per noi [1] è un danno!

GIORGIO CANNELLA – Perché?

TIZIO – Noi abbiamo il know-how.

Loro [2] hanno le materie prime.

Se con la cooperazione internazionale tu gli dai il know-how [3], loro avranno le materie prime e il know-how.

A quel punto noi che facciamo?, prendiamo il barcone e andiamo a lavorare in Tunisia [4] ?

GIORGIO CANNELLA – La cooperazione internazionale consentirà di trasformare i Paesi in via di sviluppo in nuovi mercati nei quali potremo vendere dei prodotti.

TIZIO – Ma cosa gli vuoi vendere?

Le materie prime no, perché loro ce le hanno già e in quantità maggiore di noi.

Il know-how no, perché glielo avrai già trasferito con la cooperazione internazionale.

I prodotti no, perché con le materie prime e il know-how riusciranno a fabbricarli da soli.

I servizi no, perché con le materie prime, il know-how e la capacità di fabbricare i prodotti riusciranno a fornirseli per conto loro.

 

 

UNA POSSIBILE CONCILIAZIONE

 

L’obiezione di Tizio è utile perché fa riflettere sui limiti che ha ogni agire umano.

Anche la cooperazione internazionale ha dei limiti che non si possono oltrepassare.

 

L’obiezione in esame è molto difficile da contrastare perché mette in luce il limite che la cooperazione internazionale ha verso l’alto.

Quest’ultima, infatti, non può andare contro gli equilibri geo-politici e gli interessi di politica estera dei grandi attori statali e internazionali.

È per questa ragione che Tizio giustamente ci ricorda che la legge italiana inscrive la cooperazione internazionale all’interno del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, piuttosto che all’interno di altri Ministeri.

 

Seguo il ragionamento di Tizio e aggiungo che la cooperazione internazionale ha anche un limite verso il basso.

Chi la pratica, infatti, non può compiere azioni che la legge proibisce e che contrastano con gli scopi della cooperazione.

Sto pensando all’appropriazione indebita dei fondi o degli aiuti umanitari.

 

La cooperazione internazionale ha anche dei limiti ai suoi lati.

Essa infatti si esplica tenendo conto della cultura e delle condizioni di vita delle persone che assiste, nonché degli obiettivi che lo Stato beneficiario si prefigge per il suo sviluppo.

 

Se questi sono i confini entro i quali la cooperazione internazionale deve agire, l’unico modo per accrescere il patrimonio di conoscenze scientifiche e tecniche dei Paesi in via di sviluppo – senza violare il limite che la cooperazione ha verso l’alto e che Tizio ha messo in luce – è fare in modo che i Paesi in parola siano messi in condizione di sviluppare questo patrimonio con le loro forze.

 

I cinque pilastri della dichiarazione di Parigi del 2005[5] sono a tale scopo assai utili.

Alla scelta di un Paese in via di sviluppo di accrescere il suo patrimonio di conoscenze scientifiche e tecniche farà seguito l’allineamento della cooperazione internazionale a questo obiettivo e l’elaborazione di programmi che insegnino alle persone del posto a riconoscere e superare gli ostacoli che non permettono di avviare il processo di sviluppo di nuove conoscenze.

Inoltre, l’armonizzazione delle procedure adottate dalle realtà della cooperazione internazionale che operano sul territorio consentirà di diversificare il loro intervento evitando sprechi e duplicazioni.

 

È un processo molto lungo e difficile, perché si tratta di offrire contenuti teorici e pratici in modo compatibile con la mentalità e la cultura del posto.

 

Il processo inizia con la cultura della legalità, della democrazia e dei diritti umani, la pari dignità della donna e dell’uomo, l’alfabetizzazione, l’igiene e la profilassi sanitaria.

 

In seguito, si passa allo sviluppo di piccoli consorzi: di bonifica, agrari, industriali.

All’interno di essi, gli utili che deriveranno dall’esercizio della stessa attività da parte di più persone potranno essere impiegati affinché una o più persone possano dedicarsi alle così dette “migliorie”.

In questo modo, le persone del posto svilupperanno le prime piccole innovazioni per fare meglio quello che esse stesse stanno già facendo.

 

Il tempo e le continue migliorie porteranno alla progressiva automazione delle attività che prima erano svolte solo manualmente.

Questo farà in modo che meno persone saranno necessarie per fare quello che prima facevano in molti.

 

A questo punto, alcuni potranno dedicarsi a studi non più finalizzati unicamente a delle migliorie di applicazione immediata, ma anche a delle conoscenze di applicazione futura (botanica, chimica, fisica, matematica, etc.).

Da qui, col tempo, sorgeranno istituzioni apposite (università e centri di ricerca) nelle quali si farà ricerca teorica e applicata con lo sviluppo di brevetti e di know-how.

