I passi del Nuovo Testamento nei quali si parla dei fedeli e di coloro che hanno il sacerdozio ministeriale ci permettono di migliorare le norme del diritto canonico che impongono il celibato.
Lo scopo di questo articolo è rendere le norme in parola conformi a quanto si legge nella Bibbia.
Come è noto, infatti, il diritto canonico si fonda sulla Scrittura della quale costituisce attuazione dettando regole per disciplinare la vita dei fedeli.
Fin da quando studiavo teologia, desideravo scrivere le mie riflessioni sul celibato.
Mi rendo conto che l’argomento è sentito da molti come difficile da trattare.
Per questo, accompagnerò il lettore con un’analisi della Scrittura chiara e comprensibile anche ai non addetti ai lavori.
Il celibato è sancito nel codice di diritto canonico per i sacri ministri, per tutti coloro che fanno vita consacrata, nella professione religiosa, per gli istituti secolari e infine per le società di vita apostolica.[1]
Il celibato è sancito altresì dal codice dei canoni delle chiese orientali: per i vescovi, per i religiosi, per i monaci, per gli ordini e per le congregazioni.
Rilevanti ai fini di questo articolo sono anche i canoni di quest’ultimo codice sui sacerdoti e sui diaconi.[2]
Di recente, il dibattito mai sopito su questo argomento è tornato a essere vibrante.[3]
Io non conosco passi del Nuovo Testamento nei quali viene affermata l’incompatibilità tra il sacerdozio ministeriale e il matrimonio.
Invito chiunque li conosca a citarli nello spazio per i commenti che si trova in fondo al testo di questo articolo e lo ringrazio fin da ora.
Al contrario – oltre al passo del vangelo secondo Marco che parla della suocera di Pietro, il quale dunque era sposato[4] – conosco tre passi del Nuovo Testamento nei quali si afferma che chi ha il sacerdozio ministeriale sia sposato una sola volta, abbia figli e sappia governare bene la sua famiglia:
- un passo della prima lettera a Timoteo dove si legge che “bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta” e aggiunge “Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? ”;[5]
- il passo in parola della prima lettera a Timoteo prosegue affermando che “I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie”;[6]
- un passo della lettera a Tito afferma che il candidato al presbiterato “deve essere irreprensibile, sposato una sola volta, con figli credenti”.[7]
Per i cristiani, la Bibbia è la parola di Dio.
Come ho scritto in un altro articolo, Dio non è un teologo particolarmente versato al quale possono contrapporsi le affermazioni di altri teologi ugualmente capaci.
Se il Nuovo Testamento afferma più volte e inequivocabilmente che chi ha il sacerdozio ministeriale sia sposato una sola volta, abbia figli e sappia governare bene la sua famiglia e che il candidato al presbiterato sia sposato una sola volta con figli credenti, qualsiasi tesi contraria non può soppiantare il dato inequivocabile della Scrittura.
Nessuna affermazione umana, infatti, può stare alla pari, superare o contraddire la parola di Dio.
L’incompatibilità tra il sacerdozio ministeriale e il matrimonio è stata affermata secoli dopo la scrittura dei passi poc’anzi citati del Nuovo Testamento.
Lo scopo di questa affermazione era ottenere una presunta purità rituale di coloro che presiedono il culto eucaristico.
A parere di chi scrive, questa affermazione è per lo meno irriguardosa nei confronti di Dio.
Alla luce dei passi della Scrittura poc’anzi citati – nei quali si legge che vescovi, presbiteri e diaconi siano sposati una sola volta, abbiano figli e sappiano governare bene la loro famiglia – affermare che la purità rituale richiede che chi presiede il culto eucaristico non possa sposarsi, non possa avere figli e debba vivere il celibato significa dire che la parola di Dio invita all’impurità.
Sinceramente, non mi risulta che la parola di Dio consigli l’impurità!
La contrarietà alla parola di Dio è un vizio che affligge anche tutte le affermazioni che, nei secoli, hanno continuato a sostenere l’incompatibilità tra il sacerdozio ministeriale e il matrimonio.
Dispiace constatare che, tra queste affermazioni, alcune sono state pronunciate durante dei concilii.
Alcune fonti affermano che il primo di essi sarebbe il concilio di Elvira, tenutosi nei primi anni del quarto secolo dopo Cristo, il cui canone 33 avrebbe ordinato ai chierici di astenersi dal matrimonio e dal generare figli, pena la deposizione dallo stato clericale.[8]
Altre fonti riportano il testo del canone 33 del citato concilio di Elvira e affermano che esso in realtà avrebbe detto l’esatto contrario, ovvero che sarebbero stati dimessi dallo stato clericale coloro che si fossero astenuti dalle loro mogli e non avessero generato figli.[9]
Queste ultime fonti affermano che il celibato sarebbe stato imposto per la prima volta nel concilio lateranense dell’anno 1139.
Qualunque sia stato il concilio che per primo abbia sancito l’incompatibilità tra il sacerdozio ministeriale e il matrimonio, in ecclesiologia e in storia della chiesa si studia che, affinché un concilio faccia un’affermazione dogmatica, sono necessari tutti e tre i seguenti requisiti: soggetto, oggetto, atto.
Il soggetto è il collegio dei vescovi che devono essere presenti nel concilio per poter discutere e votare.
L’oggetto è la materia, vale a dire la rivelazione.
L’atto è l’intenzione di definire una questione.
Questa intenzione deve essere chiaramente presente negli atti emanati dal concilio: ad esempio, quando viene usata la formula “Noi definiamo”.
Se l’intenzione in parola non è presente, non va cercata.
Il requisito del soggetto
Il diritto canonico insegna che il collegio dei vescovi è composto dal sommo pontefice che ne è il capo e dai vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del collegio.[10]
Le affermazioni sul divieto, per chi ha il sacerdozio ministeriale, di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere il celibato sono state rese da concilii nei quali:
- non c’era il collegio dei vescovi, ma solo alcuni vescovi di una o alcune province dell’allora impero romano o di territori corrispondenti a una o alcune delle odierne Nazioni;
- quasi sempre non c’era il sommo pontefice. Egli infatti non partecipò a molti dei concilii che hanno reso le affermazioni in parola e, in quelli nei quali partecipò, non era presente il collegio dei vescovi.
Di conseguenza, il requisito del soggetto non può dirsi presente nei concilii che hanno fatto le affermazioni in parola.
Il requisito dell’oggetto
Le affermazioni rese dai concilii sul divieto, per chi ha il sacerdozio ministeriale, di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere il celibato sono sicuramente non conformi alla rivelazione.
Questo perché – come abbiamo detto – i passi citati poc’anzi del vangelo di Marco, della prima lettera a Timoteo e della lettera a Tito affermano chiaramente che:
- Pietro aveva una suocera (vangelo secondo Marco), dunque era sposato;
- “bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta” e inoltre “Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?” (prima lettera a Timoteo);
- “I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie” (prima lettera a Timoteo);
- il candidato al presbiterato “deve essere irreprensibile, sposato una sola volta, con figli credenti” (lettera a Tito).
Pertanto, il requisito dell’oggetto non può dirsi presente nelle affermazioni sul divieto, per chi ha il sacerdozio ministeriale, di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere il celibato.
Poiché anche i singoli credenti non possono andare contro la rivelazione, le affermazioni dello stesso tenore di quelle ora in esame rese da parte di individui (papa, vescovo, teologo, etc.) non sono conformi alla rivelazione.
Il requisito dell’atto
Negli atti dei concilii contenenti il divieto, per chi ha il sacerdozio ministeriale, di sposarsi e di avere figli e l’obbligo per i medesimi soggetti di vivere il celibato non ho trovato la formula “Noi definiamo” o altre espressioni che indichino la chiara intenzione di definire una questione.
Pertanto, le affermazioni in parola non hanno il requisito dell’atto.
Anche qualora ve ne siano alcune che abbiano il requisito dell’atto, la mancanza dei requisiti del soggetto e dell’oggetto non consente di dire che esse sono dogmatiche.
In conclusione, la mancanza dei tre requisiti del soggetto, dell’oggetto e dell’atto fa sì che tutte le affermazioni che i concilii hanno reso sul divieto, per chi ha il sacerdozio ministeriale, di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere il celibato non sono dogmatiche.
Esse sono affermazioni disciplinari, non dogmatiche, viziate dal contrasto con la rivelazione.
Di conseguenza, vanno considerate tutte quante come se non ci fossero (“tamquam non essent”).[11]
Identica sorte spetta alle dichiarazioni più recenti che hanno confermato il divieto e l’obbligo in parola.
Mi riferisco al numero 16 del decreto del concilio Vaticano II Presbyterorum ordinis[12] e al numero 1580 del Catechismo della chiesa cattolica.[13]
Nei numeri ora citati, c’è la presa di coscienza del fatto che “La perfetta e perpetua continenza per il Regno dei cieli…non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio” e si citano anche due dei quattro passi del Nuovo Testamento che abbiamo poc’anzi ricordato (1 Tm 3,2-5; Tt 1,6), tuttavia si conferma la normativa sul celibato per chi ha il sacerdozio ministeriale.
