Qui di seguito rispondo alle richieste di chiarimenti che mi sono pervenute dopo la pubblicazione del mio primo articolo sul referendum costituzionale italiano del 4 dicembre 2016[1].
1 – Sulla nuova legge elettorale numero 52 del 2015, il così detto Italicum.
È stato sottolineato che, sebbene la nuova legge elettorale numero 52 del 2015 non sia oggetto del prossimo referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, essa è parte di un progetto unitario di riforme concepito dal Governo.
Per questa ragione, gli elettori italiani, quando si recheranno a votare il 4 dicembre 2016, dovrebbero esprimere il loro giudizio volgendo la mente anche alla nuova legge elettorale.
Non mi meraviglia che un Governo nel quale vi è un Ministero per le riforme costituzionali pensi di proporre al Parlamento un vasto programma di riforme che comprenda, sia la legge elettorale, sia la modifica di alcune parti della Costituzione.
Tuttavia, gli elettori italiani valuteranno la nuova legge elettorale se e quando si svolgerà la consultazione referendaria per la sua abrogazione.
Infatti, il 4 dicembre 2016 gli elettori italiani non saranno chiamati a valutare l’Italicum, né l’intero programma di riforme che il Governo ha concepito, ma solo il disegno di legge di riforma costituzionale approvato dalla Camera dei deputati il 12 aprile 2016.
In parole semplici, andare a votare il 4 dicembre 2016 con la mente rivolta all’Italicum sarebbe come se ci venisse chiesto:
«Vi piace la pasta ?»,
e noi rispondessimo:
«La carne è dura !».
2 – Sull’articolo 78 della Costituzione.
Si è obiettato che il nuovo testo dell’articolo 78 della Costituzione mostrerebbe il legame tra la nuova legge elettorale numero 52 del 2015 e il disegno di legge di riforma costituzionale approvato dalla Camera dei deputati il 12 aprile 2016.
Questo perché, in base al nuovo testo dell’articolo in parola, lo stato di guerra verrebbe deliberato dalla sola Camera dei deputati nella quale – in base alla nuova legge elettorale – vi sarà una maggioranza di 340 seggi su 630[2], pari a circa il 54% dei seggi[3].
Le modifiche apportate all’articolo 78 rendono più difficile la deliberazione dello stato di guerra, e non più facile.
Infatti, mentre il vecchio testo di questa norma affermava:
- – “Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari.”,
il nuovo testo afferma:
- – “La Camera dei deputati delibera a maggioranza assoluta lo stato di guerra e conferisce al Governo i poteri necessari.”.
Nel vecchio testo, bastava una deliberazione a maggioranza dei presenti in aula al momento della votazione – tanti o pochi che fossero – purché pari almeno al numero legale per poter votare.
Nel nuovo testo, al contrario, è necessaria una deliberazione a maggioranza assoluta dei componenti della Camera dei deputati.
Inoltre, la preoccupazione dovuta al fatto che – in base alla nuova legge elettorale – alla Camera sarà presente una maggioranza pari a 340 deputati su 630, è un problema solo apparente.
Dal 1 gennaio 1948 – data di entrata in vigore della Costituzione repubblicana – i Governi della Repubblica italiana sono entrati in carica e hanno potuto lavorare grazie alla maggioranza assoluta dei parlamentari che li sosteneva[4].
3 – Sull’articolo 64 della Costituzione.
Un’altra norma che mostrerebbe il legame tra la nuova legge elettorale numero 52 del 2015 e il disegno di legge di riforma costituzionale approvato dalla Camera dei deputati il 12 aprile 2016 sarebbe l’articolo 64 della Costituzione.
Questo perché il nuovo articolo 64, comma 2, della Costituzione prevede che, nel regolamento della Camera dei deputati, dovranno essere inseriti i diritti delle minoranze parlamentari e lo statuto delle opposizioni e questa modifica avverrà quando alla Camera – in base alla nuova legge elettorale – ci sarà una maggioranza di 340 seggi su 630.
Anche per l’articolo 64 in esame vale quanto ho scritto poc’anzi a proposito dell’articolo 74 della Costituzione: la preoccupazione dovuta al fatto che, in base alla nuova legge elettorale, alla Camera sarà presente una maggioranza pari a 340 deputati su 630, è un problema solo apparente.
Gli attuali regolamenti della Camera e del Senato contengono la disciplina di istituti che riguardano tanto la maggioranza quanto l’opposizione, come ad esempio: i gruppi parlamentari, l’organizzazione dei lavori, le sedute dell’assemblea, la discussione, etc.