 

Ognuna delle fasi ora descritte, sarà orientata al conseguimento di risultati concreti con la condivisione delle responsabilità da parte dei Paesi donatori e dei Paesi beneficiari.

 

Il tutto, lo ripeto, senza regalare know-how sensibile per gli equilibri geo-politici, ma mettendo le persone del posto in condizione di sviluppare il proprio patrimonio di conoscenze e innovazioni.

 

 

 

Voi quale risposta avreste dato a Tizio?

 

Vi ringrazio per il vostro tempo e per la vostra attenzione.

 

NOTE A PIE’ DI PAGINA

[1] I Paesi sviluppati.

 

[2] I Paesi in via di sviluppo.

 

[3] Risoluzione O.N.U. del 25 settembre 2015 “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”,

Si vedano:

  • l’obiettivo 4 punto 4.b;
  • l’obiettivo 7 punto 7.a;
  • l’obiettivo 8 punto 8.a;
  • l’obiettivo 9 punti 9.a, 9.b e 9.c;
  • l’obiettivo 11 punto 11.c;
  • l’obiettivo 12 punto 12.a;
  • l’obiettivo 13 punto 13.b;
  • l’obiettivo 14 punto 14.a;
  • l’obiettivo 17 punti 17.6, 17.7, 17.8 e 17.16.

 

Testo in italiano: https://www.unric.org/it/images/Agenda_2030_ITA.pdf

Text in Arabic, English, French, Russian, Spanish, Chinese: https://www.unfpa.org/resources/transforming-our-world-2030-agenda-sustainable-development

 

[4] Tizio intendeva dire che il trasferimento di know-how avrebbe avuto come conseguenza la necessità per le persone che vivono in Europa di andare in Africa in cerca di lavoro.

L’opposto di quello che accade oggi con l’arrivo in Europa di barche cariche di persone provenienti da vari Paesi africani.

[5]

“La dichiarazione di Parigi si articola intorno a cinque principi:
Ownership: i Paesi destinatari devono appropriarsi dei processi di sviluppo. 
Alignment: i Paesi donatori devono basare la loro attività di cooperazione su strategie, istituzioni e procedure locali, cioè riferite ai Paesi di destinazione degli aiuti, con l’utilizzo crescente di sistemi finanziari e di risorse istituzionali locali e così via. 
Il terzo principio è quello del coordinamento tra i Paesi donatori, le cui attività dovrebbero divenire sempre più trasparenti e complementari, in base al principio della divisione del lavoro, che mira tra l’altro a risolvere il problema di duplicazione e dispersione di risorse.
Managing for results: una gestione basata sui risultati raggiunti, piuttosto che sugli input dedicati a questi programmi; e che privilegi, quindi, metodologie adeguate per un monitoraggio dei risultati raggiunti. 
Mutual accountability: donatori e Paesi partner sono reciprocamente responsabili per i risultati conseguiti.”

Cito da: https://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/approfondimenti/20090309_dalparlamento_commissioneesteri.html

 

Ownership: Developing countries set their own strategies for poverty reduction, improve their institutions and tackle corruption.

Alignment: Donor countries align behind these objectives and use local systems.

Harmonisation: Donor countries coordinate, simplify procedures and share information to avoid duplication.

Results: Developing countries and donors shift focus to development results and results get measured.

Mutual accountability: Donors and partners are accountable for development results.”

I quote from: https://www.oecd.org/dac/effectiveness/parisdeclarationandaccraagendaforaction.htm

 

Le citazioni sono state verificate alla data di pubblicazione di questo articolo sul sito www.giorgiocannella.com

Cooperazione internazionale e finanza globale

La questione che affronto in questo articolo è come risolvere il contrasto tra le esigenze della cooperazione internazionale e quelle della finanza globale[1].

Il saggio si concluderà con la descrizione di un significato nuovo o più ampio di alcuni concetti chiave della cooperazione internazionale: accountability, professionalità, partenariato, ownership, innovazione.

 

INTRODUZIONE

L’influsso dell’economia e della finanza sui concetti di aiuto internazionale e di sviluppo

A partire dagli anni ’40 del secolo scorso, lo sviluppo è stato inteso unicamente come crescita economica.

Secondo la teoria dell’economia vista come mainstream, la crescita economica avrebbe comportato la diffusione della ricchezza tra le persone.

Solo alcuni economisti impostavano la loro analisi sulla rilevazione degli squilibri fra il Nord e il Sud del mondo e sull’esistenza del così detto Terzo Mondo.

Nel 1987, il rapporto Brundtland[2] all’O.N.U. parlò per primo del concetto di sostenibilità.

Il Rapporto sullo sviluppo umano del 1990 accoglie questo concetto e parla dello sviluppo inteso come salute, conoscenza ed educazione.