Chi scrive non riesce a comprendere come si possano citare due passi della parola di Dio che dicono “A” e al contempo confermare una normativa della Chiesa che impone il contrario di “A”.
Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – sul divieto per chi ha il sacerdozio ministeriale di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere il celibato vanno considerate tutte quante come se non ci fossero (“tamquam non essent”).[14]
LE ALTRE CATEGORIE DI FEDELI
Ora ci chiediamo se il celibato sia imposto dalla Scrittura ai fedeli che non hanno il sacerdozio ministeriale.
Nella prima lettera ai corinzi, il capitolo 7 è interamente dedicato alla vita relazionale di queste persone.[15]
Agli sposi il versetto 5 dice: “Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione.”.
A coloro che conducono vita laicale consacrata i versetti 17, 20 e 24 dicono: “Fuori di questi casi, ciascuno continui a vivere secondo la condizione che gli ha assegnato il Signore, così come Dio lo ha chiamato; così dispongo in tutte le chiese. …Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato. …Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato.”.[16]
Come possiamo leggere, il capitolo 7 della prima lettera ai corinzi non prevede alcun obbligo di castità, celibato, nubilato, verginità consacrata per i fedeli che non hanno il sacerdozio ministeriale.
Alla luce di ciò, chiediamoci come deve essere disciplinata la vita laicale consacrata.
Per dare una risposta, riflettiamo su quanto abbiamo appena letto nella parola di Dio.
Come è noto, la vita laicale consacrata consiste nella scelta di vivere il vangelo secondo la regola dettata dal fondatore o dalla fondatrice.
Il capitolo 7 della prima lettera ai corinzi lascia la condizione relazionale di ogni persona chiamata alla vita laicale consacrata alla scelta che Dio fa di chiamarla prima o dopo che questa si sia sposata e abbia avuto dei figli.
Di conseguenza, non è possibile imporre l’obbligo della castità, del celibato, del nubilato, della verginità a coloro che fanno vita laicale consacrata.
Questo non solo perché un obbligo in tal senso andrebbe contro la parola di Dio, ma altresì perché Dio è la perfezione assoluta e dunque non dimentica di dire qualcosa!
Se Dio avesse voluto affermare l’obbligo della castità, del celibato, del nubilato, della verginità per coloro che fanno vita laicale consacrata lo avrebbe sancito nella sua Parola.
Se Dio riserva a se stesso la scelta di chiamare una persona alla vita laicale consacrata prima o dopo che questa si sia sposata e abbia avuto figli, chi può permettersi di imporre a chi vuole fare vita laicale consacrata l’obbligo della castità, del celibato, del nubilato, della verginità impedendo a Dio di fare la sua scelta?
Tutto ciò considerato, la conclusione è una sola.
Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – sul divieto per i fedeli che non hanno il sacerdozio ministeriale di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere la castità, il celibato, il nubilato, la verginità consacrata non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).[17]
Inoltre, la condizione relazionale di ogni persona chiamata alla vita laicale consacrata è un dato che compete alla scelta che Dio fa di chiamarla prima o dopo che questa si sia sposata e abbia avuto dei figli.
Piaccia o meno tutto quanto è stato detto fin ora, questo è quanto la Scrittura afferma e un cristiano non se può discostare.
LE MODIFICHE DA APPORTARE
I passi biblici citati e le motivazioni esposte in questo articolo rendono necessario apportare le seguenti modifiche al fine di rendere la normativa vigente nella Chiesa conforme alla Scrittura.
Oltre a quanto abbiamo detto, bisogna considerare che la professione monastica non ha alcun senso fuori del monastero.
Non ha alcun senso prevedere l’esistenza di ordini nei quali i membri, fuori dal monastero e senza essere monaci, “emettono una professione che è equiparata alla professione monastica” (canone 504, paragrafo 1, del codice dei canoni delle chiese orientali).
Dunque, nel codice dei canoni delle chiese orientali la disciplina degli ordini va modificata in modo da fare riferimento a quella degli istituti secolari presente nel codice di diritto canonico.
Di conseguenza, nel codice dei canoni delle chiese orientali va modificata anche la disciplina delle congregazioni in modo da fare riferimento a quella delle società di vita apostolica presente nel codice di diritto canonico.
I SACRI MINISTRI
Codice di diritto canonico
I canoni 194, 247, 277, 291, 1037 e 1087 vanno modificati nel modo seguente:
Can. 194 – §1. È rimosso dall’ufficio ecclesiastico per il diritto stesso: 1) chi ha perso lo stato clericale; 2) chi si è separato pubblicamente dalla fede cattolica o dalla comunione della Chiesa [; 3) numero abrogato].
§2. La rimozione, di cui al numero 2, può essere sollecitata soltanto se della medesima consti da una dichiarazione dell’autorità competente.
Can. 247 – §1. [Paragrafo abrogato].
§2. Gli alunni siano resi debitamente consapevoli dei doveri e degli oneri che sono propri dei ministri della Chiesa, senza alcuna reticenza sulle difficoltà della vita sacerdotale.
Can. 277 – §1. [Paragrafo abrogato]
§2. I chierici si comportino con la dovuta prudenza nei rapporti con persone la cui familiarità può [parole abrogate] suscitare lo scandalo dei fedeli.
§3. Spetta al vescovo diocesano stabilire norme più precise su questa materia e giudicare sull’osservanza di questo obbligo nei casi particolari.
Can. 291 – [Canone abrogato].
Can. 1037 – §1. Bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo. È necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo.
§2. Il candidato al presbiterato deve essere irreprensibile, sposato una sola volta, con figli credenti e che non possano essere accusati di dissolutezza o siano insubordinati.
§3. I diaconi siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio. I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie.
§4. Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – contrarie a questo canone non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).
Can. 1087 – [Canone abrogato]
LA VITA CONSACRATA
L’abolizione dell’obbligo della castità, del celibato, del nubilato, della verginità consacrata e la riforma della vita consacrata
Codice di diritto canonico, canone 598.
Il canone 598 del codice di diritto canonico va modificato nel modo seguente:
Norme comuni a tutti gli istituti di vita consacrata (Cann. 573-607)
Can. 598 – §1. Ogni istituto, attese l’indole e le finalità proprie, deve stabilire nelle costituzioni il modo in cui, secondo la propria forma di vita, si devono osservare i consigli evangelici [parole abrogate] di cui parla il nuovo testo del canone 211 di questo codice.
§2. Tutti i membri poi devono non solo osservare integralmente e con fedeltà i consigli evangelici, ma anche vivere secondo il diritto proprio dell’istituto, e in tal modo tendere alla perfezione del proprio stato.
§3. Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – sul divieto per i fedeli che non hanno il sacerdozio ministeriale di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere la castità, il celibato, il nubilato, la verginità consacrata non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).
§4. La condizione relazionale di ogni persona chiamata a un istituto di vita monastica, di vita religiosa, di vita consacrata è un dato che compete alla scelta che Dio fa di chiamarla prima o dopo che questa si sia sposata e abbia avuto dei figli. Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – contrarie a questo paragrafo non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).
Il matrimonio – Impedimenti dirimenti in specie (cannoni 1083-1094)
Can. 1088 – [Canone abrogato]
GLI ISTITUTI SECOLARI
Codice di diritto canonico
I canoni 712 e 721 vanno modificati nel modo seguente:
Can. 712 – §1. [Parole abrogate] Le costituzioni stabiliscano i vincoli [parola abrogata] con cui vengono assunti nell’istituto i consigli evangelici di cui parla il nuovo testo del canone 211 di questo codice e definiscano gli obblighi che essi comportano, salva sempre però, nello stile di vita, la secolarità propria dell’istituto.
Can. 721 – §1. È ammesso invalidamente al periodo di prova iniziale: 1) chi non ha ancora raggiunto la maggiore età; 2) chi è legato attualmente con vincolo sacro ad un istituto di vita consacrata o è stato incorporato in una società di vita apostolica [; 3) parole abrogate].
§2. Le costituzioni possono stabilire altri impedimenti anche per la validità dell’ammissione, o porre condizioni.
§3. Per essere accettati si richiede inoltre la maturità necessaria a condurre in modo conveniente la vita propria dell’istituto.
LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA
Codice di diritto canonico
I canoni 731 e 732 vanno modificati nel modo seguente:
Can. 731 – §1. [Parole abrogate] Le società di vita apostolica sono quelle i cui membri, senza voti religiosi, perseguono il fine apostolico proprio della società e, conducendo vita fraterna in comunità secondo un proprio stile, tendono alla perfezione della carità mediante l’osservanza delle costituzioni.
§2. [Paragrafo abrogato]
Can. 732 – Quanto è stabilito nei canoni dal numero 578 – a esclusione delle parole “e anche l’oggetto proprio dei sacri vincoli” contenute nel canone 587, paragrafo 1 – fino al numero 597 e nel canone 606 si applica anche alle società di vita apostolica nel rispetto della natura di ciascuna società [; parole abrogate].