Questi regolamenti sono stati votati e approvati quando in entrambe le istituzioni in parola vi era una maggioranza di Governo e un’opposizione.
Anche la modifica del regolamento della Camera secondo il nuovo testo dell’articolo 64, comma 2, della Costituzione avverrà quando in essa vi sarà una maggioranza di Governo e un’opposizione.
4 – Sulla mancanza del vincolo di mandato in capo ai futuri senatori.
Ci si è meravigliati del fatto che i futuri senatori potranno operare senza vincolo di mandato ed è stato citato il Senato tedesco come realtà nella quale questo vincolo esiste.
L’assenza del vincolo di mandato in capo ai deputati e ai senatori è prevista dall’articolo 67 della Costituzione fin dall’entrata in vigore di quest’ultima il 01 gennaio 1948.
La prevedeva, per i soli deputati, anche lo Statuto Albertino del 4 marzo 1848 nel suo articolo 41 che affermava:
- – “I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non le sole province in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli Elettori.”.
Il motivo per il quale lo Statuto Albertino non prevedeva l’assenza del vincolo di mandato anche per i senatori è dato dal fatto che essi erano nominati dal Re e non dagli elettori:
- – “Il Senato è composto di membri nominati a vita dal Re, in numero non limitato, aventi l’età, di quarant’anni compiuti, e scelti nelle categorie seguenti: … .” (articolo 33, comma 1, dello Statuto Albertino).
In questo modo, il Re – oltre ad essere l’unico titolare del potere esecutivo, Capo dello Stato e delle Forze armate, dichiarare la guerra, fare i trattati, fare i decreti e i regolamenti necessari per l’esecuzione delle leggi, nominare tutte le cariche dello Stato, nominare e revocare i suoi Ministri e i magistrati (articoli 5, 6, 65 e 68 dello Statuto in parola) – poteva controllare anche il potere legislativo:
- – “Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere: il Senato, e quella dei Deputati.” (articolo 3 dello Statuto in parola).
Capiamo bene, ora, perché la Costituzione repubblicana ha esteso il divieto del vincolo di mandato anche ai senatori.
Per quanto riguarda il Senato tedesco – il Bundesrat – esso è l’unica eccezione ad un divieto – quello del vincolo di mandato – che rappresenta una caratteristica uniforme nel diritto costituzionale comparato[5].
5 – Sulle immunità parlamentari.
Un altro tema di discussione, preso atto che i futuri senatori continueranno ad avere le immunità parlamentari, afferma che questo privilegio dovrebbe spettare a chi è eletto e rappresenta la nazione.
A questo proposito è bene sottolineare due profili.
Innanzitutto, l’istituto delle immunità parlamentari – come afferma la stessa espressione – riguarda i parlamentari, a prescindere dal modo in cui acquisiscano la carica – per nomina o per elezione – e a prescindere dal fatto che sia previsto dalla legge fondamentale dello Stato che essi rappresentino o no la nazione.
Faccio due esempi, uno di ieri e uno di oggi.
Come ho detto poc’anzi, lo Statuto Albertino prevedeva che i senatori fossero nominati dal Re e non eletti dal popolo.
Inoltre, al contrario dei deputati, lo Statuto Albertino non diceva che essi rappresentavano la nazione, eppure anche per loro erano previste le immunità parlamentari:
- – “Fuori del caso di flagrante delitto, niun Senatore può essere arrestato se non in forza di un ordine del Senato. Esso è solo competente per giudicare dei reati imputati ai suoi membri.” (articolo 37);
- – “I Senatori ed i Deputati non sono sindacabili per ragione delle opinioni da loro emesse e dei voti dati nelle Camere.” (articolo 51).
Per quanto riguarda l’esempio di oggi, posso citare il caso dei senatori a vita.
Essi non sono eletti dal popolo, ma nominati dal Presidente della Repubblica in base all’articolo 59, comma 2, della Costituzione, eppure anche per loro valgono le immunità parlamentari di cui all’articolo 68 della Costituzione.
In secondo luogo, non va dimenticato che l’originario disegno di legge del Governo (A.S. 1429) prevedeva una pesante riduzione delle immunità parlamentari dei futuri senatori riducendole alla sola insindacabilità per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni prevista dall’articolo 68, comma 1, della Costituzione ed eliminando tutte le garanzie processuali previste dai commi 2 e 3 del medesimo articolo.
È stato proprio il Senato ad eliminare questa proposta di modifica e a lasciare le cose così come sono[6].
6 – Sui giudici della Corte costituzionale.