Nel 2000, i Millennium Development Goals[3] (da qui in poi, MDG) – 8 in tutto – riguardavano la povertà, l’educazione, la salute, l’ambiente.

Il Rapporto degli economisti Stiglitz – Sen – Fitoussi[4] del 2008 cambia la terminologia usata fino ad allora e parla di benessere.

Nel 2015, i Sustainable Development Goals[5] (da qui in poi, SDG) – 17 in tutto – sono divisi in cinque macro-aree: persone, pianeta, prosperità, pace e giustizia, partenariato globale.

Ad esempio, il lavoro decente e la piena occupazione, concetti dibattuti dagli anni ’70 del secolo scorso, divengono ora un obiettivo di sviluppo sostenibile (SDG 8).

Giustizia e pace (SDG 16) e partenariato globale (SDG 17) non erano presenti nei MDG del 2000.

Riguardo il partenariato globale, anche qui l’elaborazione del concetto è stata lunga: fu teorizzato negli anni ’90 del secolo scorso come necessaria evoluzione del concetto di aiuto umanitario e fu accolto negli anni 2000 come nuovo paradigma della cooperazione internazionale che non doveva più dare con una mano (l’aiuto allo sviluppo) e togliere con l’altra mano (la politica commerciale degli Stati, la politica dei brevetti, etc.).

Poiché cinque dei diciannove obiettivi del SDG 17 (Partenariato globale) riguardano la finanza, la mancata soluzione del conflitto tra le esigenze della cooperazione internazionale e quelle della finanza implicherà il mancato raggiungimento dei cinque obiettivi ora citati.

Come si vede, l’economia e la finanza hanno influenzato il modo di intendere e di attuare l’aiuto internazionale e lo sviluppo dagli anni ’40 del secolo scorso fino ad oggi.

 

LA DESCRIZIONE DEL PROBLEMA

Il problema può essere descritto nel modo seguente: ogni volta che c’è uno squilibrio – ad esempio, la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi – questo rappresenta un problema per il partenariato globale, ma è al contempo un’opportunità di guadagno per la finanza.

Poiché, per attuare lo sviluppo, si deve tenere conto del contesto storico, politico, sociale, economico e questi aspetti sono fortemente influenzati dalla finanza mondiale, si capisce perché il conflitto in parola è un problema molto attuale per la cooperazione internazionale.

La finanza mondiale negozia beni e strumenti finanziari e guadagna con le oscillazioni dei loro prezzi.

Ai fini di questo saggio, prenderò in esame la negoziazione di beni.

I Paesi così detti in via di sviluppo sono quasi sempre molto ricchi, sia di materie prime, sia di squilibri di vario genere: questa è la condizione ideale perché i prezzi delle materie prime oscillino molto.

 

LA SOLUZIONE DEL PROBLEMA

La soluzione che offro poggia su due concetti: 1 – il lupo va combattuto a casa sua e con le sue regole, 2 – le azioni da porre in essere devono produrre un beneficio per tutti, compresa la finanza mondiale.

Poiché non è possibile far scomparire gli squilibri in un istante, né evitare che la finanza mondiale abbia interesse a realizzare dei profitti, l’unica soluzione che mi viene in mente è: separare la negoziazione delle materie prime dalla titolarità delle decisioni sulla loro commercializzazione da parte del Paese che le detiene.

In altre parole, è necessario che la negoziazione delle materie prime avvenga secondo le regole dell’incontro della domanda e dell’offerta, senza che le autorità del Paese produttore possano decidere a chi venderle e in quale quantità.

In questo modo le autorità del Paese produttore non subiscono più le pressioni per vendere ad alcuni e non ad altri e di conseguenza scompaiono, sia l’interesse a mettere al governo del Paese qualcuno cha sia gradito alle linee di politica estera di altre Nazioni, sia le tensioni che questa influenza ha provocato finora.

L’attenuarsi delle tensioni riduce gli squilibri consentendo la realizzazione dell’obiettivo del partenariato globale (SDG 17), il tutto senza intaccare l’interesse della finanza mondiale a realizzare dei profitti.

 

LA NUOVA FUNZIONE DELLA COOPERAZIONE E IL NUOVO SIGNIFICATO DEI TERMINI

L’applicazione della soluzione che ho ora esposto cambia radicalmente le carte in tavola.

La cooperazione internazionale non ha più la funzione di attenuare le conseguenze di tensioni già in atto, ma quella di prevenire le tensioni[6].

Di conseguenza, cambia anche il significato e la portata dei termini elencati nel titolo di questo saggio.

La responsabilità (accountability) ha ancora il suo triplice profilo[7], ma cambia il suo oggetto: dall’essere responsabili per l’attuazione di progetti di cooperazione volti ad attenuare le conseguenze di tensioni già in atto, all’essere responsabili per la prevenzione delle tensioni.