I VESCOVI
Codice dei canoni delle chiese orientali
Il canone 180 va modificato nel modo seguente:
Can. 180- §1. Perché qualcuno sia ritenuto idoneo all’episcopato si richiede che sia:
1° [numero abrogato];
2° [numero abrogato];
3° [numero abrogato];
4° almeno di trentacinque anni d’età;
5° costituito nell’ordine del presbiterato almeno da cinque anni;
6° dottore o licenziato o almeno esperto in qualche scienza sacra.
§2. Bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo. È necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo.
§3. Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – contrarie al paragrafo 2 di questo canone non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).
I SACERDOTI E I DIACONI
Codice dei canoni delle chiese orientali
Il canone 762 va modificato nel modo seguente:
Can. 762 – §1. È impedito dal ricevere gli ordini sacri:
1° chi è colpito da qualche forma di demenza o da altra infermità psichica, a motivo della quale è giudicato, dopo aver consultato i periti, inabile a svolgere correttamente il ministero;
2° chi ha commesso il delitto di apostasia, di eresia oppure di scisma;
3° [numero abrogato]
4° chi ha commesso omicidio volontario oppure ha procurato un aborto conseguendone l’effetto e tutti coloro che vi hanno cooperato positivamente;
5° chi ha mutilato gravemente e dolosamente se stesso o un altro o che ha tentato di togliersi la vita;
6° chi ha posto un atto di ordine riservato a chi è costituito nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato, o essendone privo o avendo la proibizione di esercitarlo per qualche pena canonica.
7° chi esercita un ufficio o l’amministrazione vietata ai chierici di cui deve rendere conto finché, abbandonato l’ufficio e l’amministrazione e fatto inoltre il rendiconto, sia diventato libero;
8° il neofita, a meno che, a giudizio del Gerarca, sia sufficientemente sperimentato.
§2. Gli atti dai quali possono provenire gli impedimenti di cui nel §1, nn. 2-6, non producono impedimenti se non sono stati peccati gravi ed esterni commessi dopo il battesimo.
Codice dei canoni delle chiese orientali
Il canone 769 va modificato nel modo seguente:
Can. 769 – §1. L’autorità che ammette un candidato alla sacra ordinazione, deve ottenere:
1° la dichiarazione di cui nel can. 761, come pure il certificato dell’ultima sacra ordinazione oppure, se si tratta della prima sacra ordinazione, anche il certificato di battesimo e della crismazione del santo myron;
2° [parole abrogate] il certificato di matrimonio e il consenso dato per iscritto dalla moglie;
3° il certificato degli studi compiuti;
4° le lettere testimoniali del rettore del seminario o del Superiore di un istituto di vita consacrata, oppure del presbitero al quale è stato affidato il candidato fuori del seminario, sui buoni costumi dello stesso candidato;
5° le lettere testimoniali di cui nel can. 771, §3;
6° le lettere testimoniali, se lo giudica opportuno, degli altri Vescovi eparchiali o dei Superiori di istituti di vita consacrata dove il candidato ha dimorato per qualche tempo, sulle qualità del candidato e sulla sua libertà da ogni impedimento canonico.
§2. Questi documenti siano conservati nell’archivio della stessa autorità.
§3. Il candidato al presbiterato deve essere irreprensibile, sposato una sola volta, con figli credenti e che non possano essere accusati di dissolutezza o siano insubordinati.
§4. I diaconi siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio. I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie.
§5. Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – contrarie ai paragrafi 3 e 4 di questo canone non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).
I RELIGIOSI
L’abolizione dell’obbligo della castità, del celibato, del nubilato, della verginità consacrata e la riforma della vita consacrata
Il canone 410 del codice dei canoni delle chiese orientali va modificato nel modo seguente:
Can. 410 – §1. Ogni istituto, attese l’indole e le finalità proprie, deve stabilire nelle costituzioni il modo in cui, secondo la propria forma di vita, si devono osservare i consigli evangelici di cui parla il nuovo testo del canone 14 di questo codice.
§2. Tutti i membri poi devono non solo osservare integralmente e con fedeltà i consigli evangelici, ma anche vivere secondo il diritto proprio dell’istituto, e in tal modo tendere alla perfezione del proprio stato.
§3. Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – sul divieto per i fedeli che non hanno il sacerdozio ministeriale di sposarsi e di avere figli e sull’obbligo per i medesimi soggetti di vivere la castità, il celibato, il nubilato, la verginità consacrata non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).
§4. La condizione relazionale di ogni persona chiamata a un istituto di vita monastica, di vita religiosa, di vita consacrata è un dato che compete alla scelta che Dio fa di chiamarla prima o dopo che questa si sia sposata e abbia avuto dei figli. Poiché la normativa di qualsiasi tipo (canonica, disciplinare, liturgica, etc.) vigente nella Chiesa non può andare contro la rivelazione, tutte le affermazioni – di qualsiasi tipo e da chiunque rese: individuo o concilio – contrarie a questo paragrafo non sono conformi alla Scrittura e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).
GLI ORDINI E LE CONGREGAZIONI
Codice dei canoni delle chiese orientali
Il canone 504 va modificato nel modo seguente:
Can. 504 – §1. L’ordine è una società regolata dai canoni del codice di diritto canonico che disciplinano gli istituti secolari.
§2. La congregazione è una società regolata dai canoni del codice di diritto canonico che disciplinano le società di vita apostolica.
§3. Ogni norma contraria a questo canone è abrogata.
Codice dei canoni delle chiese orientali
Il canone 517 va modificato nel modo seguente:
Can. 517 – [Canone abrogato]
Vi ringrazio per il vostro tempo e per la vostra attenzione.
NOTE A PIE’ DI PAGINA
[1] Tutti i passi dei testi citati in questo articolo sono presi dalle pagine internet indicate.
Se non altrimenti specificato, il sottolineato è mio.
Tutte le citazioni della Bibbia in questo articolo sono prese da “La Sacra Bibbia” edizione Conferenza episcopale italiana, in: http://www.vatican.va/archive/ITA0001/_INDEX.HTM
Tutte le citazioni del codice di diritto canonico in questo articolo sono prese da “Codex iuris canonici” in: http://www.vatican.va/archive/ITA0276/_INDEX.HTM
Tutte le citazioni del codice dei canoni delle chiese orientali presenti in questo articolo sono prese da “Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium” in latino in:
http://www.vatican.va/archive/cdc/index_it.htm
e in italiano in:
https://www.iuscangreg.it/cceo_multilingue.php
Tutte le citazioni del Catechismo della chiesa cattolica presenti in questo articolo sono prese da:
http://www.vatican.va/archive/ccc/index_it.htm
IL CELIBATO PER I SACRI MINISTRI
Codice di diritto canonico,
canoni 194, 247, 277, 291, 1037 e 1087:
“Can. 194 – §1. E rimosso dall’ufficio ecclesiastico per il diritto stesso: 1) chi ha perso lo stato clericale; 2) chi si è separato pubblicamente dalla fede cattolica o dalla comunione della Chiesa; 3) il chierico che ha attentato al matrimonio anche soltanto civile.
§2. La rimozione, di cui ai nn. 2 e 3, può essere sollecitata soltanto se della medesima consti da una dichiarazione dell’autorità competente.
Can. 247 – §1. Siano preparati mediante un’adeguata educazione a vivere lo stato del celibato e imparino ad apprezzarlo come dono peculiare di Dio.
§2. Gli alunni siano resi debitamente consapevoli dei doveri e degli oneri che sono propri dei ministri della Chiesa, senza alcuna reticenza sulle difficoltà della vita sacerdotale.
Can. 277 – §1. I chierici sono tenuti all’obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini.
§2. I chierici si comportino con la dovuta prudenza nei rapporti con persone la cui familiarità può mettere in pericolo l’obbligo della continenza oppure suscitare lo scandalo dei fedeli.
§3. Spetta al Vescovo diocesano stabilire norme più precise su questa materia e giudicare sull’osservanza di questo obbligo nei casi particolari.
Can. 291 – Oltre ai casi di cui al ⇒ can. 290, n. 1, la perdita dello stato clericale non comporta la dispensa dall’obbligo del celibato: questa viene concessa unicamente dal Romano Pontefice.
Can. 1037 – Il promovendo al diaconato permanente, che non sia sposato, e così pure il promovendo al presbiterato, non siano ammessi all’ordine del diaconato, se non hanno assunto, mediante il rito prescritto, pubblicamente, davanti a Dio e alla Chiesa, l’obbligo del celibato oppure non hanno emesso i voti perpetui in un istituto religioso.
Can. 1087 – Attentano invalidamente al matrimonio coloro che sono costituiti nei sacri ordini.”