Alcuni fanno notare che vi sarebbe una sproporzione evidente perché 100 senatori eleggeranno due giudici della Corte costituzionale mentre 630 deputati ne eleggeranno solo tre.
Onestamente, non vedo come una soluzione diversa avrebbe potuto essere preferibile.
Fare eleggere dal Senato un solo giudice costituzionale, sui cinque che nomina il Parlamento[7], sarebbe stata una proposta che lo avrebbe mortificato, mentre fargli eleggere tre giudici su cinque sarebbe stato poco comprensibile in considerazione della consistenza numerica delle due future Camere.
Infine, dobbiamo ricordare che, mentre la Camera dei deputati aveva disposto di proseguire nella nomina dei giudici costituzionali da parte del Parlamento in seduta congiunta, sono state proprio le modifiche apportate dal Senato in prima e in terza lettura a stabilire che la nomina dei giudici costituzionali da parte del Parlamento spetti nella misura di tre alla Camera e due al Senato[8].
Mi auguro che questo contributo vi sia stato utile e vi ringrazio per il vostro tempo.
NOTE A PIE’ DI PAGINA
[1] Il primo articolo è pubblicato su: http://giorgiocannella.com/index.php/2016/06/03/referendum-costituzionale-italiano-ottobre-2016/ .
[2] Articolo 1, comma 1, lettera f, della legge 6 maggio 2015, numero 52, pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana 08 maggio 2015, numero 105.
Decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, numero 361, articolo 83, comma 1, numeri 6 e 7, comma 2 e comma 5, come modificati dall’articolo 2, comma 25, della legge 52 del 2015 ora citata.
[3] Il 54% di 630 è 340,2.
[4] L’ipotesi del Governo di maggioranza relativa (cd. Governo di minoranza) è stata di difficile realizzazione in Italia perché il Governo, per entrare in carica, deve avere la fiducia delle due Camere (articolo 94, commi 1 e 3, della Costituzione); di conseguenza i sì devono prevalere sui no.
Inoltre, secondo il regolamento del Senato, coloro che si astengono dal voto vengono conteggiati assieme ai no (articolo 107, comma 1).
In pratica, la maggioranza relativa avrebbe dovuto trovare un accordo con le forze politiche che non sostenevano il Governo perché queste ultime, al Senato, non entrassero in aula al momento del voto.
[5] Servizio Studi della Camera dei Deputati, XVII Legislatura, La riforma costituzionale. Testo di legge costituzionale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016. Schede di lettura, n.216/12, parte prima, maggio 2016, pagina 59, in: http://documenti.camera.it/leg17/dossier/pdf/ac0500p.pdf .
[6] Idem, pagina 60.
[7] In base all’articolo 135, comma 1, della Costituzione.
[8] Servizio Studi della Camera dei Deputati, XVII Legislatura, La riforma costituzionale. Testo di legge costituzionale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016. Schede di lettura, n.216/12, parte prima, maggio 2016, pagina 250, in: http://documenti.camera.it/leg17/dossier/pdf/ac0500p.pdf .
Le citazioni sono state verificate alla data di pubblicazione di questo contributo sul sito www.giorgiocannella.com .
Gentile dott. Cannella,
in una terra di lupi, lasciare aperta la porta dell’ovile diviene peccato di grave ingenuità se non di collusione con il predatore. Dire “è vero che la nuova legge elettorale attribuirebbe una maggioranza sproporzionata a chiunque vincesse le elezioni anche con percentuali modeste ma non siamo qui a votare le riforme istituzionali” è un discorso astratto da giurista, ma chi ha gli occhi aperti sugli abusi di cui è capace la nostra classe dirigente (pubblica a privata), si guarda bene dal rinunciare ad ogni sana cautela preventiva (purtroppo comunque spesso insufficiente). Basta vedere come FI e PD stanno plasmando la legge elettorale per premiare la coalizione ora che tutti i sondaggi li darebbero perdenti come liste di fronte al M5S (sul quale io pure ho non pochi dubbi) per capire lo spirito democratico che spira (come il vento o come un moribondo?) tra i partiti italiani.
A fronte di questo, il senato, con un solo senatore a rappresentare ogni regione (chi sarà? il più incompetente del consiglio regionale a cui non sono stati dati incarichi ed avrà più tempo libero?) sarà un pupazzo svuotato. Rappresenterà evidentemente solo i partiti maggiori che avranno vinto le Regioni e le amministrative delle grandi città (zero pluralismo, bella democrazia!). Il suo pare non sarà vincolante e sarà evidente che la maggioranza alla Camera tirerà dritto come un rullo compressore (il vero inconfessato obiettivo di questa riforma). Troppa materia diventerà centralizzata e del federalismo non resterà traccia, ma si sa che in Italia si passa sempre da un estremo opposto facendo danni in entrambi i casi.