La professionalità non comprende più soltanto delle figure specializzate nell’assistenza a chi ha bisogno (medici, infermieri), ma anche delle figure specializzate nella prevenzione delle tensioni tramite la loro trasformazione in opportunità di crescita economica (mediatori, avvocati, economisti, finanzieri).

Il partenariato non è più solo quello della realtà straniera con la sua controparte locale per la realizzazione di un progetto in una località precisa, ma assume i connotati del partenariato economico finalizzato alla messa in opera delle strutture materiali[8] e non materiali[9] necessarie a commercializzare i beni di un Paese in modo che ne derivino vantaggi per tutti.

La titolarità (ownership) dei Paesi partner di cooperazione nello stabilire le proprie strategie di lotta alla povertà e alla corruzione e di miglioramento delle istituzioni è ora supportata dalla piena disponibilità dei proventi delle proprie risorse che non vengono più usate per combattere le tensioni che nascono dal desiderio di governare un Paese per decidere a chi venderle e in quale quantità.

L’innovazione, con il suo perseguire il continuo miglioramento delle proprie competenze[10], spinge tutti i soggetti della cooperazione a dotarsi di nuove figure professionali capaci di prevenire le tensioni trasformandole in opportunità di crescita economica (mediatori, avvocati, economisti, finanzieri).

In conclusione, la soluzione che ho proposto in questo saggio fa sì che la cooperazione non abbia più il significato di una benevola disposizione verso obiettivi altrui, ma quello di massimizzare congiuntamente una funzione obiettivo che pondera i fini individuali[11].

 

Vi ringrazio per il vostro tempo e per la vostra attenzione.

 

NOTE A PIE’ DI PAGINA

[1] Nel fare questo accolgo l’invito seguente:

“Il rapporto tra sviluppo e mercato costituisce un elemento imprescindibile della modernità. La ricerca di percorsi in grado di innalzare il benessere deve essere condotta all’interno delle moderne dinamiche economiche e delle attuali relazioni internazionali. Con ciò si asserisce non tanto l’ineluttabilità di tendenze economiche ingiuste e di relazioni caratterizzate da sfruttamento, ma piuttosto la necessità di confrontarsi con le stesse e di cambiarne l’animus.” (il sottolineato è mio).

Antonio Raimondi, Gianluca Antonelli, Manuale di Cooperazione allo sviluppo. Linee evolutive, spunti problematici, prospettive, Torino, 2001, pagina 233.

 

 

[2]

https://it.wikipedia.org/wiki/Rapporto_Brundtland

 

https://en.wikipedia.org/wiki/Brundtland_Commission

 

 

[3]

https://www.un.org/millenniumgoals/

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Obiettivi_di_sviluppo_del_Millennio

 

https://en.wikipedia.org/wiki/Millennium_Development_Goals

 

 

[4]

http://www.comitatoscientifico.org/temi%20SD/rapportostiglitz.htm

 

https://en.wikipedia.org/wiki/Commission_on_the_Measurement_of_Economic_Performance_and_Social_Progress

 

https://ec.europa.eu/eurostat/documents/118025/118123/Fitoussi+Commission+report

 

https://fr.wikipedia.org/wiki/Commission_Stiglitz

 

 

[5]

https://sustainabledevelopment.un.org/

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Obiettivi_di_sviluppo_sostenibile

 

https://en.wikipedia.org/wiki/Sustainable_Development_Goals

 

[6] Cfr. OECD-DAC, Conflict, Peace and Development Cooperation on the Threshold of the 21st Century, Paris, 1998, nel quale si evidenziano le strette relazioni esistenti fra conflitti e problemi dello sviluppo, nonché la funzione preventiva della cooperazione (pagina 35, nota 47 del Manuale di Raimondi e Antonelli citato in nota 1; il sottolineato è mio).

 

[7] Responsabilità reciproca tra partner nella cooperazione internazionale, responsabilità nei confronti dei destinatari della cooperazione internazionale, responsabilità nei confronti dei rispettivi cittadini e organizzazioni.

 

[8] Gli impianti per l’estrazione e la commercializzazione delle materie prime, nell’esempio fatto nel paragrafo precedente.

 

[9] Accordi commerciali, contratti quadro, moduli contrattuali, piattaforme di negoziazione finanziaria dei beni.

 

[10] “Innovazione: perseguire il continuo miglioramento delle proprie competenze, affinando metodi e strategie operative che siano in grado di attuare approcci innovativi e sempre più efficaci.”

Cito da: https://www.amref.it/pdf/uploaded/1449657545_Codice_etico_Amref.pdf

 

[11] Si veda la nota 2 a pagina 29 del Manuale di Raimondi e Antonelli citato in nota 1.

 

Le citazioni sono state verificate alla data di pubblicazione di questo articolo sul sito www.giorgiocannella.com