IL CELIBATO PER LA VITA CONSACRATA
Codice di diritto canonico,
canoni 598, 599, 654, 694, 1088:
Norme comuni a tutti gli istituti di vita consacrata (Cann. 573-607), canoni 598 e 599:
“Can. 598 – §1. Ogni istituto, attese l’indole e le finalità proprie, deve stabilire nelle costituzioni il modo in cui, secondo il suo programma di vita, sono da osservarsi i consigli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza.
Can. 599 – Il consiglio evangelico di castità assunto per il Regno dei cieli, che è segno della vita futura e fonte di una più ricca fecondità nel cuore indiviso, comporta l’obbligo della perfetta continenza nel celibato.”
La professione religiosa (Cann. 654-658), canone 654:
“Can. 654 – Con la professione religiosa i membri assumono con voto pubblico l’obbligo di osservare i tre consigli evangelici, sono consacrati a Dio mediante il ministero della Chiesa e vengono incorporati all’istituto con i diritti e i doveri definiti giuridicamente.”
Dismissione dei religiosi (Cann. 694-704), canone 694:
“Can. 694 – §1. Si deve ritenere dimesso dall’istituto, per il fatto stesso, il religioso che: 1) abbia in modo notorio abbandonato la fede cattolica; 2) abbia contratto matrimonio o ad esso abbia attentato, anche solo civilmente.
§2. In tali casi il Superiore maggiore col suo consiglio deve senza indugio, raccolte le prove, emettere la dichiarazione del fatto perché la dimissione consti giuridicamente.”
Il matrimonio – Impedimenti dirimenti in specie (Cann. 1083-1094), canone 1088:
“Can. 1088 – Attentano invalidamente il matrimonio coloro che sono vincolati dal voto pubblico perpetuo di castità emesso in un istituto religioso.”
IL CELIBATO NEGLI ISTITUTI SECOLARI
Codice di diritto canonico,
canoni 712 e 721:
“Can. 712 – Ferme restando le disposizioni dei cann. ⇒ 598-601, le costituzioni stabiliscano i vincoli sacri con cui vengono assunti nell’istituto i consigli evangelici e definiscano gli obblighi che essi comportano, salva sempre però, nello stile di vita, la secolarità propria dell’istituto.
Can. 721 – §1. È ammesso invalidamente al periodo di prova iniziale: 1) chi non ha ancora raggiunto la maggiore età; 2) chi è legato attualmente con un vincolo sacro ad un istituto di vita consacrata o è stato incorporato in una società di vita apostolica; 3) chi è sposato, durante il matrimonio.”
IL CELIBATO NELLE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA
Codice di diritto canonico,
canoni 731 e 732:
“Can. 731 – §1. Agli istituti di vita consacrata sono assimilate le società di vita apostolica i cui membri, senza voti religiosi, perseguono il fine apostolico proprio della società e, conducendo vita fraterna in comunità secondo un proprio stile, tendono alla perfezione della carità mediante l’osservanza delle costituzioni.
§2. Fra queste vi sono società i cui membri assumono i consigli evangelici con qualche vincolo definito dalle costituzioni.
Can. 732 – Quanto è stabilito nei cann. ⇒ 578-597 e ⇒ 606 si applica anche alle società di vita apostolica, tuttavia nel rispetto della natura di ciascuna società; alle società di cui al ⇒ can. 731, §2, si applicano anche i cann. ⇒ 598-602.”
[2] I VESCOVI
Codice dei canoni delle chiese orientali,
canone 180:
“Can. 180 – Ut quis idoneus ad episcopatum habeatur, requiritur, ut sit:
1° firma fide, bonis moribus, pietate, animarum zelo et prudentia praestans;
2° bona existimatione gaudens;
3° vinculo matrimonii non ligatus;
4° annos natus saltem triginta quinque;
5° a quinquennio saltem in ordine presbyteratus constitutus;
6° in aliqua scientia sacra doctor vel licentiatus vel saltem peritus.”
Il canone 180 in italiano:
“Can. 180 – Perché qualcuno sia ritenuto idoneo all’episcopato si richiede che sia:
1° distinto per fede salda, buoni costumi, pietà, zelo delle anime e prudenza;
2° di buona reputazione;
3° non legato da vincolo matrimoniale;
4° almeno di trentacinque anni d’età;
5° costituito nell’ordine del presbiterato almeno da cinque anni;
6° dottore o licenziato o almeno esperto in qualche scienza sacra.”
SACERDOTI E DIACONI
Codice dei canoni delle chiese orientali,
canoni 762 e 769:
“Can. 762 – § 1. A suscipiendis ordinibus sacris est impeditus:
1° qui aliqua forma laborat amentiae aliusve infirmitatis psychicae, qua consultis peritis inhabilis iudicatur ad ministerium rite implendum;
2° qui delictum apostasiae, haereseos aut schismatis commisit;
3° qui matrimonium, etiam civile tantum, attentavit, sive ipse vinculo matrimoniali aut ordine sacro aut voto publico perpetuo castitatis a matrimonio celebrando impeditus, sive cum muliere matrimonio valido coniuncta aut eodem voto litigata;
4° qui voluntarium homicidium perpetravit aut abortum procuravit effecto secuto omnesque positive cooperantes;
5° qui se ipsum vel alium graviter et dolose mutilavit vel sibi vitam adimere tentavit;
6° qui actum ordinis posuit in ordine episcopatus vel presbyteratus constitutis reservatum vel eodem carens vel ab eiusdem exercitio aliqua poena canonica prohibitus;
7° qui officiam vel administrationem gerit clericis vetitam, cuius rationem reddere debet, donec deposito officio et administratione atque rationibus redditis liber factus erit;
8° neophytus, nisi iudicio Hierarchae sufficienter probatus est.
§2. Actus, ex quibus impedimenta, de quibus in § 1, nn. 2 – 6 oriri possunt, illa non pariunt, nisi fuerunt peccata gravia et externa post baptismum perpetrata.”
Il canone 762 in italiano:
“Can. 762 – § 1. E’ impedito dal ricevere gli ordini sacri:
1° chi è colpito da qualche forma di demenza o da altra infermità psichica, a motivo della quale è giudicato, dopo aver consultato i periti, inabile a svolgere correttamente il ministero;
2° chi ha commesso il delitto di apostasia, di eresia oppure di scisma;
3° chi ha attentato il matrimonio, anche solo civile, sia che egli fosse impedito dal celebrare il matrimonio dal vincolo matrimoniale o dall’ordine sacro oppure dal voto pubblico perpetuo di castità, sia con una donna unita da un matrimonio valido oppure legata dallo stesso voto;
4° chi ha commesso omicidio volontario oppure ha procurato un aborto conseguendone l’effetto e tutti coloro che vi hanno cooperato positivamente;
5° chi ha mutilato gravemente e dolosamente se stesso o un altro o che ha tentato di togliersi la vita;
6° chi ha posto un atto di ordine riservato a chi è costituito nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato, o essendone privo o avendo la proibizione di esercitarlo per qualche pena canonica.
7° chi esercita un ufficio o l’amministrazione vietata ai chierici di cui deve rendere conto finché, abbandonato l’ufficio e l’amministrazione e fatto inoltre il rendiconto, sia diventato libero;
8° il neofita, a meno che, a giudizio del Gerarca, sia sufficientemente sperimentato.
§2. Gli atti dai quali possono provenire gli impedimenti di cui nel § 1, nn. 2-6, non producono impedimenti se non sono stati peccati gravi ed esterni commessi dopo il battesimo.”
Codice dei canoni delle chiese orientali,
canone 769:
“Can. 769 – § 1. Auctoritas, quae candidatum ad sacram ordinationem admittit, obtineat:
1° declarationem, de qua in can. 761, necnon testimonium ultimae sacrae ordinationis aut, si de prima sacra ordinatione agitur, etiam testimonium baptismi et chrismationis sancti myri;
2° si candidatus est matrimonio iunctus, testimonium matrimonii et consensum uxoris scripto datum;
3° testimonium de peractis studiis;
4° testimoniales litteras rectoris seminarii vel Superioris instituti vitae consecratae aut presbyteri, cui candidatus extra seminarium commendatus est, de bonis moribus eiusdem candidati;
5° testimoniales litteras, de quibus in can. 771, § 3;
6° testimoniales litteras, si id expedire iudicat, aliorum Episcoporum eparchialium vel Superiorum institutorum vitae consecratae, ubi candidatus per aliquod tempus commoratus est, de candidati qualitatibus deque eius libertate ab omni impedimento canonico.
§2. Haec documenta asserventur in archivo eiusdem auctoritatis.”