A 1/2Ora, Landini, bullizzato da Renzi sul Fiscal Compact, ha replicato chiedendo perché, a fronte della mediatica contestazione della politica dell’austerity di Bruxelles, tra i tanti articoli della Costituzione oggetto di revisione, quello dell’obbligo del pareggio di bilancio non fosse stato toccato.
Il Presidente del Coniglio ha glissato.
Io la Costituzione non la faccio riformare da persone poco serie perché le mele avvelenate possono anche avere un aspetto bellissimo (riduzione senatori, limitazioni ai difetti della precedente riforma dell’Art.5, …) ma se chi te le offre è un avvelenatore certificato …
Refuso alla terza riga:
“ma noi siamo qui a votare le riforme istituzionali”
Gentile dottor Marangone,
la ringrazio per il suo commento.
Rispondo alle sue considerazioni.
Nel mio articolo non ho trovato la frase che lei cita tra virgolette: “è vero che la nuova legge elettorale attribuirebbe una maggioranza sproporzionata a chiunque vincesse le elezioni anche con percentuali modeste ma noi siamo qui a votare le riforme istituzionali”.
Ad ogni modo, sul temuto legame tra la nuova legge elettorale (cd. Italicum) e il disegno di legge di riforma costituzionale approvato il 12 aprile 2016, mi riporto per motivi di spazio al paragrafo 1 del mio primo articolo sul prossimo referendum del 4 dicembre 2016 (http://giorgiocannella.com/index.php/2016/06/03/referendum-costituzionale-italiano-ottobre-2016/) e ai paragrafi 1, 2 e 3 del mio secondo articolo sullo stesso tema e che lei ha commentato.
Mi perdoni se non mi pronuncio sulle strategie dei partiti politici che lei cita e sulla classe politica in generale.
Come ha avuto modo di leggere, il mio articolo prescinde da valutazioni politiche per concentrarsi unicamente su un esame di tipo giuridico.
Per quanto riguarda la temuta riduzione della rappresentatività popolare nella composizione del futuro Senato della Repubblica, anche qui per motivi di spazio mi riporto al paragrafo 2 del mio primo articolo sul prossimo referendum del 4 dicembre 2016 che ho citato.
Per quanto attiene, infine, alla mancata modifica dell’obbligo del pareggio di bilancio, faccio notare quanto segue.
L’obbligo in esame è stato inserito nell’art. 81 della Costituzione italiana nell’aprile del 2012 in esecuzione del “Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione Europea” firmato il 2 marzo 2012 da 25 Stati europei, tra i quali l’Italia.
L’esecuzione che uno Stato dà a un trattato internazionale non si arresta tramite la modifica di una o più norme della sua Costituzione, ma con gli strumenti offerti dal diritto internazionale pubblico: emendamenti, modifiche, estinzione, invalidità dei trattati internazionali.
Spero di esserle stato utile.
La ringrazio per l’interesse che ha mostrato per il mio articolo.
Un cordiale saluto.
Gentilissimo Giorgio, ringrazio per i due articoli che hanno cercato di dipanare i fili sul quesito referendario. Tuttavia mi rimangono non fugati alcuni dubbi già indicato nel vostro primo articolo da tal Vincenzo.
Primo fra tutti la composizione del nuovo Senato, che vede la non proporzionalità della rappresentanza regionale in quanto c’è un appiattimento dei rappresentanti delle regioni medie (se 1 cons. + 1 sindaco, più facile che siano dello stesso partito e mancanza di una rappresentanza delle minoranze regionali). L’assenza del vincolo di mandato è ampiamente argomentato ma a parer mio non giustificato, non c’entra nulla se già presente nello Statuto Albertino in quanto il nuovo Senato “delle regioni” o “delle autonomie” (senza autonomia) è tutt’altra cosa e in comune ha solo il nome con la Camera alta regia e quella repubblicana. Quindi sarebbe stato più corretto un vincolo di mandato come nel citato Bundesrat in quanto i nuovi senatori meri funzionari che rappresentano le relative regioni di appartenenza (ne deriva anche la sostituibilità da parte del Consiglio regionale) secondo compiti e i limiti di legge.