Il canone 769 in italiano:
“Can. 769 – § 1. L’autorità che ammette un candidato alla sacra ordinazione, deve ottenere:
1° la dichiarazione di cui nel can. 761, come pure il certificato dell’ultima sacra ordinazione oppure, se si tratta della prima sacra ordinazione, anche il certificato di battesimo e della crismazione del santo myron;
2° se il candidato è unito in matrimonio, il certificato di matrimonio e il consenso dato per iscritto della moglie;
3° il certificato degli studi compiuti;
4° le lettere testimoniali del rettore del seminario o del Superiore di un istituto di vita consacrata, oppure del presbitero al quale è stato affidato il candidato fuori del seminario, sui buoni costumi dello stesso candidato;
5° le lettere testimoniali di cui nel can. 771, § 3;
6° le lettere testimoniali, se lo giudica opportuno, degli altri Vescovi eparchiali o dei Superiori di istituti di vita consacrata dove il candidato ha dimorato per qualche tempo, sulle qualità del candidato e sulla sua libertà da ogni impedimento canonico.
§2. Questi documenti siano conservati nell’archivio della stessa autorità.”
I RELIGIOSI
Codice dei canoni delle chiese orientali,
canone 410:
“Can. 410 – Status religiosus est stabilis in communi vivendi modus in aliquo instituto ab Ecclesia approbato, quo christifideles Christum, Magistrum et Exemplum Sanctitatis, sub actione Spiritus Sancti pressius sequentes novo ac speciali titulo consecrantur per vota publica oboedientiae, castitatis et paupertatis sub legitimo Superiore ad normam statutorum servanda, saeculo renuntiant ac totaliter se devovent caritatis perfectioni assequendae in servitium Regni Dei pro Ecclesiae aedificatione et mundi salute utpote signa coelestem gloriam praenuntiantia.”
Il canone 410 in italiano:
“Can. 410 – Lo stato religioso è un modo stabile di vivere in comune in un istituto approvato dalla Chiesa, nel quale i fedeli cristiani, seguendo più da vicino Cristo, Maestro ed Esempio di Santità, sotto l’azione dello Spirito Santo, con nuovo e speciale titolo sono consacrati per mezzo dei voti pubblici di obbedienza, castità e povertà da osservare sotto un legittimo Superiore a norma degli statuti, rinunciano al secolo e si dedicano totalmente a conseguire la perfezione della carità al servizio del Regno di Dio per l’edificazione della Chiesa e la salvezza del mondo, come segni che preannunciano la gloria celeste.”
I MONACI
Codice dei canoni delle chiese orientali,
canoni 450 e 497:
“De admissione in monasterium sui iuris et de novitiatu
Can. 450 – Firmis praescriptis typici, quae potiora exigunt, ad novitiatum valide admitti non possunt:
1° acatholici;
2° qui poena canonica puniti sunt exceptis poenis, de quibus in can. 1426, § 1;
3° ii, quibus imminet gravis poena ob delictum, de quo legitime accusati sunt;
4° qui duodevicesimum aetatis annum nondum expleverunt, nisi agitur de monasterio, in quo habetur professio temporaria, quo in casu sufficit aetas septemdecim annorum;
5° qui monasterium ingrediuntur vi, metu gravi aut dolo inducti vel ii, quos Superior eodem modo inductus recipit;
6° coniuges durante matrimonio;
7° qui ligantur vinculo professionis religiosae vel alio sacro vinculo in instituto vitae consecratae, nisi de legitimo transitu agitur.”
Il canone 450 in italiano:
“L’ammissione nel monastero sui iuris e il noviziato
Can. 450 – Ferme restando le prescrizioni del tipico che esigano di più, non possono essere ammessi validamente al noviziato:
1° gli acattolici;
2° coloro che sono puniti da pena canonica eccetto le pene di cui nel can. 1426, § 1;
3° coloro su cui pende una grave pena per un delitto del quale sono legittimamente accusati;
4° coloro che non hanno ancora compiuto il diciottesimo anno di età, a meno che non si tratti di un monastero nel quale vi sia la professione temporanea, nel qual caso è sufficiente l’età di diciassette anni;
5° coloro che entrano nel monastero indotti da violenza, da timore grave oppure da dolo, o coloro che il Superiore riceve indotto allo stesso modo;
6° i coniugi mentre dura il matrimonio;
7° coloro che sono legati dal vincolo della professione religiosa o da altro vincolo sacro in un istituto di vita consacrata, a meno che non si tratti di un passaggio legittimo.”
Codice dei canoni delle chiese orientali,
canone 497:
“De dimissione monachorum
Can. 497 – § 1. Ipso iure dimissus a monasterio habendus est sodalis qui:
1° fidem catholicam publice abiecit;
2° matrimonium celebravit vel etiam civiliter tantum attentavit.
§2. His in casibus Superior monasterii sui iuris consulto suo consilio sine mora collectis probationibus declarationem facti emittat, ut iuridice constet de dimissione, atque quam primum de re auctoritatem, cui monasterium immediate subiectum est, certiorem faciat.”
Il canone 497 in italiano:
“La dimissione dei monaci
Can. 497 – § 1. E’ da ritenere dimesso dal monastero per il diritto stesso il membro che:
1° ha pubblicamente abbandonato la fede cattolica;
2° ha celebrato o anche solo civilmente attentato il matrimonio.
§2. In questi casi il Superiore del monastero sui iuris, dopo aver consultato il suo consiglio, senza alcun ritardo, raccolte le prove, emetta la dichiarazione del fatto, affinché consti giuridicamente della dimissione, e informi al più presto della cosa l’autorità a cui il monastero è immediatamente soggetto.”
GLI ORDINI E LE CONGREGAZIONI
Codice dei canoni delle chiese orientali,
canoni 504 e 517:
“Can. 504 – § 1. Ordo est societas ab auctoritate competenti ecclesiastica erecta, in qua sodales, etsi non sunt monachi, professionem emittunt, quae professioni monasticae aequiparatur.
§2. Congregatio est societas ab auctoritate competenti ecclesiastica erecta, in qua sodales professionem emittunt cum tribus votis publicis oboedientiae, castitatis et paupertatis, quae tamen professioni monasticae non aequiparatur, sed propriam vim habet ad normam iuris.”
Il canone 504 in italiano:
“Can. 504 – § 1. L’ordine è una società eretta dalla competente autorità ecclesiastica, nella quale i membri, pur non essendo monaci, emettono una professione che è equiparata alla professione monastica.
§2. La congregazione è una società eretta dalla competente autorità ecclesiastica, nella quale i membri emettono la professione con i tre voti pubblici di obbedienza, castità e povertà, la quale però non è equiparata alla professione monastica, ma ha una forza propria a norma del diritto.”
Codice dei canoni delle chiese orientali,
canone 517:
“Can. 517 – § 1. Aetas ad validam admissionem in novitiatum ordinis vel congregationis requisita est decimus septimus annus expletus; circa cetera requisita ad admissionem in novitiatum serventur cann. 448, 450, 452 et 454.
§2. Ad novitiatum instituti religiosi alterius Ecclesiae sui iuris nemo licite admitti potest sine licentia Sedis Apostolicae, nisi de candidato agitur, qui destinatus est provinciae vel domui, de qua in can. 432, propriae Ecclesiae.”
Il canone 517 in italiano:
“Can. 517 – § 1. L’età richiesta per la valida ammissione al noviziato di un ordine o congregazione è il diciasettesimo anno compiuto; a riguardo di tutti gli altri requisiti per l’ammissione al noviziato, si osservino i cann. 448, 450, 452 e 454.
§2. Nessuno può essere ammesso lecitamente al noviziato di un istituto religioso di un’altra Chiesa sui iuris senza la licenza della Sede Apostolica, a meno che non si tratti di un candidato che è destinato a una provincia o casa, di cui nel can. 432, della propria Chiesa.”
[3] Francesco Antonio Grana, 26 ottobre 2019, Sinodo sull’Amazzonia, arriva il sì ai preti sposati. Resta il no alle donne diacono. “Ma il celibato rimane dono di Dio, in: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/26/sinodo-sullamazzonia-arriva-il-si-ai-preti-sposati-no-alle-donne-diacono-ma-il-celibato-resta-dono-di-dio/5534909/
Marco Politi, 10 febbraio 2020, Preti sposati, Papa Francesco è nella morsa degli oppositori. E la svolta potrebbe non arrivare, in: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/02/10/preti-sposati-papa-francesco-e-nella-morsa-degli-oppositori-e-la-svolta-potrebbe-non-arrivare/5701604/
Redazione, 17 febbraio 2020, Sarà sui migranti il Sinodo del 2022? Mentre il dibattito sui preti sposati non è chiuso, in: http://www.farodiroma.it/sara-sui-migranti-il-sinodo-del-2022-mentre-il-dibattito-sui-preti-sposati-non-e-chiuso/
Don Arturo Cattaneo, 1 marzo 2020, Un’opinione sul dibattito sui preti sposati e su un eventuale discussione riguardo all’ordinazione delle donne al presbiterato, in: https://www.catt.ch/newsi/unopinione-sul-dibattito-sui-preti-sposati-e-su-un-eventuale-discussione-riguardo-allordinazione-delle-donne-al-presbiterato/
[4] Vangelo secondo Marco, capitolo 1, versetti 29-31:
“[29] E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni.
[30] La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei.
[31] Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli.”
[5] Prima lettera a Timoteo, capitolo 3, versetti 1-7:
“[1] È degno di fede quanto vi dico: se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro.
[2] Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare,
[3] non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro.
[4] Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità,
[5] perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?
[6] Inoltre non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo.
[7] È necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo.”
[6] Prima lettera a Timoteo, capitolo 3, versetti 8-13:
“[8] Allo stesso modo i diaconi siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto,
[9] e conservino il mistero della fede in una coscienza pura.
[10] Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio.
[11] Allo stesso modo le donne siano dignitose, non pettegole, sobrie, fedeli in tutto.
[12] I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie.
[13] Coloro infatti che avranno ben servito, si acquisteranno un grado onorifico e una grande sicurezza nella fede in Cristo Gesù.”
[7] Lettera a Tito, capitolo 1, versetti 1-6:
“[1] Paolo, servo di Dio, apostolo di Gesù Cristo per chiamare alla fede gli eletti di Dio e per far conoscere la verità che conduce alla pietà
[2] ed è fondata sulla speranza della vita eterna, promessa fin dai secoli eterni da quel Dio che non mentisce,
[3] e manifestata poi con la sua parola mediante la predicazione che è stata a me affidata per ordine di Dio, nostro salvatore,
[4] a Tito, mio vero figlio nella fede comune: grazia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù, nostro salvatore.
[5] Per questo ti ho lasciato a Creta perché regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato:
[6] il candidato deve essere irreprensibile, sposato una sola volta, con figli credenti e che non possano essere accusati di dissolutezza o siano insubordinati.”
[8] Enciclopedia Treccani on-line,
voce “celibato” in:
http://www.treccani.it/enciclopedia/celibato/
“Nell’antichità l’influsso del concetto religioso secondo il quale il culto dei defunti era necessario alla loro pace ultramondana, donde la necessità di lasciare dietro di sé dei discendenti che perpetuassero questo culto, ispirò al diritto dello Stato, erede del diritto sacro, una politica legislativa in favore del matrimonio e ostile al celibato. A Roma l’avversione al c. è documentata in antico, ma la legislazione rimase sostanzialmente blanda: quella augustea sancì privilegi per i coniugati e per i padri, ma trovò forte ostacolo a essere approvata, e per quanto rimanesse in vigore fino a Costantino non fu mai rigorosamente osservata.
Diversa valenza il c. assume in ambito religioso, quando la castità assoluta è imposta, per ideale ascetico o per motivi rituali, a persone che si trovano in particolare contatto col sacro. Nel cristianesimo primitivo, che presenta l’unione dell’uomo e della donna nel matrimonio come veicolo di grazia e segno mistico dell’unione di Cristo con la sua Chiesa, il c. è proposto come ideale ma non come obbligo per il clero/”>clero, a parte l’esclusione delle seconde nozze (il vescovo, secondo s. Paolo, dev’essere «marito di una sola moglie»).
Il c. ecclesiastico si affermò nei primi anni del 4° sec., quando il Concilio di Elvira (Iliberri, odierna Granada) ordinò a tutti i chierici di astenersi dal matrimonio e dal generare figli, pena la deposizione. La norma fu ratificata, in Occidente, dal papa Siricio nel Concilio romano del 386, quindi da Innocenzo I e da vari Concili (Toledo, 390 e 400, Cartagine e Torino, 401). In Oriente, invece (Concili di Ancira, 314; Nicea, 325; Gangra, circa 350), si ritenne opportuno autorizzare chi non si sentisse di praticare il c. a usare dei diritti coniugali. Altri testi si ispiravano a maggiore severità, per cui, dopo la legislazione giustinianea, la regola del 2° Concilio Trullano (o Sinodo quinisexto, 692) stabilì che ai coniugati non si poteva negare l’ordinazione a suddiacono, diacono o prete, ma vietò il matrimonio dopo l’ordinazione e impose il c. assoluto per i vescovi (generalmente scelti tra i monaci; se sposati, la moglie doveva ritirarsi in un monastero): regola tuttora in vigore nella Chiesa orientale, salvo che fra i copti e gli etiopici, che permettono ai vescovi di tenere le loro mogli.
In Occidente un vero e proprio ripudio del c. ecclesiastico si ebbe soltanto con Lutero, seguito in ciò dagli altri riformatori. In opposizione a tale tendenza, il Concilio di Trento, confermando e chiarendo un decreto di Callisto II (1123), sancì l’invalidità del matrimonio contratto da religiosi di voti solenni e da chierici negli ordini maggiori. Dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa latina ha ribadito l’obbligo del c. per i presbiteri (dal momento dell’ordinazione diaconale) e per i diaconi permanenti, anche di età matura, ma non sposati. La dispensa dal c. sacerdotale, riservata personalmente al papa, è stata regolata dapprima da alcune norme emanate dalla Congregazione per la dottrina della fede (1971) e, in seguito alla loro revisione e verifica, da nuovi criteri fissati da Giovanni Paolo II (1980).”
[9] Alfredo Saccardo, Il concilio di Elvira del 305, in:
http://www.smseurope.org/SCIENZEFEDI/SeF_ALFREDO/elvira305.htm
“II concilio spagnolo di Elvira, città dell’Andalusia nei pressi di Granada, ha una straordinaria importanza. È uno dei primi concili della Chiesa. Contiene canoni disciplinari e si svolge quando non c’è ancora libertà di professare pubblicamente la fede.
Ha un numero così elevato di canoni (81) da superare qualsiasi altro concilio del IV secolo, compreso quello ecumenico di Nicea del 325.
Non è un concilio che vuole risolvere problemi dogmatici, ma solo disciplinari.
Questo concilio ci permette di conoscere l’estensione del cristianesimo in Spagna e la severità di una disciplina che susciterà vivaci polemiche.
Certamente all’inizio del IV secolo il cristianesimo è già fiorente in Spagna, tanto che tutte le sei province hanno le loro chiese, anche se non tutte sono presenti ad Elvira.
È assente la chiesa della Mauritania Tingitana.
Sono presenti 19 vescovi: il più famoso è Osio di Cordova perché, consigliere dell’imperatore Costantino, parteciperà al concilio ecumenico di Nicea e a quello di Sardica. Osio rappresenta insomma un valido collegamento fra la chiesa d’occidente e quella d’oriente.
Il concilio di Elvira è così importante che alcuni suoi canoni saranno riportati e ripresi nei concili di Arles del 314, di Nicea del 315, di Sardica del 343.
I canoni disciplinari del concilio di Elvira, espressi con semplicità e chiarezza, sono severissimi.
Certi peccati, elencati in alcuni canoni (1, 2, 8, 10, 12, 17, 19, 71, 75), escludono perfino la comunione finale (nec in fine dandam esse communionem).
Non ci soffermiamo sul significato di simili terribili condanne: all’inizio del IV secolo è in atto una tremenda persecuzione nell’impero romano per cui molti cristiani vacillano, altri abiurano… si affermano le prime eresie che minano l’autentica dottrina di Cristo: forse per questo i vescovi presenti ad Elvira sono così severi.
Anche il can. 33 propugna una pena severa per chi trasgredisce ciò che il canone proibisce: “Placuit in totum prohiberi episcopis, presbyteris et diaconibus, vel omnibus clericis positis in ministerio, abstinere se a coniugibus suis, et non generare fìlios: quicumque vero fecerit ab honore clericatus exterminetur” (Mansi II, 11). “Noi decidiamo di proibire ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi e a tutti coloro che sono impegnati nel ministero, di astenersi del tutto dalle proprie mogli e di non generare figli: chiunque lo farà, sarà eliminato dal clero”.
Il senso ed il contenuto del canone sono precisi e chiari: SI PROIBISCE LA TOTALE ASTENSIONE DALLE SPOSE E DI NON GENERARE FIGLI!
Ma dopo parecchi secoli, storici e teologi tradurranno il canone capovolgendone il senso, affermando che ad Elvira si è ORDINATA l’astensione dalle mogli proibendo i rapporti coniugali ai chierici.
Con questa arbitraria affermazione si è calpestato il significato letterale del canone che presenta una straordinaria difesa dei diritti naturali dei vescovi, dei preti, dei diaconi, diritti che si trasformeranno, nei secoli, in doveri di astensione per motivi più o meno inconsci di purità rituale e sacrale, assenti del tutto nell’insegnamento di Cristo e degli Apostoli e di inequivocabile provenienza giudaico-pagana.
- Tutti i concili della prima metà del IV secolo (compreso quello ecumenico di Nicea) non accennano ad obblighi di continenza sacrale e rituale per il clero. Anzi! Sia a Nicea con Pafnuzio, sia a Gangra si afferma il rispetto per il clero coniugato e convivente con le spose. A Nicea nel 325 e a Sardica nel 343 è presente il vescovo spagnolo Osio, uno dei protagonisti del concilio di Elvira.