Altro punto, non convido il riaccentramentro della competenza allo Stato, in quanto i problemi derivati dalla precedente riforma del Titolo V e non superati dalla sentenze della Corte Costituzionale, chiarendo livelli intermedi di competenza. Inoltre làddove la riforma ha lasciato competenze e autonomie alle Regioni, lascia ancora altrettante opacità di interpretazione da richiedere nuovi interventi della Consulta (es., dove finisce la valorizzazione da parte dello Stato e la promozione da parte delle Regioni; ma altre ancora).
Si è detto che parlare di Italicum è come rispondere che la carne è dura se viene domandato se piace la pasta. Beh, fino a un certo punto, se mi piace la pasta alla puttanesca ma so che il cuoco potrebbe mettere i bulloni al posto dei capperi, avrei dei dubbi a ordinarla.
Ci sarebbero altri punti, ma la ragione supporta molte logiche, dove ognuno di noi, per vissuto e cultura, diamo pesi diversi agli stessi parametri, motivo per il quale alcune ragioni degli uni non convincono gli altri e viceversa.
Comunque sia, il 5 avremo la Costituzione che gli Italiani hanno voluto (vecchia o riformata che sia)
Gentile signor Donati,
la ringrazio per l’interesse che ha mostrato per il mio articolo.
Anche se la consultazione referendaria si è già svolta (65,47% di votanti e 59,12% per il NO – cito da: http://elezioni.interno.it/referendum/votanti/20161204/index.html), sono felice fare onore al suo impegno e di rispondere alle sue considerazioni.
Per quanto riguarda il Senato, in particolare “la non proporzionalità della rappresentanza regionale in quanto c’è un appiattimento dei rappresentanti delle regioni medie”, il testo dell’articolo 57, comma 4, della Costituzione – modificato dalla riforma costituzionale bocciata al referendum – prevedeva che: “La ripartizione dei seggi tra le Regioni si effettua, …, in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, … .”
Per quanto attiene alla “mancanza di una rappresentanza delle minoranze regionali” nel Senato, il testo dell’articolo 57, ultimo comma, ultimo periodo, della Costituzione – modificato dalla riforma costituzionale bocciata al referendum – prevedeva che: “I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio.” e il comma 2 dello stesso articolo affermava che il metodo di elezione era quello proporzionale.
Il metodo proporzionale e il fatto che il testo non parlava di Giunta regionale, ma di Consiglio regionale indicava, senza ombra di dubbio, che i futuri senatori sarebbero stati scelti, sia tra i membri della maggioranza che sostiene la Giunta, sia i membri dell’opposizione.
Per quanto riguarda il vincolo di mandato da lei suggerito in capo ai senatori, mi riporto a quanto ho affermato nel mio articolo che lei commenta e aggiungo che sarebbe stato rischioso introdurlo.
Il vincolo di mandato, infatti, non prevede solo la possibilità per il mandante di dare istruzioni al mandatario, ma anche la responsabilità di quest’ultimo per l’esecuzione del mandato.
La casistica giurisprudenziale su questo punto è abbondante.
Le controversie giudiziarie che sarebbero sorte dalla presenza del vincolo di mandato in capo ai senatori sarebbero state innumerevoli.
Immagini il caso di una di legge che, approvata con il concorso del Senato, si fosse rivelata imperfetta in sede di attuazione, o il caso di un indirizzo di politica europea che, a seguito di un mutamento della situazione economica, si fosse rivelato dannoso.
Di fronte alle rimostranze dei cittadini, quante controversie giudiziarie sarebbero state incardinate da parte dei Consigli regionali e dei loro consiglieri per ottenere una sentenza di accertamento della responsabilità dei senatori da loro nominati per non avere compreso o eseguito bene il mandato conferito ?
Quante controversie giudiziarie sarebbero state promosse dai senatori per ottenere una sentenza di accertamento che il mandato conferitogli non era chiaro, oppure era lacunoso, e dunque loro sono esenti da qualsiasi responsabilità ?
Sulle opacità di interpretazione delle competenze Stato – Regioni delineate dalla riforma bocciata al referendum e che avrebbero richiesto l’intervento della Corte costituzionale non sono in grado di pronunciarmi perché non prevedo il futuro.
Faccio notare, però, che anche la Costituzione, nel testo da decenni in vigore, ha avuto bisogno di interventi chiarificatori da parte della Corte costituzionale.
Per quanto riguarda, infine, la nuova legge elettorale cd. Italicum e l’esempio che lei porta dei bulloni al posto dei capperi nella pasta alla puttanesca, mi riporto a quanto ho esposto nei due articoli che ho dedicato al tema del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.
La ringrazio per il suo tempo e per la sua attenzione.
Cordiali saluti.