- Data la presenza nella chiesa, fin dai primi secoli, di eresie manichee, gnostiche e altre minori, tutte contrarie in qualche modo all’attività sessuale anche nel matrimonio, è più che logico che un concilio importante come quello di Elvira si pronunci con forza e durezza contro quelle idee che stavano infiltrandosi anche nella chiesa spagnola e che incriminavano il sacrosanto diritto naturale dell’attività matrimoniale dei fedeli e soprattutto dei ministri della chiesa.
- Imerio, vescovo spagnolo di Tetragona, nella seconda metà del IV secolo, chiede lumi a Roma riguardo a varie questioni disciplinari della chiesa spagnola, fra le quali la continenza e la vita coniugale del clero. Ciò dimostra che i ministri della chiesa vivevano regolarmente con le mogli. Ma proprio in quegli anni si diffondevano in Spagna le idee priscilliane di stampo manicheo e nemiche dichiarate dell’attività sessuale matrimoniale del clero.
- Ciò spiega l’interrogazione pressante fatta in proposito al papa, domanda che sarebbe stata superflua se il concilio di Elvira avesse perentoriamente stabilito la continenza del clero alcuni decenni prima.
- La risposta di papa Siricio ad Imerio nel 385 (Mansi III, 655-662), contraria all’attività sessuale (ma non al matrimonio) del clero, è forse suggerita da S. Girolamo, consigliere del papa e assertore della continenza assoluta dei ministri ecclesiastici. Il responso pontifìcio non accenna minimamente al can. 33 di Elvira, che poteva avallare le tesi puriste di Siricio, se avesse proibito i rapporti del clero spagnolo con le mogli.
- I Padri della chiesa, propugnatori della continenza sacrale dei ministri, non citano assolutamente il can. 33 di Elvira che, per la sua antichità e severità, avrebbe potuto rappresentare un argomento solido a favore della continenza del clero, se avesse espresso ordini di stampo purista.
- Nei secoli XI e XII, in cui si lotta per riformare il clero corrotto e concubino, si citano parecchi concili di epoche precedenti per sostenere la necessità della continenza del clero, ma quello di Elvira mai. Per la sua forza e per essere stato il primo concilio occidentale con canoni disciplinari, sarebbe stato citato ben volentieri se avesse ordinato la continenza del clero.
- La celebre ”Storia dei concili”di Hefele-Leclercq, che commenta il can. 33 di Elvira in chiave purista, aggiunge che la stesura del canone è “difettosa”, quindi non attendibile. Questo probabilmente perché il canone non dice quello che si vorrebbe dicesse.
- Se il can. 33 del concilio di Elvira avesse voluto stabilire l’obbligo dell’astensione dei ministri sacri dalle loro mogli, sarebbe stato redatto come il can. 61 dello stesso concilio che dice: “…placuit abstinere a…”.Il can. 33 invece dice: “…placuit prohiberi abstinere se a…“ Insomma nel can. 61 si ordina di astenersi da…, mentre nel can. 33 si proibisce di astenersi da…
- Secondo i puristi, il can. 33 proibirebbe i rapporti con le spose anche ai chierici di grado inferiore (omnibus clericis positisin ministerio). Ma la continenza ai suddiaconi viene imposta per la prima volta da papa Leone Magno nel V secolo, per cui è assurdo che ad Elvira, 150 anni prima, fossero obbligati alla continenza i semplici chierici, inferiori ai suddiaconi.
- La storica medioevale G. Rossetti, in uno studio sul matrimonio del clero nell’Alto Medioevo (Il Matrimonio nella società A. Medioevale, XXIV1 Spoleto, 1977)è del parere che il can. 33 di Elvira dica quello che letteralmente afferma: la difesa dei diritti coniugali del clero.
- Lo storico di Lovanio M. Meigne, sostenendo la tesi che probabilmente il can. 33 di Elvira farebbe parte di una collezione di canoni del IV secolo (per la somiglianza con canoni del concilio di Gangra e con alcuni canoni degli Apostoli della II metà del IV secolo), non fa altro che affermare, con dovizia di argomenti storici comparati, l’interpretazione letterale del can. 33 di Elvira.
- Ecco le testuali parole del Meigne: “Il senso del canone che si ricava dal contesto storico, è esattamente contrario a quello purista abitualmente attribuitogli. Gli autori del can. 33 non si proponevano di consigliare, incoraggiare, ordinare l’astinenza coniugale ai chierici, ma prendevano la difesa del diritto coniugale e del diritto naturale (rifiutato dagli eretici) di generare figli, contro la novità di un falso ascetismo“(M. Meigne in Révue d’Histoire Ecclesiastique 70, Lovain, 1975, p. 361-387).
- Pio XI nell’enciclica “Ad catholici sacerdotii” del 1935 e l’Enciclopedia Cattolica vol. 5 pag. 267, sembrano copiarsi a vicenda: “La prima traccia scritta della legge del celibato si riscontra nel can. 33 del concilio di Elvira…”(anche Paolo VI nella “Sacerdotalis coelibatus” dice le stesse cose). Ma ad Elvira si afferma tutto il contrario: né continenza, né celibato, il quale verrà imposto come legge nella chiesa latina solo con il concilio Lateranense del 1139.
- Sono così numerosi gli storici, i teologi, i giuristi, i testi enciclopedici italiani ed europei che considerano ancora oggi il can. 33 come inizio della legge del celibato ecclesiastico, da rimanere allibiti.
- Oltre a Pio XI e Paolo VI, anche il Denzinger con il celebre “Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum”è convinto che “proibire di astenersi dalle spose… “ significa “ordinare di astenersi dalle spose…“, con buona pace della lingua latina e dei vescovi spagnoli del IV secolo, che non meritavano certo di venire banalmente fraintesi su un argomento così importante.”
[10] Codice di diritto canonico,
canone 336:
“Can. 336 – Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane ininterrottamente il corpo apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo capo, è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale.”
[11] Il testo di questo articolo pubblicato il 1° giugno 2020 conteneva le parole: “Di conseguenza, devono essere tutte abrogate”.
Il 15 settembre 2021 ho corretto questa frase nel modo seguente: “Di conseguenza, vanno considerate tutte quante come se non ci fossero (“tamquam non essent”).”
La contrarietà di qualsiasi affermazione alla parola di Dio, infatti, non necessita di un atto di abrogazione, ma rende l’affermazione stessa inesistente.
Questo perché – lo ripeto ancora una volta – Dio non è un teologo particolarmente versato al quale possono contrapporsi le affermazioni di altri teologi ugualmente capaci.
Se il Nuovo Testamento afferma più volte e inequivocabilmente che chi ha il sacerdozio ministeriale sia sposato una sola volta, abbia figli e sappia governare bene la sua famiglia, qualsiasi tesi contraria non può soppiantare il dato inequivocabile della Scrittura.
Nessuna affermazione umana, infatti, può stare alla pari, superare o contraddire la parola di Dio.
[12] Decreto del concilio Vaticano II Presbyterorum ordinis,
numero 16, in:
“Il celibato
- La perfetta e perpetua continenza per il regno dei cieli, raccomandata da Cristo Signore (124) nel corso dei secoli e anche ai nostri giorni gioiosamente abbracciata e lodevolmente osservata da non pochi fedeli, è sempre stata considerata dalla Chiesa come particolarmente confacente alla vita sacerdotale. Essa è infatti segno e allo stesso tempo stimolo della carità pastorale, nonché fonte speciale di fecondità spirituale nel mondo (125). Essa non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente se si pensa alla prassi della Chiesa primitiva (126) e alla tradizione delle Chiese orientali, nelle quali, oltre a coloro che assieme a tutti i vescovi scelgono con l’aiuto della grazia il celibato, vi sono anche degli eccellenti presbiteri coniugati: per questo il nostro sacro Sinodo, nel raccomandare il celibato ecclesiastico, non intende tuttavia mutare quella disciplina diversa che è legittimamente in vigore nelle Chiese orientali, anzi esorta amorevolmente tutti coloro che hanno ricevuto il presbiterato quando erano nello stato matrimoniale a perseverare nella santa vocazione, continuando a dedicare pienamente e con generosità la propria vita per il gregge loro affidato (127).
Il celibato, comunque, ha per molte ragioni un rapporto di convenienza con il sacerdozio. Infatti la missione sacerdotale è tutta dedicata al servizio della nuova umanità che Cristo, vincitore della morte suscita nel mondo con il suo Spirito, e che deriva la propria origine « non dal sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma da Dio» (Gv 1,13). Ora, con la verginità o il celibato osservato per il regno dei cieli (128), i presbiteri si consacrano a Dio con un nuovo ed eccelso titolo, aderiscono più facilmente a lui con un cuore non diviso (129) si dedicano più liberamente in lui e per lui al servizio di Dio e degli uomini, servono con maggiore efficacia il suo regno e la sua opera di rigenerazione soprannaturale, e in tal modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo.
In questo modo, pertanto, essi proclamano di fronte agli uomini di volersi dedicare esclusivamente alla missione di fidanzare i cristiani con lo sposo unico e di presentarli a Cristo come vergine casta (130) evocando così quell’arcano sposalizio istituito da Dio, e che si manifesterà pienamente nel futuro per il quale la Chiesa ha come suo unico sposo Cristo (131). Essi inoltre diventano segno vivente di quel mondo futuro, presente già attraverso la fede e la carità, nel quale i figli della risurrezione non si uniscono in matrimonio (132).
Per questi motivi – fondati sul mistero di Cristo e della sua missione – il celibato, che prima veniva raccomandato ai sacerdoti, in seguito è stato imposto per legge nella Chiesa latina a tutti coloro che si avviano a ricevere gli ordini sacri. Questo sacro Sinodo torna ad approvare e confermare tale legislazione per quanto riguarda coloro che sono destinati al presbiterato, avendo piena certezza nello Spirito che il dono del celibato, così confacente al sacerdozio della nuova legge, viene concesso in grande misura dal Padre, a condizione che tutti coloro che partecipano del sacerdozio di Cristo con il sacramento dell’ordine, anzi la Chiesa intera, lo richiedano con umiltà e insistenza. Il sacro Sinodo esorta inoltre tutti i presbiteri, i quali hanno liberamente abbracciato il sacro celibato seguendo l’esempio di Cristo e confidando nella grazia di Dio, ad aderirvi generosamente e cordialmente e a perseverare fedelmente in questo stato, sapendo apprezzare il dono meraviglioso che il Padre ha loro concesso e che il Signore ha così esplicitamente esaltato (133) e avendo anche presenti i grandi misteri che in esso sono rappresentati e realizzati. E al mondo di oggi, quanto più la perfetta continenza viene considerata impossibile da tante persone, con tanta maggiore umiltà e perseveranza debbono i presbiteri implorare assieme alla Chiesa la grazia della fedeltà che mai è negata a chi la chiede. Ricorrano allo stesso tempo ai mezzi soprannaturali e naturali che sono a disposizione di tutti. E soprattutto non trascurino quelle norme ascetiche che sono garantite dalla esperienza della Chiesa e che nelle circostanze odierne non sono meno necessarie.
Questo sacro Sinodo prega perciò i sacerdoti – e non solo essi, ma anche tutti i fedeli – di avere a cuore il dono prezioso del celibato sacerdotale, e di supplicare tutti Iddio affinché lo conceda sempre abbondantemente alla sua Chiesa.”
Note presenti nel testo ora citato
“(124) Cf. Mt 19,12.
(125) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 42: AAS 57 (1965), pp. 47-49 [pag. 219ss].
(126) Cf. 1 Tm 3,2-5; Tt 1,6.
(127) Cf. PIO XI, Encicl. Ad catholici sacerdotii, 20 dic. 1935: AAS 28 (1936), p. 28.
(128) Cf. Mt 19,12.
(129) Cf. 1 Cor 7,32-34.
(130) Cf. 2 Cor 11,2.
(131) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 42 e 44: AAS 57 (1965), pp. 47-49 e 50-51 [pag. 219ss e 227ss]; Decr. sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis, n. 12 [pag. 423ss].
(132) Cf. Lc 20,35-36; PIO XI, Encicl. Ad catholici sacerdotii, 20 dic. 1935: AAS 28 (1936), pp. 24-28; PIO XII, Encicl. Sacra Virginitas, 25 marzo 1954: AAS 46 (1954), pp. 169-172.
(133) Cf. Mt 19,11.”
[13] Catechismo della chiesa cattolica,
numero 1580:
“1580 Nelle Chiese Orientali, da secoli, è in vigore una disciplina diversa: mentre i vescovi sono scelti unicamente fra coloro che vivono nel celibato, uomini sposati possono essere ordinati diaconi e presbiteri. Tale prassi è da molto tempo considerata come legittima; questi presbiteri esercitano un ministero fruttuoso in seno alle loro comunità [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Presbyterorum ordinis, 16]. D’altro canto il celibato dei presbiteri è in grande onore nelle Chiese Orientali, e numerosi sono i presbiteri che l’hanno scelto liberamente, per il Regno di Dio. In Oriente come in Occidente, chi ha ricevuto il sacramento dell’Ordine non può più sposarsi.”
[14] Il testo di questo articolo pubblicato il 1° giugno 2020 conteneva le parole: “devono essere tutte abrogate”.
Il 15 settembre 2021 ho corretto questa frase nel modo seguente: “vanno considerate tutte quante come se non ci fossero (“tamquam non essent”)”.”
Per la motivazione di questa correzione, si veda la nota numero 11.
[15] Prima lettera ai corinzi, capitolo 7, versetti 1-40:
“[1] Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna;
[2] tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito.
[3] Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito.
[4] La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie.
[5] Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione.
[6] Questo però vi dico per concessione, non per comando.
[7] Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro.
[8] Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io;
[9] ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere.
[10] Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito –
[11] e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito – e il marito non ripudi la moglie.
[12] Agli altri dico io, non il Signore: se un nostro fratello ha la moglie non credente e questa consente a rimanere con lui, non la ripudi;
[13] e una donna che abbia il marito non credente, se questi consente a rimanere con lei, non lo ripudi:
[14] perché il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi.
[15] Ma se il non credente vuol separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a servitù; Dio vi ha chiamati alla pace!
[16] E che sai tu, donna, se salverai il marito? O che ne sai tu, uomo, se salverai la moglie?
[17] Fuori di questi casi, ciascuno continui a vivere secondo la condizione che gli ha assegnato il Signore, così come Dio lo ha chiamato; così dispongo in tutte le chiese.
[18] Qualcuno è stato chiamato quando era circonciso? Non lo nasconda! È stato chiamato quando non era ancora circonciso? Non si faccia circoncidere!
[19] La circoncisione non conta nulla, e la non circoncisione non conta nulla; conta invece l’osservanza dei comandamenti di Dio.
[20] Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato.
[21] Sei stato chiamato da schiavo? Non ti preoccupare; ma anche se puoi diventare libero, profitta piuttosto della tua condizione!
[22] Perché lo schiavo che è stato chiamato nel Signore, è un liberto affrancato del Signore! Similmente chi è stato chiamato da libero, è schiavo di Cristo.
[23] Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini!
[24] Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato.
[25] Quanto alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ottenuto misericordia dal Signore e merita fiducia.
[26] Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa della presente necessità, di rimanere così.
[27] Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna? Non andare a cercarla.
[28] Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele.
[29] Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero;
[30] coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero;
[31] quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!
[32] Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore;
[33] chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie,
[34] e si trova diviso! Così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito.
[35] Questo poi lo dico per il vostro bene, non per gettarvi un laccio, ma per indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti al Signore senza distrazioni.
[36] Se però qualcuno ritiene di non regolarsi convenientemente nei riguardi della sua vergine, qualora essa sia oltre il fiore dell’età, e conviene che accada così, faccia ciò che vuole: non pecca. Si sposino pure!
[37] Chi invece è fermamente deciso in cuor suo, non avendo nessuna necessità, ma è arbitro della propria volontà, ed ha deliberato in cuor suo di conservare la sua vergine, fa bene.
[38] In conclusione, colui che sposa la sua vergine fa bene e chi non la sposa fa meglio.
[39] La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché ciò avvenga nel Signore.
[40] Ma se rimane così, a mio parere è meglio; credo infatti di avere anch’io lo Spirito di Dio.”
[16] Il fatto che i versetti 17, 20 e 24 del capitolo 7 della prima lettera ai corinzi si riferiscano alle persone che conducono vita laicale consacrata è dimostrato dalle parole “Fuori di questi casi” all’inizio del versetto 17 con le quali si fa riferimento ai casi trattati dall’inizio del capitolo 7, vale a dire le vicende che riguardano marito e moglie.
[17] Il testo di questo articolo pubblicato il 1° giugno 2020 conteneva le parole: “e vanno modificate.”.
Il 15 settembre 2021 ho corretto questa frase nel modo seguente: “e, di conseguenza, vanno considerate come se non ci fossero (“tamquam non essent”).”.
La contrarietà di qualsiasi affermazione alla parola di Dio, infatti, non necessita di un atto di abrogazione, ma rende l’affermazione stessa inesistente.
Questo perché – lo ripeto ancora una volta – Dio non è un teologo particolarmente versato al quale possono contrapporsi le affermazioni di altri teologi ugualmente capaci.
Se il Nuovo Testamento non prevede alcun obbligo di castità, celibato, nubilato, verginità consacrata per i fedeli che non hanno il sacerdozio ministeriale e lascia la condizione relazionale di ogni persona chiamata alla vita laicale consacrata alla scelta che Dio fa di chiamarla prima o dopo che questa si sia sposata e abbia avuto dei figli, qualsiasi tesi contraria non può soppiantare il dato inequivocabile della Scrittura.
Nessuna affermazione umana, infatti, può stare alla pari, superare o contraddire la parola di Dio.
Le citazioni sono state verificate alla data di pubblicazione di questo articolo sul sito www.giorgiocannella.com